Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

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venerdì 26 giugno 2015

Santuario della Scala Santa: gli affreschi restaurati della Cappella di S. Lorenzo


Il Santuario della Scala Santa, oggetto di un mio studio comprendente altresì i sotterranei, è già stato argomento del mio post -“I mosaici medievali della Cappella del Sancta Sanctorum”- pubblicato lo scorso 18 marzo, nel quale ho descritto la sua genesi soffermandomi, per l’appunto, sulla preziosa decorazione musiva della scarsella, che corona la fulgida immagine Acheropita del Cristo.
 
Nella zona destra, del corridoio superiore del Santuario, magnificamente si apre la Cappella di S. Lorenzo, attraverso cui si accede al Sancta Sanctorum per mezzo di una porta bronzea, forse del IV secolo. Quest'aula, titolata in ricordo dell’antico oratorio di S. Lorenzo in o de Palatio, com'era nominata l’antica Cappella papale, successivamente detta Sancta Sanctorum, costituisce un organismo cultuale autonomo edificato anch’esso, come tutta la struttura architettonica, da Domenico Fontana, nel contesto dell’intervento di Sisto V (1585-1590), cui l’ampio ciclo pittorico, il più complesso insieme di affreschi romani di questo periodo (1586-1590), ne conclude l’impresa.
 
I relativi temi iconografici sono formulati da alcuni teologi, sui quali s’impone l’ecclesiastico Silvio Antoniano (1540-1603, cardinale dal 1599), propugnatore dei principi morali e “formativi” della Controriforma; le immagini, perciò, rivolte ai visitatori devono insegnare, dilettare l’animo e suscitare commozione (docere, delectare, movere).
 
Il Fontana, quale architetto del pontefice, è arbitro di tutte le grandi realizzazioni sistine, di cui le opere pittoriche, in questo caso, ne rappresentano una parte della multiforme estensione; per tale ragione l’architetto sovraintende all’attività dei pittori Giovanni Guerra (già con antecedenti rapporti di collaborazione con lo stesso Fontana) e Cesare Nebbia, ai quali è affidata la guida dei lavori ornamentali del Santuario. Dal 1586 al 1591 essi formano, in Roma, una sorta di “sodalizio imprenditoriale”, impiegato in notevoli cantieri, coordinando, in rapporto alla relativa ampiezza, sino a cento artisti, secondo un’organizzazione che include molte figure quasi “artigianali”, scelte secondo una forte selettiva “suddivisione tecnica”, ai fini di una rapidità e, per quanto possibile, omogeneità esecutiva. Il Guerra, che progetta lo schema pittorico, possiede uno stile che dona chiarezza alle scene iconografiche, mentre il Nebbia, che ne realizza i disegni, esplicita il suo eclettico carattere plastico con brillante cromatismo e morbidezza dei contorni delle raffigurazioni.
 
La struttura creata dai due artisti-imprenditori risponde integralmente, quindi, al programma di rinnovamento architettonico, monumentale e urbanistico, della Città, attuato da Sisto V, nel quale è compresa l’edificazione e l’insieme degli ornamenti del Santuario della Scala Santa, in cui un folto gruppo di pittori, pur di origini formative diverse, partecipa al “cantiere iconografico” lavorando, spesso, a più mani in relazione alle differenti “abilità personali” (artefici di figure, d'inserti paesaggistici e così via), per concretare, in breve tempo, tutto l’impianto decorativo. Ne scaturisce, in molte sezioni, un’eterogeneità di caratteri raffigurativi, sebbene questi ultimi conchiusi in calligrafica elegante cifra manieristica, nella quale appaiono, in forma di registro unitario, i caratteri espressivi come rapida irradiazione divulgativa. In tale particolare contesto, cui si accompagna la mancanza di specifici documenti ai fini delle attribuzioni, permane ancor oggi la difficoltà di riconoscere tutti i singoli autori.
 
La Cappella di S. Lorenzo, nel percorso teologico del Santuario, imposta una sorta d'intenso spirituale vano, che annuncia il sublime ambiente del Sancta Sanctorum, come palesa la scritta – voluta dall’Antoniano- corrente lungo le pareti sottostanti alla volta dipinta (iniziando e concludendo sui due lati che precedono l’ancona di S. Lorenzo), tratta dalla prima Epistola ai Corinzi di S. Paolo (capitolo 1, versetti 23 e 24; capitolo 2, versetto 2): “AUTEM PRAEDICAMUS CHRISTUM CRUCIFIXUM IUDAEIS QUIDEM SCANDALUM GENTIBUS AUTEM STULTITIAM IPSIS AUTEM VOCATIS IUDAEIS ATQUE GRAECIS CHRISTUM DEI VIRTUTEM ET DEI SAPIENTIAM NON ENIM IUDICAVI SCIRE ME ALIQUID INTER VOS NISI IESUM CHRISTUM ET HUNC CRUCIFIXUM” (Noi predichiamo Cristo crocifisso scandalo per i Giudei e follia per i Gentili ma per i chiamati sia Giudei sia Greci Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio perché in mezzo a voi preferii di non sapere altro che Gesù Cristo e Lui crocifisso).
 
