Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

Io Spiego

lunedì 20 marzo 2017

Guidetto (Guido) Guidetti: il prospetto di S. Caterina dei Funari


 
 
Nell’argomentare l’originale talento di Marcello Venusti, esplicitato dalla pala d’altare “S. Giovanni Battista”, che risplende, tra altre pregevolezze artistiche, nella Chiesa di S. Caterina dei Funari (post pubblicato il 29 gennaio 2016, attualmente settimo nella “graduatoria” dei “più popolari”), ho accennato alla luminosa e preziosa sostanza architettonica della facciata di questo tempio, voluto dal cardinale Federico Cesi, sostituendo la precedente chiesa medievale (XII secolo), già appellata Sancta Maria Dominae Rosae.

Il nuovo edificio, dedicato alla martire di Alessandria d’Egitto, rapidamente si eleva tra il 1560 e il 1564, mentre i congiunti ambienti sono realizzati, al contrario, in modo graduale, espropriando anche molte umili abitazioni presenti nella zona, estendendosi la relativa costruzione sino al 1575, circa, concretandosi in diversi ampi e articolati edifici, progettati, secondo alcune ipotesi, da Guidetto Guidetti (? – 1564).   

Egli è architetto di origine toscana, probabilmente giunto a Roma prima del 1520; esegue intorno al 1538 il suo primo, come individuato, considerevole lavoro: il prospetto della Chiesa di S. Spirito in Sassia. Opera edificatoria in precedenza assegnata ad Antonio da Sangallo il Giovane (Antonio di Bartolomeo Cordini, 1484 – 1546), viene successivamente attribuita al Guidetti, proprio in virtù della facciata di S. Caterina dei Funari, poiché questa ne espone rilevanti e sicure affinità nell’impianto complessivo, nelle proporzioni e nell’impostazione decorativa, tanto da assurgere a modello imprescindibile di molte successive facciate cinquecentesche. A proposito della paternità di tale opera, -oggi indiscutibilmente compresa nei lavori del “nostro” Guidetto- si indica, dalla prima metà del XVII sino agli inizi del XX secolo, un altro maestro, Giacomo Della Porta (1532 – 1602), come, ad esempio, riporta il “Nuovo studio di Pittura, Scoltura ed Architettura nelle chiese di Roma”, scritto dall’abate Filippo Titi di Città di Castello e pubblicato, una prima volta, nel 1674 (seguiranno riedizioni ampliate fino a quella del 1763): “Fu fabbricata questa Chiesa con bellissima Facciata e Campanile, dal Cardinal Federico Cesi, e ne fu architetto Giacomo Della Porta … “. A un altro illustre nome è stata altresì affidata la creazione di tale fronte architettonica: Iacopo Barozzi, detto il Vignola (1507 – 1573). Finalmente, al termine del primo decennio del Novecento, viene riconosciuta la mano dell’architetto toscano, “rinvenendo” due iscrizioni incise sull’ornamento murario del prospetto, non vedibili dalla strada e “avvertibili” solo da vicino e con gli appropriati mezzi ottici. La prima scritta riferisce il nome del capomastro, Bartolomeo da Casale Monferrato (fondo del piccolo timpano nella parte destra), mentre la seconda –celata dalla estesa iscrizione dedicatoria- ne insegna il reale autore: “Guideto de Guideti Architector” (in corrispondenza della parola “Cardinalis” addossata alla linea superiore dell’architrave).

Artista che esprime, con personalità consistente, quella cifra stilistica che si vorrebbe includere, da talune voci, nel “Manierismo”, definizione di cui riporto, in parte, le mie considerazioni, evidenziate nel mio su citato post: “ … accezione viva del XVI secolo, la quale adotta il vocabolo “maniera” proprio riguardo allo stile di un artista, con valenza, a secondo dei casi, positiva o negativa, come, per l’appunto, scrive il Vasari … (di “bella maniera”). Inoltre, nelle sue “Vite”, egli, attraverso le espressioni “gran’ maniera” e “maniera moderna” intende risaltare il portato delle enormi levature di Leonardo (1452-1519), di Raffaello (1483-1520) e di altri maestri sui quali spicca Michelangelo (1475-1564) … Il Manierismo, se proprio si vuole concatenare a una formula questo periodo, della cultura figurativa cinquecentesca, è sostanziato da una poetica che esalta la fastosità estetica, la raffinatissima ricerca della complessità, il culmine virtuosistico, la bellezza ove abbia compimento la suprema grazia. In esso respirano antitesi diverse: afflati lirici e mirabili digressioni formali, costruzioni ideologiche e formidabili apparenze irrazionali, tratti classici e acuti segmenti eterodossi. Complesso di “fenomeni” differenti espressi con una efficace e pregiata sintesi, che il Vasari individua nella “licenza, che non essendo di regola” è “ordinata nella regola”.

L’espressività del Guidetti dunque si dispiega con penetrante libertà, elaborando con audaci “elementi plastici” e attraverso un’innovativa lezione, le forme degli stilemi lessicali del classicismo. “Eufonico” appare quel suo creare fusioni di strutture –differenti- architettoniche, in cui sviluppa masse accentuate, sulle quali salde nervature svolgono fughe complesse ma leggibili: con questa luminosa sostanza artistica si mostra, il prospetto, di S. Caterina dei Funari. Notabile perciò la sua armoniosità che sfocia in una complessa ornamentazione, inverando un efficace tema artistico, che dona forme di solido virtuosismo, eleganti passaggi confermanti l’enorme varietà di “figure” strettamente connesse all’articolatissimo –ma non ingarbugliato- disegno generale, anzi i distinti elementi sono pervasi di grazia e di perfetti nessi sintattici.

