Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

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mercoledì 18 marzo 2015

I mosaici medievali della Cappella del “Sancta Sanctorum” nel Complesso del Santuario della “Scala Santa”


Il complesso episcopale sito accanto alla Basilica di S. Giovanni in Laterano, in origine dedicata al Salvatore e successivamente ai SS. Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, Cattedrale del Vescovo di Roma, si sviluppa, tra il VI e il IX secolo, nella zona nord-est dell’area -in uno spazio molto più esteso rispetto all’attuale Palazzo Apostolico-, ed è ampliato e abbellito nei secoli posteriori. Inizialmente indicato come Episcopium Lateranus viene chiamato dalla fine del VII secolo, circa, Patriarchium –patriarca d’Occidente è altro titolo che in origine è attribuito al medesimo Vescovo “dell’Urbe”- e, dal IX, circa, anche Palatium.
Il superbo palazzo papale comprende gli appartamenti privati e la cappella del pontefice oltre ad aule di rappresentanza e di riunione, oratori, locali amministrativi e assistenziali, edifici di servizio, collegati fra loro attraverso corridoi, cortili, porticati, scalinate: ambienti decorati con marmi, mosaici, affreschi. Il multiforme organismo palaziale, costituito da due piani, è formato da un’ampia “zona privata” estesa a oriente, più antica e più interna, nonché da una più esterna, di rappresentanza, edificata a occidente, dinanzi alla quale si apre la spianata irregolare dell’antico Campus Lateranensis. Nel Medioevo, inoltre, il Patriarchio assume l’aspetto di una cittadella fortificata munita di torri che spiccano su alti muraglioni, assomigliando, perciò, a una sorta di borgo.
L’oratorio di S. Lorenzo in o de Palatio (in seguito detto Sancta Sanctorum) è situato nel Patriarchio; edificato come cappella privata del pontefice è il luogo ove si conservano numerose e preziose reliquie, nonché vano dove è posta la veneratissima icona Acheropita del Salvatore, vale a dire “non fatta da mano”, dunque non opera umana ma realizzata per intervento divino. Esso quindi si unisce, per mezzo di un connubio espressivo, con la prima titolazione della Basilica Salvatoris, alla quale è collegato, tramite un percorso che comprende un lungo corridoio porticato, il quale “sfocia” nell’ala nord orientale del palazzo, e l’Aula Concilii (magnifico ambiente con undici absidi).
Della sua esistenza, in età altomedievale, ci riferiscono alcune fonti, talvolta incerte, del VI, VII, VIII secolo e proprio a quest’ultimo secolo appartiene la notizia, storica, circa la presenza di tale cappella negli spazi del Patriarchium, allorché il 29 giugno 767 vi è ordinato suddiacono e poi diacono, ai fini dell’elezione pontificia, Costantino, un membro di una potente famiglia originaria di Nepi, che con il nome di Costantino II è consacrato, papa (storicamente è considerato un antipapa).
La fisionomia cultuale della cappella si amplia durante il pontificato di Leone III (795-816), di cui rimane l’ornata arca di cipresso (custodia di reliquie), di Gregorio IV (827-844), il quale edifica il suo appartamento nelle vicinanze per recarvisi con più frequenza a pregare. In epoca successiva la cappella è arricchita da Innocenzo III (1198-1216), che riveste l’icona Acheropita con una lamina argentea sbalzata, oltre a ciò chiude con sportelli bronzei l’incavo, dell’altare, ove sono conservati reliquiari -compreso quello di papa Leone-; l’edificio è restaurato dal suo successore Onorio III (1216-1227).
La cappella attualmente si presenta secondo la forma voluta da Niccolò III (1277-1280), costituendo l’unica testimonianza ancora in situ della splendida residenza papale medievale. In quel periodo, la santità del luogo determina l’appellativo biblico “Santo dei Santi” (Sancta Sanctorum), subentrando alla dedica originaria, in analogia con la denominazione della parte più interna e sacra del Tempio di Gerusalemme, contenente l’Arca dell’Alleanza.
