Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

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martedì 23 gennaio 2024

Basilica di S. Apollinare alle Terme Neroniane Alessandrine: il raro monogramma nella Cappella titolata alla Vergine

La volta della Cappella dedicata alla Vergine, detta anche Vergine delle Grazie, della Basilica di S. Apollinare, Cappellania della Pontifica Università della Santa Croce, comprende un raro monogramma mariano, da me rilevato -dopo lunghe ricerche- quale sinora unico in Roma, di cui manca dunque, per quanto minutamente esaminato, un’appropriata interpretazione.


Il Complesso "dell'Apollinare" racchiude gemme artistiche, quali, ad esempio, la statua di S. Francesco Saverio (cui il mio post è, attualmente, il sesto tra i più letti), oltre a delle quasi unicità come il monogramma mariano in argomento.

Il monogramma "dell'Apollinare" confrontato con quello comune 


Prima di illustrare specificatamente tale peculiare “insieme di segni”, occorre soffermarsi sulla “visione” del termine parola-lògos, aspetto essenziale in merito al tema che, in questa sede, viene esposto. Nel Vecchio Testamento, la parola di Dio, è il ripetuto traslato manifestante l’effetto repentino della Sua volontà, perciò non vi è espressa una definita quintessenza della “persona parola”. Tale “sottile sostanza” è affrontata, durante l’età ellenistica, come concetto intellegibile, unito a versanti intessuti dalla filosofia, l’aulica sapienza rivolta all’argomentazione e comprensione di tutte le essenze avvertibili o intrinseche alle idee, queste realtà eterne, atemporali ed eteree, delle quali il mondo sensibile è una -spesso sfuocata-immagine.  

Il lògos, cui l’etimo include soprattutto il significato “parola, ragione” come attesta Eraclito, ripresa successivamente da altri pensieri filosofici greci. Essi individuano in “lògos” la divina ragione che, permeando il mondo, vi diffonde la sua sostanza, lo vivifica e lo sospinge verso il suo compiuto disegno 

Nel successivo complesso sapienziale greco-ebraico, si definisce la sapienza divina “lògos”, che, in Filone di Alessandria, acquista una ben definita personalità come prima potenza -nello spazio e nel tempo- palesata da Dio, con potere mediatore tra il Creatore stesso e la realtà molteplice, espressa nel e dal mondo. Il lògos perciò appare il custode e il propagatore della composita idea, intesa quale aspetto, forma della plurima creazione, forza senziente che colma la voragine interminata disgiungente Dio e il mondo. Esso però rimane “immagine teorica” di Dio, percepita dunque come primo principio della realtà sensibile, energia fondamentale la quale sostiene tutti gli elementi, la “via filosofica” che consente, all’umanità, di elevarsi giungendo alla contemplazione interiore di Dio: argomenti di sapore quasi dottrinale circa il lògos figurato come luce e vita.

Nella visione propria del Vangelo, il lògos è, secondo quanto afferma Giovanni, l’incarnato Verbo di Dio (Verbum Dei), Cristo, la Parola tangibile di Dio, Sua perfetta immagine. Viene enunciata quindi la natura del lògos nell’eterna azione divina, concreta persona per mezzo della quale si esplica la redenzione umana.  Nel principio era la Parola (il Verbo di Dio) e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta. In lei era la vita…” (Giovanni cap.1, vers.1-4). Ancora “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui (il Verbo di Dio) …” (vers. 9 e 10), “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi …” (vers. 14).

Quantomeno un accenno richiede l’elaborato approfondimento, avvenuto nel primo Cristianesimo, contemporaneamente alle questioni cristologiche e trinitarie, con la rilettura di definizioni formulate dal pensiero filosofico greco e lo sviluppo di una cristiana conoscenza. Infatti, questa è rivelata da ciò che deriva da Dio, non riducendone perciò le connotazioni a un riecheggiamento di concetti già elaborati ma risaltandone il nuovo divenire svelato, quindi non eternamente immobile. A tal fine si possono citare, tra gli altri, Giustino, Ireneo di Lione, Clemente Alessandrino e Agostino; in particolare quest’ultimo rileva l’acuta attinenza tra alcuni tratti della letteratura filosofica greca e, per l’appunto, la verità cristiana rivelata nella completezza, che evidenzia l’essenza reale del Verbum Dei.

