Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

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martedì 17 ottobre 2017

Antonello da Messina: il Ritratto d’uomo della Galleria Borghese



La biografia di Antonello da Messina (1430, circa – 1479) poggia su esigue notizie documentarie, tanto da determinare, nelle epoche successive alla sua vita, ricostruzioni inattendibili intorno alla sua vicenda esistenziale. Tale peculiare stato è dovuto altresì alla cronologia delle sue opere a noi giunte, concentrata tra il 1465 e il 1476, circa, concorrendo a confondere gli studi riguardanti il suo percorso artistico.

Nella sua cifra pittorica si apre un verso prospettico, che abbraccia ampiezze visive in un’osmosi scaturita da atmosfere, luci, colori, ambienti, figure; questi elementi si congiungono in un ordine di pura intuizione sensibile, di coerente unità espressiva, la quale scandaglia la realtà con “pintura” poetica.

La sua padronanza, degli effetti luministici, rende ancor più singolare la resa psicologica dei personaggi raffigurati, creando degli assoluti vertici, esposti anche nei ritratti virili, in cui il carattere, di derivazione fiamminga, mostrato dalla “posa di tre quarti”, il tipico diaframma del bordo disegnato - che separa con brillante esito l’effigiato dall’osservatore - e il nero sfondo, egregiamente tutti si combinano tanto da comporre un acuto “rendimento psicologico”, che diffonde un’immediata percezione di vivezza. Tale profilo, se si vuole indagare l’insieme di questi lavori con un certo severo piglio, sembra quasi cedere, talvolta, a una reiterata rappresentazione del soggetto, apparendo quale limite enunciato attraverso un “lineare calcolo” di stile, racchiuso in una struttura dettata da un preciso canone, riferibile però a una sorta d’interludio posto tra i diversi momenti dell’attività di questo artista.

L’unica opera conosciuta in Roma, a oggi, di Antonello da Messina è conservata nella Galleria Borghese: Ritratto d’uomo (1475 o 1476), dipinto eseguito a tempera e olio su tavola, esposto nella Sala XX (Sala di Psiche).

Immagine – cui l’identità è ignota, sebbene in passato siano state formulate alcune ipotesi- tra le più coinvolgenti del pittore, ove il personaggio raffigurato sembra, con lieve movimento del capo, di sondare - con accennata ironia di quell’impenetrabile “quasi” sorriso - lo spazio aperto dinanzi ai suoi occhi. Quello sguardo diretto e sfuggente attira l’attenzione di chi lo osserva. Esempio di vivace intensità espressiva, sia per la riuscita precisione realistica, che però non avvilisce la pregevolissima definizione artistica, sia per la peculiare incisività del lavoro, nel quale il pittore compie una perfetta fusione di forma con il rigore geometrico, come se volesse indagare una verità intrinseca al soggetto ritratto, che a sua volta sembra rinviarla all’esterno della scena, quest’ultima esaltata nel volume da una luce evidenziante il volto e la stessa pelle.

La veste rossa e la berretta nera richiamano gli indumenti dei nobili veneziani; infatti, il “nostro” Antonello è proprio a Venezia tra il 1475 e il 1476, dove la sua estrema perizia ritrattistica ha cospicuo seguito. La tavola manca della firma e per tale motivo si ipotizza che fosse posta su un cartiglio, dipinto sulla cornice. Lavoro già attribuito, verso la fine del XVIII secolo, a Giovanni Bellini e definitivamente assegnato al maestro messinese nel 1869, cui per la morbidezza cromatica e per la definizione plastica lo collocano tra i suoi migliori ritratti.   
 
 
 
Immagine tratta da "Google Immagini"