Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

Io Spiego

giovedì 27 novembre 2014

Mozart a Roma


Wolfang Amadeus Mozart, nato nel 1756, ancor prima di imparare a leggere e a scrivere, manifesta straordinarie capacità musicali, tali da permettergli di suonare all’età di quattro anni il clavicordo, progenitore del pianoforte, mentre a cinque compone già minuetti che il padre, Leopold, trascrive. Inoltre, anche la sorella maggiore di cinque anni, Maria Anna, in famiglia chiamata Nanneri, equivalente a Nannina o a Nannarella, dimostra un evidente virtuosismo esecutivo al clavicembalo. Tale singolare situazione induce il padre, il quale segue tenacemente l’educazione musicale dei figli –egli stesso è valente violinista e buon compositore-, di impiegare il talento dei figli a fini “economici”. I due fanciulli prodigio, in poco tempo, suscitano ammirazione e stupore tanto che la stessa imperatrice d’Austria, Maria Teresa, vuole ascoltarli alla presenza di tutta la famiglia imperiale (1762). Seguono viaggi-esibizione a Monaco, Augusta, Ulma, Mannheim, Francoforte, Colonia, Aquisgrana, Bruxelles sino ad arrivare a Parigi. Continuando il giro concertistico, ormai senza Nanneri, nell’aprile 1764 è la volta di Londra, dove re Giorgio III e la regina Carlotta sono assidui spettatori delle improvvisazioni al clavicembalo del giovanissimo Mozart.

Il viaggio in Italia, che Leopold e Wolfgang intraprendono dal dicembre 1769 al marzo 1771, comprende quale tappa d’obbligo, Roma, ove vi giungono provenendo da Firenze il 10 aprile 1770, mercoledì santo, rimanendovi sino all’8 maggio, per ritornarvi, rientrando da Napoli, il 26 giugno e ripartirne definitivamente, alla volta di Bologna, il 10 luglio. Leopold considera necessaria questa tappa perché anche nella “Città Eterna” il suo geniale figlio, quattordicenne, può dar prova della sua già notevole maestria dinanzi a nobili ed ecclesiastici. La città piace molto al giovanissimo compositore, così come gradisce la maggior parte degli intensi incontri, nei quali è il protagonista assoluto.

Tra l’11 e il 19 aprile i Mozart si recano, più volte, alla Basilica di S. Pietro, sia per le funzioni della Settimana santa e della Pasqua, sia per ammirare quell’insieme di magnificenze. Infatti, Leopold il giorno 14, in una lettera indirizzata alla moglie Anna Maria Pertl, ricca di notizie e nella quale illustra arguti episodi propri della città, scrive: ” Abbiamo già visitato a fondo la chiesa di S. Pietro e di tutto quello che c’è da vedere nulla deve rimanere inosservato”. Wolfang, nel frattempo, ha conquistato la benevolenza del cardinale Lazzaro Opizio Pallavicini (Segretario di Stato), con il quale conversa attraverso il suo brillante italiano. Nella Cappella Sistina ascolta il Miserere di Gregorio Allegri (1582-1652), composto intorno al 1630, eseguito a luci spente durante il mattutino, quale “rappresentazione delle tenebre” della Settimana santa. Le note, pur semplici e ripetute cinque volte fino al termine (nove parti), sono oggetto però di una mirabile esposizione esecutiva, come da tradizione di quei cantori, i quali ne enfatizzano le sfumature, ne accentuano cadenze ed effetti, frapponendovi delle variazioni, tanto da sembrare non identificabile e creando, nel contempo, una notevole suggestione nell’ascoltatore, apparendo, quindi, mirabile ma intricata opera corale. Non può questa, però, sfuggire alle attente orecchie del giovane musicista, come scrive il padre Leopold: “… ai musici della Cappella è proibito sotto pena di scomunica di portarne via anche una sola parte o di copiarla o darla ad altri. Ma noi l’abbiamo: Wolfgang l’ha annotato … Lo porteremo a casa, ma poiché è uno dei segreti di Roma, non lo vogliamo lasciare in altre mani … “. Il talentuoso salisburghese, dunque, trascrive a memoria il brano, suscitando lo stupore, per l’esattezza del dettato musicale trascritto, dei cantori pontifici nonché, diffondendosi la notizia, della Curia e del papa Clemente XIV. Tale clamore sembra non tangere, esteriormente, Wolfgang, il quale lascia il peso di sì forti lodi sulle spalle del padre, preferendo ironizzare su quanto intorno gli si manifesta, come dimostrano le sue impressioni scritte:” Ho disegnato proprio adesso san Pietro con le chiavi, san Paolo con la spada e san Luca con mia sorella; ho avuto l’onore di baciare il piede a san Pietro in Sanct Pietra, e poiché ho la disgrazia di essere così piccolo, allora mi hanno issato su come un vecchio straccio.” La nobiltà romana gli apre le porte dei suoi palazzi in rapida sequenza: il principe Sigismondo Chigi, amico del Metastasio, con la presenza del cardinale Segretario di Stato Pallavicini (Palazzo Chigi), la principessa Barberini (Palazzo Barberini), il duca Odescalchi (Palazzo Altemps, all’epoca sede diplomatica francese e luogo di eventi mondani per altolocati) e altri. Inoltre, suona al Collegium Germanicum e presso l’ambasciata di Venezia (Palazzo Venezia): ovunque è un trionfo!