Ulteriore aspetto necessariamente da considerare -se non altro in breve-, riguardo l’argomento trattato, attiene al simbolo. “Elemento” -o insieme di “elementi”-  evocante la sostanza di quello che in assoluto esiste, soprattutto circa le entità immateriali. L’arte, nel suo ampissimo percorso temporale -almeno sino alla metà del XVIII sec.-, è pregna di capaci simboli -non considerati meri “vezzi” estetici- come ad esempio esemplifica il granchio, effigiato ai piedi della poetica statua di S. Francesco Saverio -un episodio della sua vita s’intreccia con quel crostaceo-, realizzata da Pierre Legros, detto il Giovane (appellato anche Pierre II Legros) proprio per la “nostra” Basilica.

Quanto finora esposto, come detto all’inizio di questo articolo, è strettamente connesso al portato del monogramma in argomento.

L’ambiente in cui esso è posto scaturisce dalla creatività architettonica di Ferdinando Fuga, che realizza un sacello a pianta rettangolare (aprile del 1742-agosto 1747), ripresa in chiave personale dell’originario vestibolo borrominiano compreso nella trasteverina S. Maria dei Sette Dolori.

L’inconsueto monogramma “dell’Apollinare”, posto com’è in alto, a una vista distratta, sembra non comprendere alcuna particolarità. Un’attenta osservazione però ne manifesta, di quei segni grafici, la peculiare composizione, quasi unica. Proprio il Fuga, forse su suggerimento di un suo stretto collaboratore, deve aver introdotto, in tale ambiente, lo stesso rarissimo monogramma -strettamente connesso al significato cultuale proclamato dall’affresco della Vergine- sito nella sagrestia della chiesa aquilana di San Marco, in gran parte ricostruita dopo il terremoto del 1703. Vicino ad essa sorge l’ex chiesa di S. Agostino (attualmente spazio teatrale), ugualmente quasi distrutta dal medesimo sisma, cui, il Fuga, ne avrebbe disegnato un progetto. Successivamente, nella stessa città dell’Aquila, inizia il lavoro riguardante la chiesa di S. Caterina martire (1747-1752), ove la sua mano si evidenzia. Questi dati storici producono la razionale ipotesi che, l’architetto, debba aver visto il su citato monogramma, per poi riprodurlo nella “nostra” Cappella, considerando che egli, nel 1748, dà pure avvio all’elevazione del nuovo “Palazzo Apollinare” e quindi il monogramma potrebbe essere stato eseguito durante i lavori di tale edificio.

Alzando lo sguardo verso la volta, appare evidente la forma a trigramma, concretando un vivido fonema, l’eminente suono del principio nel quale era la Parola e la Parola era con Dio e la Parola era Dio. Eterna radice della creazione, in quanto il Padre Eterno ha creato il suono e l’universo è nato da esso. Il Verbo si è fatto carne per mezzo di Maria, che l’argomentato simbolo ne attesta l’unione inscindibile con Gesù Cristo, secondo il piano salvifico divino. Miryam in ebraico, Maryam in aramaico, la lingua parlata dal popolo, deriverebbe dall’egiziano Mryt “beneamata, che ha in sé intensa grazia”, oppure, come sembra da aggiornati studi, scaturirebbe da una voce semitica nord-occidentale “rum” “persona elevata”, perciò Miryam significherebbe “eccelsa, elevata”. Già il suo nome la proclama, da ogni visuale, sublime, destinata alla sommità dei cieli.

