Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

Io Spiego

venerdì 21 aprile 2017

Il Battesimo di Cristo di S. Maria dell’Orto: un dipinto della fertile vena di Corrado Giaquinto


Tra gli apparenti modesti spazi di via Anicia, non compresa nelle “luci” di Trastevere, si staglia lo scenografico prospetto della chiesa di S. Maria dell’Orto, iniziato da Iacopo Barozzi, detto il Vignola (1566-1568) e completato da Francesco Capriani, detto Francesco da Volterra (1576-1577).

All’interno di questo tempio aleggiano artistici rimandi soprattutto a Luigi Barattoni, Gabriele Valvassori, i quali tra il 1720 e il 1755, circa, pur modificando interamente gli equilibri architettonici cinquecenteschi realizzati da Guidetto Guidetti (trasformazione dell’impianto in forma basilicale), hanno disegnato la coesione cromatica e plastica di tutti gli ambienti che vi si esplica.

L’arte di molti maestri echeggia negli ornati spazi della chiesa, in cui s’innalzano visibili i versi di Giacomo Della Porta (altare maggiore, in seguito restaurato dal Valvassori), Federico e Taddeo Zuccari (Annunciazione; Storie della Vergine), Giovanni Baglione (cito la Vergine col Bambino tra S. Bartolomeo, S. Giacomo il Maggiore, S. Vittoria), Giacinto Calandrucci (cito la Resurrezione di Cristo) e altri.

Dal consistente impianto plastico rifulge una pala che esclama la cappella in cui è posta: il Battesimo di Cristo della cappella titolata a S. Giovanni Battista.

Tale penetrante opera è compiuta, nel 1750, da Corrado Giaquinto (1703 – 1765) attivo a Roma dal 1727 dopo una prima esperienza affrontata a Napoli; una fruttuosa parentesi torinese (1738 -1739) lo consegna a una sicura maestria, attraverso la quale si esprime in cifra elegiaca, diffusa con morbidi e lievi toni, in cui spirano chiare modulazioni e leggere patine, che rifuggono dal mero esercizio calligrafico mostrando perciò lavori pittorici di altissimo tono, dove il “carattere arcadico” raggiunge il pieno epico idillio fondendo la “dimensione eroica” con quella “galante”, realizzando in tal modo una coerente, appropriata raffigurazione “del bello”. I più intensi sentimenti si arrestano, volutamente, in una vivida superficie estetica, nella quale perciò si addensano anche moti agitati ma risolti ammorbidendo ciò che scuote l’anima dei personaggi, trasformando l’impetuoso torrente del pathos nell’ordinata sponda del patetico, esiliandone però l’eccessiva languidezza (Apollo e Dafne; Morte di Adone; Storie di Enea; Trionfo degli Dei, oggi perduto).   

Tornato nella “Città Eterna” (ante fine del 1739) la sua presenza artistica si concreta nei lavori in: S. Giovanni Calibita (1741), S. Croce in Gerusalemme (1743 e 1750 - 1752), S. Lorenzo in Damaso (1743), Palazzo Borghese (1744, circa), S. Lorenzo dei Lorenesi (1746).

La sua adesione alla temperie classicista si esplicita nei temi che, egli, dipinge in quei luoghi, quintessenza di quel proprio pregevole cromatismo congiunto a uno squisito linguaggio espressivo e a una stringente, solenne monumentalità compositiva che interpreta, con fitta scioltezza creativa, l’armoniosa vibrazione cromatica, della poetica soave, da lui padroneggiata.

Il nostro dipinto, Battesimo di Cristo, però non appare compiutamente conforme a quanto si appalesa in altre sue pitture. L’avvio di questa nuova vena si materializza durante la sua lunga permanenza in Roma, -che nel 1753 lascerà per Madrid, quale pittore di corte del re Ferdinando VI- realizzando diverse pale d’altare destinate sia a committenti italiani, sia a committenti esteri, tra i quali il monarca spagnolo, testimonianze della sua vasta e solida fama di notevole artista. In tali opere avanza una maturata e felice rilettura del Barocco, come avvenuto, ad esempio, già in Francesco Solimena – di cui Giaquinto è stato allievo nella città partenopea- all’incirca un ventennio prima. La minore aderenza allo stile classicista, ben evidente in questi lavori da “esportazione”, consente raffigurazioni rigorosamente imponenti e dal carattere “maiestatico”, che sono talmente apprezzate da convincere lo stesso Giaquinto – e non solo lui- a evidenziare maggiormente questo recupero, in chiave d’incisiva svolta altresì “nell’Urbe”, mutamento cui cogenti elementi permarranno nella sua vicenda artistica, sebbene egli ritornerà nel “perimetro classicista”. Questo particolare momento determina la presenza di sue monumentali realizzazioni nella Basilica dei Santi XII Apostoli (Immacolata Concezione, 1749 -1750) e nella chiesa della SS. Trinità degli Spagnoli (SS. Trinità e liberazione di uno schiavo per opera di un angelo, 1750 circa).