Al ritorno da Napoli, durante l’udienza concessagli, il Pontefice gli conferisce, con grande sorpresa, l’ordine dello Sperone d’Oro, elevandolo al titolo di cavaliere, riconoscendolo “soavissimo suonatore di cembalo”. Il 6 luglio nel Palazzo del Quirinale, con solenne cerimonia, l’adolescente Mozart riceve, dal cardinale Pallavicini, la croce d’oro, il nastro rosso, la spada e gli speroni. Il giorno 8 partecipa all’udienza papale nella Basilica di S. Maria Maggiore, indossando le insegne del cavalierato, onorificenza che, in futuro, non favorirà la sua ascesa sociale, rimanendo pur sempre un musicista, dunque “servitore” di qualche nobile committente, condizione da cui, convinto della sua dignità di libero artista, si affrancherà nel 1781.

Nel corso del suo soggiorno romano, compone il minuetto in si bemolle K 122, almeno l'aria Se ardire, se speranza K 82 (testo del Metastasio) e le tre sinfonie K 81, K 95, K 97.

Alla sorella Maria Anna il 25 aprile scrive, come gli è usuale, in italiano:”Finita questa lettera, finirò una sinfonia mia, che cominciai, l’aria è finita, una sinfonia è del copista (il quale è mio padre) perché noi non la vogliamo dar via per copiarla, altrimenti essa sarebbe rubata”. 

 
Palazzo Altemps: la splendida altana
 

mercoledì 26 novembre 2014

Michelangelo: considerazioni introduttive al linguaggio architettonico dell’edicola della Cappella dei Santi Cosma e Damiano


 
 
