Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

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sabato 7 novembre 2020

Guido Cagnacci: Maddalena penitente (1621, circa)

 

Nel seno della mostra, Orazio Borgianni. Un genio inquieto nella Roma di Caravaggio, svoltasi a Palazzo Barberini -sede di una delle due “romane” Gallerie Nazionali di Arte Antica- conclusa lo scorso primo novembre, è stata esposta la tela Maddalena penitente di Guido Cagnacci (o Canlassi; 1601-1663), quale pittore tra quelli influenzati, in qualche verso, dall’arte del Borgianni.

Opera conservata proprio nella Galleria di tale fastoso edificio, che la didascalica presentazione   l’afferma come “vera e propria icona di sconvolgente sensualità … tra i dipinti più noti del Seicento”.

Già di questo tema figurativo ne ho trattato nel post, pubblicato il 28 settembre scorso, riguardo a Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino circa la sua Maddalena penitente. Dallo stesso riprendo la genesi e lo sviluppo di questa figura muliebre, che potremmo definire quale santa diffamata e contemporaneamente gloriata sugli altari, imprigionata nel fisso modello di donna, già meretrice, redenta da Cristo. L’intricata calunnia sembra nascere da episodi narrati nel Vangelo di Luca, iniziando dalla “peccatrice perdonata” (capitolo 7, versi 36-50), dove è descritta la conversione di “una donna che era in quella città, una peccatrice”, colei che con unguento profumato  stando ai piedi di lui… piangendo, cominciò a rigargli di lacrime i piedi , e li asciugava coi capelli del suo capo, e gli baciava e ribaciava i piedi e li ungeva con l’olio … egli disse alla donna: la tua fede ti ha salvata, va in pace”. Privo di alcun nesso testuale si è voluto invece congiungere la redenta -cui non è citato il nome-, di questo brano, a Maria detta la Magdalena (nota come Maria di Magdala) menzionata tra le pie donne che seguono Gesù Cristo: “con lui erano i dodici e certe donne che erano state guarite da spiriti maligni e da infermità, cioè Maria detta la Magdalena, dalla quale erano usciti sette demoni (capitolo 8, verso 2). Su questo passo si è poi generato l’abbaglio, insopprimibile, della storia elaborata su tale personaggio. Poiché il numero sette indica, nel codice biblico, la pienezza, in tale caso appare riferirsi a un male molto gravoso, di natura fisica o -seconda supposizione- morale, penetrato nella donna e dal quale Cristo l’ha, in precedenza, affrancata. La tradizione errata però solidifica la sua traiettoria, identificando altresì Maria di Betania (sorella di Marta e di Lazzaro) con la Magdalena (intesa come quella anonima “peccatrice”), in forza del medesimo atto, di venerazione (unzione dei piedi), da ella compiuto nei confronti di Cristo, contenuto nel Vangelo di Giovanni (capitolo 12, versi 1-8), ampliando la stesura dell’episodio compreso nei Vangeli di Matteo (capitolo 26, versi 6-13) e di Marco (capitolo 14, versi 3-9). La santa così individuata sarà riconosciuta nel culto e dunque nella storia dell’arte, giungendo intatta sino alla nostra epoca.

Il Cagnacci probabilmente esegue questa sua Maddalena penitente durante il suo breve secondo soggiorno in Roma, avvenuto nel 1621, come concorda la maggior parte degli studi. In questo periodo la sua cifra si mostra efficace rilettura del linguaggio caravaggesco, in cui viene esaltato un vigore tinto di scuro colore e di caldi aperti spazi, accosti, in parte, alla cifra del Borgianni. La sua tavolozza comprende anche una felice versatilità capace di rappresentare, in modo autonomo, la natura del soggetto raffigurato, rendendo percettibile altresì ciò che, in esso, intimamente è mosso, incorniciandogli scene liricamente naturalistiche, esenti perciò da divagazioni enuncianti labili leziosi effetti. I suoi lavori, che accoglieranno in seguito sia elementi “barocchi” sia pacati accenti volti al classicismo, sono privi di opache ponderosità mantenendo i decisi contrasti -come già mostra il dipinto della “nostra” Maddalena- di avvolgente luce e ampie vive ombrature, che da capacità di pittorica impaginatura ottiene, quale valore, sicura vivacità e caratteristico nitore. 