In questo novello alveo si colloca il Battesimo di Cristo (1750), conservato nella Chiesa di S. Maria dell’Orto. Il tema è svolto con originale pienezza naturalistica, che espone eloquenza narrativa con felici giochi chiaroscurali, che già dalla volta celeste le variazioni cromatiche si spiegano nella differente posizione delle nubi rispetto alla luminosa fonte, la colomba, figura sensibile dello Spirito Santo, immagine da cui la scena, così tutta investita, si disvela definendo le peculiarità delle forme e dei rilievi. L’estesa sensibilità cromatica e luministica, espressa dall’artista, infonde un’equilibrata saldezza volumetrica posta in rilievo, per l’appunto, dagli spessi contrasti fra luci e ombre, che sebbene l’insieme raffigurato sia volto a una complessità di azione, l’insita finezza suggella l’impianto con inedito recupero di esperienze barocche, ripudiando un’impersonale e scontata impostazione calligrafica “statutaria” dei personaggi, sostanziati invece da una reale plasticità, attraverso un visibile moto d’animo che permea le figure stese sulla tela con solida inventività.

Il dipinto si apre quindi in vasta figurazione con la sua preziosa eloquenza cromatica e con le sue lievi ombreggiature, tratti di raffinata eleganza compositiva e di fitta grandiosità pittorica.

Una tenue spettacolarità diffonde il carattere del tema iconologico, rinunciando a prospettive multiple e a ridondanti, sfarzosi artifizi scenici.

La luce dunque emanata dalla colomba, tra scure nubi rischiarate da quel diafano luminoso raggio, che attraversa la mano del Battista per coronare il capo di Cristo –su cui è versata una traslucida acqua- e scendere “scorrendo” su sue chiare membra, sino a diffondersi nel tranquillo letto del fiume Giordano, irradiandone altresì la sponda. In quell’acqua fluviale, così trasparente e resa tale dall’alta luce divina, poggia sospeso il piede destro del Messia (mentre il ginocchio sinistro è flesso su uno squadrato masso, perciò su una compatta e stabile roccia); in quel lucido segmento di fiume cade il profondo raggio visivo del Figlio di Dio, alludendo, l’immagine, alla vera fonte che, Egli, offre all’uomo; sorgente da cui sgorga l’acqua della vita, com’è affermato nel Vangelo di Giovanni Apostolo, al capitolo quattro, versetti quattordici - quindici, in cui è narrato l’episodio dell’incontro con la Samaritana: “ … chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà mai più sete; anzi l’acqua, che io gli darò, diventerà in lui una fonte d’acqua che zampilla in vita eterna”. La forte sete spirituale, nascosta nell’antro dell’animo umano, trova il suo termine nell’incontro con il Cristo, fonte della verità grazie alla quale una mutata forza sorge, affrancando l’uomo dal crepuscolo del fallimento interiore.   

Tale chiaro traslato è magistralmente fissato da Giaquinto in questa sua opera, dove si espande un reale toccante “testo” poetico. Gesù Cristo, dalla possente e nel contempo delicata corporatura, è preso da umile atteggiamento, che possiede in sé una regalità altra, mostrando uno sguardo chino ma non dimesso, rapito da una dimensione d’inafferrabile spiritualità, la quale esplicita la sua missione di “Agnello di Dio”, – come proprio additato dal Battista, secondo il Vangelo di Giovanni - immediatamente prima del suo inizio. Il Divino Maestro, in tal guisa effigiato, è perciò l’agnello pasquale, il cui sacrificio donerà agli uomini quella capacità di sottrarsi al buiore del “peccato del mondo”, innalzando l’essere umano verso quel regno -dapprima interiore- celeste, liberandolo dalla morte veramente eterna. La splendida naturalezza dell’apparato iconico, la sua compiuta corrispondenza formale con il tema esposto, non è contraddetta dalla presenza delle due figure “angeliche”, dalle pose devozionali, poste in piano secondario rispetto ai due protagonisti, anzi esse rilevano la ferma natura mistica di quanto disegnato.

Giovanni Battista, raffigurato tra lo Spirito Santo e il Figlio di Dio, in una combinata fasciante “aura” chiaroscurale, per mezzo di una fluida pennellata torreggia sopra lo sfondo, quasi con audace monumentalità, mostrando un dinamismo genuinamente barocco, non scevro di poderosa armonia, sottolineata dall’espressione composta, controllata del suo volto, il quale mitiga la possanza del suo aspetto fisico, che rievoca la sua testimonianza, alta e acuta, nel deserto, luogo ove predica la vicinanza temporale dell’azione del Messia, che differentemente dal suo battesimo somministrato con acqua, quello offerto dal Cristo sarà compiuto con lo Spirito Santo.