Il lato sinistro della Cappella accoglie un ampio spazio ove risalta l’altare con l’affresco “S. Lorenzo venerato dai fedeli sopra i quali si erge la gloria di Dio Padre e di Suo Figlio”, assegnabile a Baldassarre Croce, detto il Baldassarino, che esemplifica il suo decorativismo manierista e l’impaginazione agiografica, pietistica e discorsiva delle sue opere, benché compiute unitamente a un fermo tratto compositivo. Dello stesso pittore è attribuito il disegno, posto sulla parete sinistra, del dipinto murale “S. Sisto II e S. Francesco d’Assisi”, inteso quale affermazione dei meriti e delle virtù di Sisto V, già francescano, idealmente paragonato a quel suo antico predecessore, morto in seguito alle persecuzioni dell’imperatore Valeriano (258). Al martire, secondo una tradizione sorta nell’ultimo quindicennio del IV secolo, è associato il diacono Lorenzo (titolare della Cappella), come ribadisce il sottostante gradevolissimo monocromo, figurando l’arresto del pontefice dinanzi al suo arcidiacono.
 
Gli affreschi dei timpani e della volta (secondo alcuni studi ascrivibili al Guerra e al Nebbia) riprendono lo stesso programma cultuale iconografico della Scala Santa e di quelle laterali, tramite un ciclo di parafrasi liturgiche, profetiche, storiche esaltanti la Passione, per mezzo della quale la salvezza umana si svela tangibile realtà.
 
Una visione della fisionomia delle sei vele del soffitto, che maggiormente lo caratterizza, inizia dal lato sinistro dell’aula, ove il volo di “Piccoli angeli con strumenti della Passione” accompagna la visione della “Fede”, in vesti bianche, che saldamente tiene la croce e il calice dell’Eucarestia, mentre altri “Piccoli angeli con lance” sembrano suggellare questo segmento della copertura architettonica; sulla parete opposta sono effigiati “Piccoli angeli con la corona di spine” e una piena “Carità” che amorevolmente accoglie tre pargoli, in una levità d’insieme espressa dai “Piccoli angeli librati in aria ” e dai “Piccoli angeli con l’Eucarestia”. Monocromi, rettangolari, nelle pareti rappresentano altre coppie di “Angeli con strumenti della Passione”. Si notano figure di leoni rampanti, i quali richiamano elementi dell’arme di Sisto V così come i trimonzi (ognuno formato da tre piccoli monti); la lode a questo pontefice è proclamata su tutta la superficie dipinta, con elementi del suo stemma e con l’inscrizione del suo nome, che l’etereo “Volo degli angeli”, accolto in due riquadri, celebra dispiegando il cartiglio per la sommità celeste. Come un passo meditativo agli spicchi della volta appaiono rami di pero, allegoria della purezza infusa dall’immacolato biancore dei suoi fiori (talvolta evocanti la suprema castità della Vergine).
 
Sulla parte centrale della volta risalta la “Trinità in gloria” con angeli, verso la quale otto Dottori della Chiesa vi conducono lo sguardo del fedele, tramite un percorso modellato dai principi fondamentali contenuti nella Sacra Scrittura, secondo quanto interpretato e asserito dalla Chiesa stessa, svolgendo uno schema consono ai dettati del Concilio di Trento.
 
