Il
complesso episcopale sito accanto alla Basilica di S. Giovanni in Laterano, in
origine dedicata al Salvatore e successivamente ai SS. Giovanni Battista e
Giovanni Evangelista, Cattedrale del Vescovo di Roma, si sviluppa, tra il VI e
il IX secolo, nella zona nord-est dell’area -in uno spazio molto più esteso
rispetto all’attuale Palazzo Apostolico-, ed è ampliato e abbellito nei secoli
posteriori. Inizialmente indicato come Episcopium
Lateranus viene chiamato dalla fine del VII secolo, circa, Patriarchium
–patriarca d’Occidente è altro titolo che in origine è attribuito al medesimo
Vescovo “dell’Urbe”- e, dal IX, circa,
anche Palatium.
Il
superbo palazzo papale comprende gli appartamenti privati e la cappella del
pontefice oltre ad aule di rappresentanza e di riunione, oratori, locali
amministrativi e assistenziali, edifici di servizio, collegati fra loro attraverso
corridoi, cortili, porticati, scalinate: ambienti decorati con marmi, mosaici,
affreschi. Il multiforme organismo palaziale, costituito da due piani, è
formato da un’ampia “zona privata” estesa a oriente, più antica e più interna, nonché
da una più esterna, di rappresentanza, edificata a occidente, dinanzi alla
quale si apre la spianata irregolare dell’antico Campus Lateranensis. Nel Medioevo, inoltre, il Patriarchio assume
l’aspetto di una cittadella fortificata munita di torri che spiccano su alti
muraglioni, assomigliando, perciò, a una sorta di borgo.
L’oratorio
di S. Lorenzo in o de Palatio (in seguito detto Sancta Sanctorum) è situato nel Patriarchio; edificato come cappella privata del
pontefice è il luogo ove si conservano numerose e preziose reliquie, nonché
vano dove è posta la veneratissima icona Acheropita del Salvatore, vale a dire
“non fatta da mano”, dunque non opera umana ma realizzata per intervento
divino. Esso quindi si unisce, per mezzo di un connubio espressivo, con la
prima titolazione della Basilica
Salvatoris, alla quale è collegato, tramite un percorso che comprende un lungo
corridoio porticato, il quale “sfocia” nell’ala nord orientale del palazzo, e
l’Aula Concilii (magnifico ambiente
con undici absidi).
Della
sua esistenza, in età altomedievale, ci riferiscono alcune fonti, talvolta
incerte, del VI, VII, VIII secolo e proprio a quest’ultimo secolo appartiene la
notizia, storica, circa la presenza di tale cappella negli spazi del Patriarchium, allorché il 29 giugno 767
vi è ordinato suddiacono e poi diacono, ai fini dell’elezione pontificia,
Costantino, un membro di una potente famiglia originaria di Nepi, che con il
nome di Costantino II è consacrato, papa (storicamente è considerato un
antipapa).
La fisionomia cultuale della cappella
si amplia durante il pontificato di Leone III (795-816), di cui rimane l’ornata
arca di cipresso (custodia di reliquie), di Gregorio IV (827-844), il quale
edifica il suo appartamento nelle vicinanze per recarvisi con più frequenza a
pregare. In epoca successiva la cappella è arricchita da Innocenzo III
(1198-1216), che riveste l’icona Acheropita con una lamina argentea sbalzata,
oltre a ciò chiude con sportelli bronzei l’incavo, dell’altare, ove sono
conservati reliquiari -compreso quello di papa Leone-; l’edificio è restaurato
dal suo successore Onorio III (1216-1227).
La
cappella attualmente si presenta secondo la forma voluta da Niccolò III
(1277-1280), costituendo l’unica testimonianza ancora in situ della splendida residenza papale medievale. In quel
periodo, la santità del luogo determina l’appellativo biblico “Santo dei Santi”
(Sancta Sanctorum), subentrando alla
dedica originaria, in analogia con la denominazione della parte più interna e
sacra del Tempio di Gerusalemme, contenente l’Arca dell’Alleanza.
