Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

Io Spiego

sabato 14 novembre 2015

La musicalità dell’interno della Chiesa di S. Maria in Portico in Campitelli


Tra le gemme artistiche che profondamente asseriscono l’unicità di Roma, quella che si concreta nell’appartata magnificenza di S. Maria in Portico in Campitelli, possiede una singolare monumentalità, che dal prospetto, con poderosa eufonia, avanza sino all’aureo tabernacolo dell’altare maggiore, ove la ieratica icona della Vergine con il Bambino troneggia, confermando il solenne titolo di “Romanae Portus Securitatis” (Porto della Romana Sicurezza), suggellato da papa Alessandro VII nel 1665. Carlo Rainaldi (1611-1691) è artefice di tutto l’organismo architettonico, sebbene assistito da Giovanni Antonio De Rossi (1616-1695), il quale altresì riporta graficamente il progetto di questa magnifica “macchina” -che custodisce quella venerata immagine-, derivata da una prima elaborazione dello stesso Rainaldi, modificata attraverso un grandioso modello di Melchiorre Cafà, detto il Maltese (1635-1667), probabilmente eseguito in cera poco prima della sua precoce morte.  
 
Se la facciata enuncia un magnificente movimento chiaroscurale, l’interno sancisce la singolarità dell’impianto già dalla sua apertura, con i suoi rastremati transetti accoglienti chi entra in questo tempio. L’impianto consiste in un’unica navata, suddivisa in due vasti ambienti, di cui il primo richiama una sorta di pianta centrale, croce greca, mentre il secondo sviluppa un particolare insieme, sospinto dall’asse longitudinale. Tale sistemazione crea un riguardevole effetto, grazie al quale lo spazio sembra affermarsi attraverso una sua insita elasticità, per la forza che, le due assi trasverse, imprimono al corpo edificato. Si materializza, perciò, un originale senso prospettico, combinato dallo sciogliersi del ferreo legame della navata con le cappelle laterali, soluzione che elimina sia una manualistica fusione, sia un rovinoso disgregamento di metodi propri dell’architettura; al contrario avviene un accostamento dei diversi elementi strutturali, ognuno dei quali, pur mantenendo una propria sintassi, si pone in intima corrispondenza con gli altri.
 
Un’armonia insolita raccorda quegli urti, quelle masse murarie diverse, quei corpi architettonici disuguali ma uniti nella complessità scelta dal Rainaldi, rivelata in questa ammirabilissima visione spaziale, dove imponenti ventiquattro colonne – numero che può rimenare dagli Anziani dell’Apocalisse assisi attorno al trono di Dio, multiplo di dodici come i figli di Giacobbe e le tribù d’Israele e altrettanto come gli Apostoli- imprimono il punto focale verso il fondo dell’edificio, in cui si erge la monumentale e sfarzosa realizzazione barocca, che riluce di bellezza abbracciando la piccola immagine della Vergine Odigitria, Colei che indica la via della salvezza: Gesù (bambino). 
 
La contrapposizione scenica tra l’apparente gelo architettonico della navata – disadorna-, la fulgidezza degli ambienti laterali e il sorprendente mosso fulgore di ciò che ospita l’altare maggiore, ci inducono a percepire una “insueta” sacralità musicale, mai atona in questa articolata struttura architettonica. Infatti, il Rainaldi è un artista intento altresì ai suoni degli strumenti, che la perfetta ripartizione acustica di tutto l’ampio sito comprova. La sua capacità dinamica deriva proprio da quella antitesi, fra la spoglia pietra della parte longitudinale e la ricca pienezza delle altre sezioni, come se una sonorità fosse alternativamente emessa con forte intensità e con tono piano, sommesso.
 
Sembra di ascoltare un efficace contrasto sonoro tra virtuosi solisti e un “tutto ripieno”, articolazione di movimenti descritti da piene successioni musicali e singole strofe predominanti nei momenti digressivi. Tale sentire, che tramuta nel sacro l’ascolto, si conferma in occasione dei concerti eseguiti in questa versatile opera d’arte, nei suoi sommi spazi divenuti partiture chiaroscurali, nei quali l’animo si scopre nella sua leggiadria -che Dio in origine ha inspirato nell’umanità-, approdando a quelle sublimi altezze, per mezzo d’intense spirali di melodie, di echi, di accenti, di pause frementi.
 
 
L'originale sistemazione architettonica vista dalla cantoria centrale