Nel XIV secolo, durante “l’esilio avignonese” dei pontefici (1305-1376), il palazzo subisce un progressivo decadimento, altresì per gli incendi del 1308 e del 1361. Per questa ragione, Gregorio XI (1370-1378), riportando il papato a Roma (17 gennaio 1377), decide di risiedere presso il Vaticano, già scelto da Urbano V (1362-1370) durante il breve periodo del suo “gran ritorno” (16 ottobre 1367-5 settembre 1370). La desolazione che ha invaso questo insieme di edifici –e non solo-, determina alcuni interventi di restauro attuati da Martino V (1417-1431), cui seguono i lavori di rinforzo, posti in opera da Calisto III (1455-1458), della parete orientale del “Sancta Sanctorum”, che perde, definitivamente, la funzione di cappella, anche cerimoniale, del papa, con il completamento della profonda ristrutturazione della Cappella Magna (1477-1482: la Cappella Sistina), in Vaticano, voluta da Sisto IV (1471-1484) e consacrata il 15 agosto 1483 e dedicata alla Vergine. 
Il complesso lateranense “degrada”, in molte parti, in rovinosa condizione, finché Sisto V (1585-1590) nel 1585 incarica Domenico Fontana di abbattere l’intero Patriarchio, rinnovando l’assetto urbanistico dell’area (comprendente la costruzione del Palazzo Apostolico nonché del Santuario della Scala Santa), nell’ambito di un nuovo piano regolatore di Roma, che prevede la realizzazione di nuovi tracciati viari, tra i quali, quello di collegamento di S. Maria Maggiore con Trinità dei Monti e imprese di notevole impegno ingegneristico, come l'innalzamento di grandi antichi obelischi, tra cui quello di S. Giovanni in Laterano (1588), quali punti focali di considerevoli ambienti urbani.
Il Santuario della Scala Santa (oggetto di un mio studio comprendente i sotterranei) è progettato, dunque, secondo un piano di risistemazione architettonica, allo scopo di preservare sia la cappella medievale del Sancta Sanctorum, sia la Scala Santa, considerata come quella salita da Cristo per recarsi al pretorio di Pilato, in origine posta all’ingresso principale sul lato settentrionale del Patriarchio. Questa “devozione” verso la “Scala Pylati”, documentata nell’Anno Santo 1450, forse già così frequentata nel periodo immediatamente precedente, entra, in modo definitivo, nella storia liturgico-penitenziale durante il pontificato del medesimo Sisto V. Infatti, con la bolla “Cum singularum rerum” (1590), egli annuncia il compimento del Santuario affermando, riguardo al Sancta Sanctorum, “che per la santità del luogo lasciammo intatta e immota nella sua sede primitiva e collocammo in un luogo più decoroso e più santo, più lontano dalla confusione della folla e più adatto a suscitare la devozione”. La Cappella, così nascosta alla vista, viene isolata e ubicata, apparentemente, in un rapporto di dipendenza rispetto all’enfasi cultuale della Scala Santa, attraverso la quale si esalta la Passione di Cristo.
Già in precedenza Leone X (1513-1521) ha fissato alcune regole per il culto e le cerimonie liturgiche da osservare dal clero lateranense, tutte però da officiare al di fuori della Cappella, riservata alla funzione rituale del solo pontefice o da un cardinale dallo stesso designato; vano quindi inaccessibile, interdetto alle donne, diviene nel corso dei secoli luogo di grande fascino per quell’alone misterioso che lo avvolge.