Innalzata tra il 1562 e il 1564 (muratura, travertino e stucco) la facciata risalta, con tutto il suo portato artistico, nell’angusto ambiente in cui si eleva. Composta di due ordini sovrapposti di paraste corinzie, divisi da un’eminente trabeazione (architrave, fregio, cornice), si evidenzia per il risalto della porzione centrale e per la”fastosità” dell’ornato, inserito con fasce tra i capitelli. Si mostra rialzata rispetto al piano stradale, come sembrano scandirne il proemio i quattro gradini, che introducono il visitatore al prospetto, in cui il registro inferiore snoda in basso una zoccolatura, sulla quale trovano posto lesene alternate a quattro grandi nicchie “chiuse” (sopra e sotto) da simmetriche targhe rettangolari. Distingue l’imponente raffinatezza dell’asse mediano, il portale, affiancato da due colonne scanalate e totalmente sporgenti dalla parete, che terminano nei capitelli corinzi sui quali la piccola trabeazione posa e in essa, nel severo timpano triangolare (perimetrato da dentellature), l’incisione “DIVAE CATHARINAE VIRG ET MART”. Gli stessi capitelli presentano una decorazione insolita, soprattutto in questo periodo, sostituendo le canoniche foglie di acanto e le volute angolari, con i corni dell’abbondanza e con piccoli serti scolpiti tra di essi, sormontati da minuti fanciulleschi visi.  

Se l’abbondante –ma ottimamente distribuita- decorazione architettonica sviluppa elementi tra loro dialoganti e rispondenti, altrettanto ricca è quella ornamentale, realizzata con motivi di festoni, che disegnano una fascia adorna di fiori, di frutta, di nastri svolazzanti, di rose, di rami di palma, di spade e di ruote (queste ultime emblemi del martirio della Santa); un insieme il quale sembra sorreggere, al centro, un medaglione in cui compare l’inscrizione: “DIVAE CATHARINAE VIRGINI “ a ribadire il titolo del tempio. La modanatura, che comprende questo gruppo ornamentale, è un’originale soluzione, che attenua le irregolarità ottiche derivanti da una prospettiva così ridotta, insita nel circostante sito, mostrandosi ben dimensionata e sagomata come palesa la cornice aggettante superiore (che divide le due sezioni), sotto cui la scritta celebra il Cesi: “FEDERIC CAESIUS EPISC CARDINALIS PORTVEN FECIT M D LXIIII”.

Il registro superiore, secondo alcune indagini, evidenzierebbe lievi differenze, scaturendone un ulteriore assunto che, pur affermando il Guidetti quale autore di tutto il progetto, ne riconduce la diretta edificazione soltanto alla parte inferiore. Tale ipotesi, ad ogni modo, non inficia l’appartenenza, dell’intera opera architettonica e decorativa, esclusivamente al “nostro” Guido, come dimostra, ad esempio, il cromatismo riproposto in tutti gli intercolumni: la sezione alta pertanto corrisponde con quella sottostante.

Una linea di tegole, quasi impercettibile, segna tale parte della Chiesa, serrata da due ampie volute a curvatura semplice e cadenzata da quattro paraste poste su zoccolatura, alternate a due spaziose nicchie accostate maggiormente alla base, rispetto a quelle della sezione inferiore, a causa della minore altezza di questo registro; in tal modo sono inserite due sole targhe. Pur in questo livello, tra capitelli corinzi, privi di quegli accenti originali prima descritti, -costituendo uno dei punti che ne vogliono una diversa mano da quella del Guidetti- si distende una ornata fascia di festoni contenenti nastri, ghirlande, perline; ancora, lo stemma della famiglia Cesi di forma ovale e inghirlandato tra aerei nastri, preceduto da una spaziosa targa quadrata con linee simmetriche spezzate, bordata di leggere volute. Al centro s’irradia una grande luce che richiama il rosone, per rappresentare, probabilmente, il ricordo dell’antecedente chiesa medievale, oculo cui corrisponde il portale dell’ordine inferiore. Il prospetto di S. Caterina dei Funari termina con il voluminoso - però tenue nel suo tono- timpano triangolare, cinto da dentellature, sormontato da quattro candelabri e dalla Croce.

L’artista di origine toscana possiede un raffinatissimo senso del chiaroscuro, una indiscussa minuta perizia circa l’esposizione del particolare incluso in un finissimo senso decorativo, come dichiara il prospetto di questa Chiesa, sua migliore opera, ove la sua fantasia si libra in concreta compiuta azione, dove raggiunge un esaltante equilibrio tra linee architettoniche e accenti decorativi: lavoro degno di essere compreso tra le maggiori testimonianze artistiche del Cinquecento. L’ornamentazione, sua qualità più evidente, mai piega in formalismo “di mestiere” e mai il Guidetti smarrisce l’orditura architettonica della fabbrica, poiché felice si dilata il profondo legame con l’edificio in costruzione. Egli, in maggior misura nel progetto di S. Caterina, non si esilia in quella penuria di inventiva architettonica, nascosta da una immota e tediosa psuedo-fertilità decorativa: la sua vena non indugia in astratti o risaputi canoni, essa ha intima veste di spontaneità, aderente con appropriatezza al tema affrontato.