La mostra “1564/2014 Michelangelo Incontrare un artista universale ”, svoltasi presso i Musei Capitolini dal 27 maggio al 14 settembre, ha rappresentato un’altra occasione per avvicinarsi al poliedrico genio artistico di Michelangelo. Infatti, ogni esposizione incentrata sulla sua incommensurabile cifra –rammento ad esempio quelle svoltasi a Palazzo Venezia nel 2002 e nel 2003- dispiega temi fondamentali della sua opera scaturita dal suo pensiero, che dà un corpo alla pietra dalla quale la fisicità è una tensione poetica, quasi musicale, tra stridori e soavità, tra contrasti  carnali e spirituali, che la sua esistenza giustappone attraversando slanci e disfatte come rovine interatte e irrecuperabili eppur sempre risorte nel suo estro, il quale anima quei busti, quei torsi, quei lapidei arti, così come quelle espressioni architettoniche d’intense forme simboliche. La vastità del suo “artistico agire” descrive il suo moto interiore, che penetra nelle “quattro arti”: scultura, pittura, architettura, poesia. Il suo poetare è un lembo di anima recisa da un insanabile desiderio, che la bellezza imprime al suo estro, talmente acceso non soltanto di raffigurarla ma, addirittura, di crearla, volgendo la sua visione al divino, che alberga nelle membra e nel volto amato.
La sua lunga esistenza è tratteggiata dal suo ambivalente amore per Roma e per Firenze ma nessuna delle quali è la sua vera “patria”. Michelangelo, infatti, non è completamente un “artista fiorentino” né specificatamente un “maestro romano”. Equidistante da queste due realtà di grandi temperie artistiche-culturali-storiche, si dimostra costantemente assillato di dare compiuta definizione a progetti, per lo più titanici, che la sua creatività esprime altresì nell’architettura e nell’urbanistica, lasciando a Roma una possente impronta. Infatti, il Buonarroti ne vuole realizzare una ristrutturazione organica per mezzo di cardini architettonici collegati in una sequenza concettuale, che dell’Urbe ne caratterizza l’armonica monumentalità. Questa espressione di grandezza e di solennità si concretizza altresì nei pochi lavori “meno evidenti” del maestro, per gli insiti caratteristici tratti, che una lettura attenta ne coglie, come nel caso dell’edicola della Cappella dei Santi Cosma e Damiano, la quale si affaccia sul Cortile d’Onore, detto dell’Angelo, a Castel Sant’Angelo.
La cappella inclusa negli ambienti dell’appartamento papale, voluto da Niccolò V (1447-1455), è riedificata da Leone X (1513-1521) all’inizio del suo pontificato (1514-1516, circa), nell’ambito di un progetto, avviato da Giulio II (1503-1513), inteso a trasformare la fortezza in una confortevole e sontuosa residenza papale, con opere di difesa tale da renderla inviolabile. Il piccolo prospetto si contraddistingue per una grande apertura rettangolare, suddivisa da l’elemento architettonico, che si definisce “a croce guelfa”, propria dell’età medievale e, in gran parte, di quella rinascimentale. Si notano ai fianchi due zone più corte, arretrate rispetto al corpo centrale, scavate a nicchia semicircolare con catino. Conchiude la facciata una nitida, ben delineata, trabeazione –insieme composto dall’architrave, dal fregio, dalle cornici, dalle mensole e dalle modanature- sormontata da un timpano triangolare. Sul frontone è scolpito un particolare dello stemma di papa Leone X, vale a dire un anello con tre piume.
I lavori, secondo documenti dell’epoca, sono eseguiti nel 1517, come conferma anche un breve del papa Medici, definendo la cappella “noviter constructa”. Inoltre, l’attribuzione a Michelangelo  è confortata da una nota apposta a un disegno, conservato presso il Museo delle Belle Arti di Lille, tratto da una raccolta di schizzi di Bastiano da Sangallo, detto Aristotele (1496-1548, collaboratore del Buonarroti) e di Giovanni Battista da Sangallo detto il Gobbo (1496-1548). In tale foglio si legge, sotto un rilievo conprendente le misure dell’edicola, “questo in chastello di Roma di mano di Michelagnolo di travertino”. Le considerevoli differenze che si distinguono tra questo disegno e il lavoro realizzato in marmo bianco statutario, dunque non di travertino, derivano dall’opera di profonda trasformazione, del luogo, intrapresa da papa Paolo III (1543-1549), che imprime a questo luogo l’aspetto di una fastosa dimora, sopraelevando di un piano i vani (1543-1548), i quali, in questo modo, si soprappongono ai precedenti edificati nel ’400. Ne consegue che il Cortile d’Onore viene modificato e per creare una sorta di simmetria tra i due lati corti, ideati come sfondo scenografico, l’architetto  incaricato dal pontefice, Raffaello da Montelupo (1505-1567, circa), progetta di ricostruire, apportandone modifiche non sostanziali, la preesistente edicola michelangiolesca. Infatti, come probabile, realizza soltanto la nicchia comprendente il giglio dei Farnese, la famiglia del papa, che si eleva al di sopra del timpano, al cui interno successivamente è posto un busto scolpito da Gugliemo Della Porta (1515, circa-1564) intorno al 1548. Il restauro eseguito nel 1988 rimuove gli indebiti pannelli circolari collocati nelle parti superiori della crociera centrale, apposti agli inizi del secolo scorso ma non il sedile alla base del prospetto, che non è stato, purtroppo, possibile eliminare. La scena attuale, quindi, rappresenta, come a ragione si suppone, quasi completamente quanto progettato da Michelangelo. Un insieme di studi, nel confermare la paternità del lavoro a questo titano della storia dell’arte, ha rilevato come soluzioni impiegate dal Buonarroti, quali l’avanzamento della campata centrale con il frontone, le nicchie laterali corredate da motivi decorativi incorniciati (targhe), la grande mensola centrale, rimandino al tipico linguaggio architettonico michelangiolesco, come dimostra, ad esempio, la tomba di Giulio II, che troneggia nella Basilica di S. Pietro in Vincoli. Inoltre, le stesse colonnine di bronzo, quasi certamente originali, rammentano quelle dipinte accanto ai troni dei Veggenti, immortalati nella volta della Cappella Sistina. Ritroviamo, quindi, chiari elementi propri della stesura monumentale di Michelangelo, la quale anche in quest’opera, quasi celata, evidenzia.