Il “nostro” monogramma si distingue da quello tradizionale, poiché accentuato da due “S” non coincidenti -però speculari- nell’avvolgere le barrette laterali della “M”, affermando, per l’appunto, l’unione della Vergine al disegno redentivo voluto da Dio, sostanziato attraverso il Cristo. Se tali consonanti enunciano l’aggettivo, riferito a Maria, Santissima Madre di Dio, invero distinguono un ulteriore e più sottile significato. La loro foggia serpentiforme, infatti, rimanda al Vangelo di Giovanni (capitolo 3, vers.14-15:” E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figliol dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui non perisca ma abbia vita eterna”. Il passo evangelico si riferisce al libro veterotestamentario Numeri (capitolo 21, vers.8-9), passi successivi alla descrizione della punizione divina avvenuta per mezzo di mortali serpenti:” E l’Eterno disse a Mosè: Fatti un serpente ardente e mettilo sopra un'asta; e avverrà che chiunque sarà morso e lo guarderà, scamperà (dalla morte). Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra un’asta; e avveniva che, quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, scampava”. Il serpente è in relazione con la terra (vive sia nei luoghi umidi sia nei deserti) e il mondo infero (grembo fertile della Terra; vive anche in ambienti ipogei), che, già creatura negativa, risalendo le superfici diviene diffusore di guarigione e di rinascita altresì spirituale. Raffigurazione quindi dell’opera redentrice sostanziata, nella storia umana, da Cristo Gesù. Invero, Egli avoca a sé l’inconoscibilità, l’imperscrutabilità del suo patire sulla croce, su cui morirà (per risorgere dal sepolcro e sancire la vita eterna a chiunque a Lui si volga), decifrando e dischiudendo il significato dell'antico atto -dal senso profetico- eseguito da Mosè. Il serpente posto sull’incrociato legno si trasforma in efficace simbolo di Cristo, il quale trasfigura il peccato, assumendone il gravoso peso tramite l’Incarnazione, rendendolo sterile -poiché estraneo al suo essere Vero Uomo, Figlio di Dio- quindi simbolo di rinnovamento e di risveglio spirituale, dunque di resurrezione, conseguenza di quell’offrirsi con quell’atroce supplizio mortale.

Oltre a ciò, quelle due “S” aprendo e chiudendo, nei versi espressi, il monogramma, sottintendono un’aggiuntiva acuta accezione, riferita al Cristo lògos-verbum: "Ego sum Α et Ω" (“Io sono l'alpha e l'oméga”; Apocalisse cap.1, vers.8), “Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine” (Apocalisse cap. 21, vers.6). Gesù Cristo affermando la sua identità divina, quale Alfa e Omega, definisce sé stesso eterno e perciò uguale a Dio, dunque Egli è Dio. A tal proposito giova rammentare due passi contenuti nel libro di Isaia: “Io sono il primo e l’ultimo” (cap.44, vers. 6), “Io sono il primo e sono pure l’ultimo” (cap.48, vers.12-13): Dio, riferendosi a sé stesso, asserisce la sua interezza, la sua pienezza infinita quale “primo e “ultimo”.  

Al centro della “M” s’interseca la vocale “A”, che mantenendo, volutamente, la relativa barretta orizzontale, a differenza della comune impostazione, forma, con le due linee obblique verticali della stessa “M”, due triangoli equilateri, sovrapposti, dall’implicito valore simbolico trinitario. In effetti, sin dai primi secoli del Cristianesimo ne declama lo svelamento prodotto da Cristo: Padre, Figlio e Spirito Santo. Il vertice glorifica Dio Padre mentre i lati della base inneggiano a Dio Cristo e a Dio Spirito Santo: Dio Uno e Unico, dalla sola sostanza divina, nel quale esistono e agiscono tre uguali persone sebbene distinte. Molte volte le raffigurazioni artistiche mostrano un alone/aureola triangolare intorno e sopra la testa di Dio Padre, immagine della Trinità.

All’interno della “A” si nota, come accennato in precedenza, un altro triangolo, quest’ultimo rovesciato, dunque con l’apice rivolto in basso: l’azione divina sulla terra, l’incarnazione del lògos e l’opera dello Spirito Santo. Geometrico “impianto” che ribadisce l’Unico Dio, attraverso il quale si compie l’armonia del sistema dualistico “cosmico”: “Padre nostro che sei nei cielisia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra”. Il capitolo sesto del Vangelo di Matteo (vers.10-13) riporta la fondamentale preghiera dettata da Cristo, cui altresì echeggiano i due triangoli del monogramma, reale inno teologico.

Cogliendo la valenza simbolica narrata da quell’insieme di segni, nell’animo sorge un intenso sentire in armonia con quanto il templum esplicita: non un’afona sacralità ma una sinfonia sacrale sospingente lo sguardo e il “petto”, sede della sensibilità, verso il cielo, per essere anime viventi in terra.     

Ringrazio il Rev. Dott. don  Manuel Miedes, Rettore della Basilica di Sant'Apollinare, per la gentile autorizzazione circa la pubblicazione delle immagini comprese in questo post