Nel XIV secolo, durante “l’esilio
avignonese” dei pontefici (1305-1376), il palazzo subisce un progressivo
decadimento, altresì per gli incendi del 1308 e del 1361. Per questa ragione, Gregorio
XI (1370-1378), riportando il papato a Roma (17 gennaio 1377), decide di risiedere
presso il Vaticano, già scelto da Urbano V (1362-1370) durante il breve periodo
del suo “gran ritorno” (16 ottobre 1367-5 settembre 1370). La desolazione che
ha invaso questo insieme di edifici –e non solo-, determina alcuni interventi
di restauro attuati da Martino V (1417-1431), cui seguono i lavori di rinforzo,
posti in opera da Calisto III (1455-1458), della parete orientale del “Sancta Sanctorum”, che perde,
definitivamente, la funzione di cappella, anche cerimoniale, del papa, con il
completamento della profonda ristrutturazione della Cappella Magna (1477-1482:
la Cappella Sistina), in Vaticano, voluta da Sisto IV (1471-1484) e consacrata
il 15 agosto 1483 e dedicata alla Vergine.
Il complesso lateranense “degrada”, in
molte parti, in rovinosa condizione, finché Sisto V (1585-1590) nel 1585
incarica Domenico Fontana di abbattere l’intero Patriarchio, rinnovando
l’assetto urbanistico dell’area (comprendente la costruzione del Palazzo
Apostolico nonché del Santuario della Scala Santa), nell’ambito di un nuovo
piano regolatore di Roma, che prevede la realizzazione di nuovi tracciati viari,
tra i quali, quello di collegamento di S. Maria Maggiore con Trinità dei Monti
e imprese di notevole impegno ingegneristico, come l'innalzamento di grandi antichi
obelischi, tra cui quello di S. Giovanni in Laterano
(1588), quali punti focali di considerevoli ambienti urbani.
Il Santuario della Scala Santa (oggetto
di un mio studio comprendente i sotterranei) è
progettato, dunque, secondo un piano di risistemazione architettonica, allo
scopo di preservare sia la cappella medievale del Sancta Sanctorum, sia la Scala Santa, considerata come quella
salita da Cristo per recarsi al pretorio di Pilato, in origine posta
all’ingresso principale sul lato settentrionale del Patriarchio. Questa
“devozione” verso la “Scala Pylati”,
documentata nell’Anno Santo 1450, forse già così frequentata nel periodo immediatamente
precedente, entra, in modo definitivo, nella storia liturgico-penitenziale
durante il pontificato del medesimo Sisto V. Infatti, con la bolla “Cum singularum rerum” (1590), egli
annuncia il compimento del Santuario affermando, riguardo al Sancta Sanctorum, “che per la santità del luogo lasciammo intatta e immota nella sua sede
primitiva e collocammo in un luogo più decoroso e più santo, più lontano dalla
confusione della folla e più adatto a suscitare la devozione”. La Cappella,
così nascosta alla vista, viene isolata e ubicata, apparentemente, in un
rapporto di dipendenza rispetto all’enfasi cultuale della Scala Santa,
attraverso la quale si esalta la Passione di Cristo.
Già in precedenza Leone X (1513-1521) ha
fissato alcune regole per il culto e le cerimonie liturgiche da osservare dal clero
lateranense, tutte però da officiare al di fuori della Cappella, riservata alla
funzione rituale del solo pontefice o da un cardinale dallo stesso designato; vano
quindi inaccessibile, interdetto alle donne, diviene nel corso dei secoli luogo
di grande fascino per quell’alone misterioso che lo avvolge.