Questo ambiente (restaurato tra il 1994 e il 1996), a pianta rettangolare, preceduto da un breve corridoio d’ingresso, è definito da un unico spazio coperto da una volta a crociera, che poggia su quattro colonne angolari, illuminato da monofore; esso si presenta decorato in ogni superficie con ampie rappresentazioni narrative o con fregi, che emanano un’intensa sensazione di sacralità, in uno spazio il quale piega verso una scarsella poco profonda e con volta decorata con un fulgente mosaico. Tale zona, rialzata su un gradino, è aperta da due colonne in porfido, di spoglio, aventi capitelli compositi, i quali sorreggono l’architrave con ornamentazione musiva, su cui corre l’iscrizione (questa ascrivibile alla “fase sistina”, che forse ripete una scritta già qui presente dal XIII secolo) a lettere capitali dorate su sfondo nero: NON EST IN TOTO SANCTIOR ORBE LOCUS (Non vi è in tutto il mondo luogo più santo), indicante il particolare spazio in cui si leva l’altare, ove sono custodite le preziosissime reliquie e dove la ricchissima icona Acheropita del Salvatore risalta nel suo inestricabile mistero.
I mosaici della volta di copertura absidale sono collocabili nel medesimo periodo degli affreschi (verosimilmente 1278-1279);  mostrano, su un fondo di tessere rosse e dorate, il busto, secondo lo stile bizantino, del “Cristo Pantocratore" (Onnipotente, Signore del mondo), racchiuso in un clipeo composto da rombi multicolori, sostenuto da quattro angeli in volo a figura intera. L’immagine del Salvatore è ritratta con impostazione trionfale, ieratica, che organizza il punto-chiave dell’area, per mezzo di una raffinata qualità stilistica, caratteristica determinata da una solida maestria anziché da un estro creativo, stretto nei rigorosi schemi del ripetitivo modello orientale, da cui deriva la rigidezza del disegno. Gli angeli, reggenti il cerchio, dalle grandi ali piumate, quasi taglienti, sono raffigurati, invece, con posa vitale, dinamica; la loro forza si esprime in quelle fiammeggianti pose, accese da uno sprigionato senso spirituale. Essi estendono le proprie figure nell’esigua capienza della scarsella, in virtù non delle loro dimensioni corporee ma proprio per quell'energica capacità di movimento -cui le pieghe delle vesti, agitate da un pieno respiro vitale, ne sono la similitudine- sino a invadere la scena, altrimenti statica.
Se la lettura, specificatamente tecnica, conchiude la visione della struttura musiva in modelli ben definiti, parimenti un’interpretazione che ne colga la prospettiva simbolica, di cui sono densi gli elementi sviluppati in tutto il perimetro della Cappella, ne evoca un’immagine differente da quella esposta dal suo diretto aspetto sensibile, perciò idonea ad alludere all'essenza dell’entità tratteggiata. Cristo, raffigurato nel clipeo, è il Centro che rappresenta l’origine del “tutto”, vale a dire l’Uno, il Principio, l’Alfa del creato, dal quale parte e a cui ritorna l’infinito soffio vitale di Dio, che privilegia e muove le molteplici creature umane. Egli crea l'universale causa di tutte le realtà quale Somma Essenza; Ente Assoluto -inteso nel modo Suo più assoluto- è il “motore” immutabile che dà vita al moto del creato.  
Nelle lunette sono effigiati, a mezzo busto, indicati da iscrizioni, S. Pietro e S. Paolo -ai lati di una croce, patriarcale, a doppia traversa, in cui quella superiore è più corta di quella inferiore-, S. Agnese, S. Lorenzo, S. Nicola e S. Stefano. In queste piccole figure, come quelle degli angeli, l’autore non si assoggetta ad apparenti regole costrittive, dettate da un’esigenza di dare forma solenne ai personaggi rappresentati, perciò il suo autonomo verso espressivo si rende manifesto, plasmando forme di vera materia. L’ornamento  racchiude altresì una riuscita rappresentazione di lampade a olio pendenti con docili piccole fiamme, riproduzione di quelle che - all’epoca – ardono dinanzi all’Acheropita.
Ringrazio Michela e Gianni per la squisita gentilezza mostratami  





     





   








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