Il soggetto è steso, dal Cagnacci, con intensa possanza pittorica, sfociante nella bellezza che lo abbiglia di poesia. Un’accesa coinvolgente spiritualità da un amore che arde intessendone scena sorprendente, nella quale si materializza la spirituale fusione dell’anima -che conduce altresì quelle leggiadre membra-con l’essenza divina. Tale fisicità erompe da un interiore moto, che ripudia la limitatezza di intorpiditi sensi, per ascendere dalla realtà terrena a quella purissima celeste, divenendo visibile e abbracciabile dimensione. Elevatezza nel fremente intimo sospiro, gemito che sopravanza il circoscritto razionabile sentire, attraverso il compenetrarsi di luce altra per unirsi a Dio. Lo spirito azzittisce la voce alla mente e, nel completo abbandono, giungono sottili raggi divini su quel teso incarnato, impregnato di una forza svelante profondità, che sfugge al sentire materiale.

Certa si manifesta l’evocazione erotica, la quale, per l’appunto, smaterializzandosi si dona a una profondità alta dove l’anima insegue, tramite l’estasi, un’illimitata essenza. La nudità quindi raffigura la rivelazione infinita, che scopre un respiro introvabile altrove, per mezzo di un gioco plastico dimorante nello scoperto corpo, il quale mutandosi in proiezione divina rigenera l’amore nella vita, poco prima di salire i gradini del tempio mistico, tangibile in quella celata aerosfera. L’amore di e verso Dio si trasforma, nella vicenda umana, perciò in una sensazione fisica, non evanescente.

La Maddalena, dal florido nudo seno, è adagiata, presa da una sorta di svenimento, su cui sembra improvvisamente giungere un fulgore, che esalta la concretezza di ciò che sembra impalpabile. Il ruvido panneggio dai laceri bordi, non nega un’ondulata morbidezza del tessuto, su cui s’imprime un rischiarato teschio dai bruni lati, che la formidabile mano compositiva lo congiunge al raffinato brano, di luce, che bacia la protagonista e, contemporaneamente, una velata drammaticità -il flagello libero dalla stretta della mano- assegna intenso sentimento alla muliebre immagine.

Dettata dalla tradizione tutta occidentale -come già osservato nel menzionato post su questo tema dipinto dal Guercino-  le lunghe chiome sciolte della Maddalena -in questo caso coricate sulla scabra superficie- alludono alla donna peccatrice, alla prostituta, che ha asciugato, con i suoi capelli, i piedi di Cristo, dal quale è stata redenta; la fluente libera capigliatura perciò testimonia sia tale intimo contatto con il Messia, sia la sua precedente condizione peccaminosa, poiché, le donne probe, al contrario bene acconciano i propri capelli. Ella già grande peccatrice vuole percorrere la passione del Salvatore -secondo la consolidata voce devozionale- tramite una vita di stretta penitenza, trascorrendola, dopo la resurrezione di Cristo, in estremo eremitaggio.

Altri “segni” individuano la sua stretta esperienza con il piano salvifico, attuato per mezzo del sacrificio messianico, vale a dire la croce e il piccolo vaso rammentante l’episodio pronunciato, in forma piena, dal Vangelo di Luca (capitolo 16, versi 1-2): “Passato il sabato Maria Magdalena e Maria (di Cleofa) madre di Giacomo (il Minore) e Salomè comprarono degli aromi per andare a imbalsamare Gesù”.

Uno scuro, quasi retrostante, indefinito sagomato paesaggio sembra voler penetrare il violaceo cielo, cui arguti tocchi ne sfumano la tonalità; magnifica tenue incidenza del colore e della pennellata, che danno alito vivo alla composizione, opera tra le più acute del Cagnacci.


Immagine tratta da Google

 

 

 

        

 

 

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