Avviando la visuale dalla sezione di sinistra, al di sopra l’altare maggiore, si stagliano le figure, indicate con il loro nome in latino, di: S. Basilio (l’enunciatore definitivo del dogma trinitario “Una sola essenza in tre ipostasi”); S. Ambrogio (il pastore di grande caratura spirituale; il suo pensiero e la sua azione costituiscono uno dei cardini del Cristianesimo); S. Agostino (tra i sommi pensatori cristiani, concepisce la fede quale salda unione dell’uomo con Dio, mirando a un’esistenza discosta dall’asservimento alle passioni mondane, che permette di riconoscere Gesù unica via per giungere alla Verità e quindi alla Salvezza); S. Tommaso d’Aquino (nella sua “Summa Theologiae” espone il concetto che tutte le “creature razionali” provengono da Dio e che, attraverso Gesù, ritrovando la loro vera natura tornano al Padre Celeste); S. Bonaventura (alle volte definito il secondo fondatore dell’Ordine Francescano, manifesta la sua concezione cristocentrica nel seno della Chiesa, resa ancor più luminosa dai suoi figli allorché ne osservano i precetti, sgorgati dal Vangelo, Parola di Dio custodita dalla Chiesa medesima); S. Girolamo (autore della traduzione in lingua latina dei Vangeli e di molti altri testi sacri, afferma che, la Parola di Dio, è stata donata all’uomo affinché egli la condivida attraverso una comunanza spirituale, atto, che unisce durante il cammino verso il Creatore del tutto, con il quale si “costruisce” la comunità e dunque la Chiesa, luogo privilegiato della lettura e dell’ascolto delle Sacre Scritture, che la liturgia rende pulsante nell’animo umano); S. Gregorio (definisce fondamentale l’insegnamento della Chiesa, quale voce di Cristo, per affrontare quel cammino salvifico che approda all’infinita luce di Dio); S. Giovanni Crisostomo (formidabile predicatore, censuratore di tiepidezze spirituali e fustigatore di vizi). 
 
Sopra il lunettone che anticipa l’altare maggiore e in quello sopra alla corrispondente parete opposta, appaiono due leoni, i quali, in questo caso, simboleggiano il Cristo “Leone … della tribù di Giuda”, come viene appellato nel libro dell’Apocalisse, capitolo 5, versetto 5; inoltre, tale immagine è rafforzata da un’antica consonanza figurativa, derivata dal Physiologus, testo composto in greco da un autore sconosciuto tra la seconda metà del II e l’inizio del IV secolo, cui il tono simbolico-metafisico  paragona questo felino, nel suo aspetto positivo di origine solare, al Messia.
 
Posando nuovamente lo sguardo sul primo lunettone, si nota nel riquadro centrale l’affresco che racchiude la diffusa luminosità del “Paradiso”, con due angeli musici in evidenza, frammesso tra due figure di “Profeti”, insieme pittorico riproposto, con variazioni, sulla parete opposta con altri personaggi profetici, i quali, anche per alcune particolarità inconfondibili, rappresentano  Mosè” ed “Elia”. 
 
Tra il gruppo di artisti, impiegati in questo “cantiere”, riluce di finissima qualità artistica l’opera di Paul Brill, autore delle lunette con “Paesaggi”, poste sopra le tre finestre del lato destro e in quello sinistro sopra l’arme di Sisto V. Del pittore fiammingo si ammirano, anche in questi affreschi, gli effetti spaziali, i motivi compositivi prossimi all’estro poetico, un accentuato contrasto di luci e di ombre, un intenso accostamento di piani cromatici.
 
Quest’aula, così nutrita d'immagini e di elementi pittorici, “escogita” risalti che portano alla luce un energico “testo” religioso; esso è stato riconsegnato alla sua fastosa articolata figurazione policroma grazie a un pregevole restauro, la cui cerimonia inaugurale si è svolta nella Cappella stessa lo scorso 11 giugno.
 
Come affermato, durante l’inaugurazione, da padre Francesco Guerra, rettore del Santuario, nel rinnovato spazio si avverte “la gioia di esserci … in questa Cappella restituita nella sua luce, nella sua bellezza”, ove la persona avverte una sensazione di levità sospesa “tra cielo e terra”; un ambiente “che aiuta a vivere il mistero del sacro”.
 
L’incontro è stato contrassegnato altresì dall’intervento di padre Ottaviano D’Egidio, superiore generale emerito dei Padri Passionisti, dalla relazione tecnica dei lavori svolti del professor Arnold Nesselrath, direttore responsabile dei restauri alla Scala Santa, della presentazione dei Patrons of the Arts in the Vatican Museums di padre Mark Haydu, direttore di tale Associazione di patrocinatori dediti a un’opera di “tutela artistica”, dell'illustrazione del professor Paolo Violini, maestro restauratore dei Musei Vaticani, riguardo al restauro esguito e concluso.
 
Sono stati risolti felicemente, quindi, problemi di staticità, di infiltrazioni di umidità, di alterazione dei pigmenti e di altre incoerenze, che riducevano in evidente deterioramento le parti decorate, sino a provocarne, in alcuni tratti, “l’illeggibilità”.  Un nuovo plauso, dunque, al professor Violini e al suo gruppo per il magnifico palese risultato acquisito; voglio, perciò, menzionarne i componenti: Francesca Cencia, Patrizia Giacomazzi, Alessandra Ferlito, Filippo Leopardi, Carine Heiniger, Chiara Munzi, Giorgia Pinto, Serena Sechi, Laura Ugolini.



La sezione affrescata verso l'altare maggiore 


La sezione affrescata verso la parete di fondo
 
Una sezione affrescata del lato destro