Questo ambiente (restaurato tra il 1994
e il 1996), a pianta rettangolare, preceduto da un breve corridoio d’ingresso,
è definito da un unico spazio coperto da una volta a crociera, che poggia su
quattro colonne angolari, illuminato da monofore; esso si presenta decorato in ogni
superficie con ampie rappresentazioni narrative o con fregi, che emanano
un’intensa sensazione di sacralità, in uno spazio il quale piega verso una
scarsella poco profonda e con volta decorata con un
fulgente mosaico. Tale zona, rialzata su un gradino, è aperta da due colonne in
porfido, di spoglio, aventi capitelli compositi, i quali sorreggono l’architrave con ornamentazione musiva, su cui
corre l’iscrizione (questa ascrivibile alla “fase sistina”, che forse ripete
una scritta già qui presente dal XIII secolo) a lettere capitali dorate su
sfondo nero: NON EST IN TOTO SANCTIOR
ORBE LOCUS (Non vi è in tutto il mondo luogo più santo), indicante il particolare
spazio in cui si leva l’altare, ove sono custodite le preziosissime reliquie e
dove la ricchissima icona Acheropita del Salvatore risalta nel suo
inestricabile mistero.
I mosaici della volta di copertura
absidale sono collocabili nel medesimo periodo degli affreschi (verosimilmente 1278-1279); mostrano, su un fondo di tessere rosse e
dorate, il busto, secondo lo stile bizantino, del “Cristo Pantocratore" (Onnipotente, Signore del mondo), racchiuso in
un clipeo composto da rombi multicolori, sostenuto da quattro angeli in volo a
figura intera. L’immagine del Salvatore è ritratta con impostazione trionfale,
ieratica, che organizza il punto-chiave dell’area, per mezzo di una raffinata
qualità stilistica, caratteristica determinata da una solida maestria anziché da
un estro creativo, stretto nei rigorosi schemi del ripetitivo modello orientale,
da cui deriva la rigidezza del disegno. Gli angeli, reggenti il cerchio, dalle
grandi ali piumate, quasi taglienti, sono raffigurati, invece, con posa vitale,
dinamica; la loro forza si esprime in quelle fiammeggianti pose, accese da
uno sprigionato senso spirituale. Essi estendono le proprie figure nell’esigua
capienza della scarsella, in virtù non delle loro dimensioni corporee ma
proprio per quell'energica capacità di movimento -cui le pieghe delle vesti,
agitate da un pieno respiro vitale, ne sono la similitudine- sino a invadere la
scena, altrimenti statica.
Se la lettura, specificatamente tecnica,
conchiude la visione della struttura musiva in modelli ben definiti, parimenti un’interpretazione
che ne colga la prospettiva simbolica, di cui sono densi gli elementi
sviluppati in tutto il perimetro della Cappella, ne evoca un’immagine
differente da quella esposta dal suo diretto aspetto sensibile, perciò idonea
ad alludere all'essenza dell’entità tratteggiata. Cristo, raffigurato nel
clipeo, è il Centro che rappresenta l’origine del “tutto”, vale a dire l’Uno, il Principio,
l’Alfa del creato, dal quale parte e a cui ritorna l’infinito soffio vitale di
Dio, che privilegia e muove le molteplici creature umane. Egli crea
l'universale causa di tutte le realtà quale Somma Essenza; Ente Assoluto -inteso
nel modo Suo più assoluto- è il “motore” immutabile che dà vita al moto del
creato.
Nelle lunette sono effigiati, a mezzo
busto, indicati da iscrizioni, S. Pietro e S. Paolo -ai lati di una croce,
patriarcale, a doppia traversa, in cui quella superiore è più corta di quella
inferiore-, S. Agnese, S. Lorenzo, S. Nicola e S. Stefano. In queste piccole
figure, come quelle degli angeli, l’autore non si assoggetta ad apparenti
regole costrittive, dettate da un’esigenza di dare forma solenne ai
personaggi rappresentati, perciò il suo autonomo verso espressivo si rende
manifesto, plasmando forme di vera materia. L’ornamento racchiude altresì una riuscita
rappresentazione di lampade a olio pendenti con docili piccole fiamme,
riproduzione di quelle che - all’epoca – ardono dinanzi all’Acheropita.
Ringrazio Michela e Gianni per la squisita
gentilezza mostratami
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