Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

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sabato 18 luglio 2015

Arcangelo Corelli: il paradigma musicale dell’ambiente aristocratico e artistico romano

Jans Frans van Douven: ritratto di Arcangelo Corelli (particolare). Immagine tratta da "Google Immagini"


 


Dalle plurime figure che di Roma ne esprimono, con evidenza, l’iridescente carattere storico e artistico, avanza, tra persistenti agili note, Arcangelo Corelli (1653-1713). Ho menzionato questo eccelso compositore e violinista nel mio post, Handel nello splendido vivore artistico di Roma”, pubblicato lo scorso 6 febbraio, descrivendo il peculiare clima scaturito dal grande mecenatismo romano, che accoglie la feconda magnificenza di questo periodo, ove il magistero musicale si accorda con quelli di altre espressioni creative, in una smagliante levatura estetica e culturale.
 
Nato a Fusignano, località del ravennate, territorio in cui si estendono le numerose proprietà, agricole, della sua famiglia, contraddistinta da un temperamento impetuoso, irrequieto e colmo d’orgoglio, segni distintivi che nell’artista permangono, il più delle volte, celati da un ritegno quasi malinconico, il quale lo effigia personaggio, celebre, dal carattere dolce, disposto alla pazienza e alla benevolenza.
 
Stabilitosi a Roma nel 1675, già talentuoso musicista, trova seguito nell’ambiente aristocratico, come ad esempio palesa la sua lettera, del 1679, inviata al nobile Fabrizio Laderchi, dimorante a Firenze, quale risposta a una richiesta di comporre un lavoro musicale per violino e liuto: ” … le mie sinfonie sono fatte solamente per far campeggiare il violino e quelle d’altri professori non mi paiono cosa a proposito. Sto adesso componendo certe sonate che si faranno nella prima Accademia di Sua Maestà (Cristina) di Svezia della quale sono entrato in servizio per musico da camera, e finite che le avrò, ne comporrò una per Vossignoria … dove il leuto pareggerà il violino”. Si nota che, l’artista, in questa autocritica concernente una sua lacuna tecnica, mette però in risalto l’inesistenza, di altri maestri, maggiormente capaci rispetto alle sue manifestate doti. Le sonate –dodici- cui fa riferimento Corelli sono completate ed eseguite nel 1680 con l’intitolazione “Opera prima: Sonate à tre, doi Violini, e Violone, o Arcileuto, col Basso per l’Organo Consecrate alla Sacra Real Maestà di Cristina Alessandra Regina di Svezia”.
 
La brillante cerchia artistica romana, incoraggiata da questa regale, particolare, signora e da altri maggiorenti intellettuali – soprattutto i cardinali Benedetto Pamphilij e Pietro Ottoboni-, assiste a un fondamentale momento di accrescimento della musica strumentale europea, scaturito dall’estro del maestro “Bolognese” –così frequentemente nominato- che definisce la forma sonata nell’ultima parte del XVII secolo e nei primi vagiti del XVIII secolo. In essa Corelli vi sprigiona la completa cantabilità del violino attraverso una struttura, apparentemente, semplice; la tessitura –espressività elevata- è svolta con altezze raffinatissime, sorretta da un contrappunto in cui le melodie vigorosamente si combinano ed eleganti fioriture appaiono in differenti lunghezze; nei movimenti lenti, ricchi di flessuose ornamentazioni, svetta una fluida linea melodica, soggetta a eleganti figurazioni ornamentali; molti passaggi introducono una maggiore contrapposizione tra le parti, trasformando il dialogo in serrato confronto sfociante in un’equilibrata contesa.
 
Georg Muffat, uno dei maggiori organisti tedeschi che precede l’arte di Bach, durante il suo soggiorno “di studi” romano (1681-1682) ascoltando “con sommo diletto ed ammiratione” alcune sonate, eseguite nel modo dei concerti grossi (che egli introdurrà in Germania), afferma che “alcune bellissime suonate del Sign.r Archangelo Corelli, l’Orfeo dell’Italia per il violino” sono “prodotte con grandissima puntualità, da copiosissimo numero di suonatori”.
 
Allorché nel 1700 è pubblicata l’Opera quinta, la scrittura del “Bolognese” sorprende per la maniera con cui affronta la sonata per violino solo e basso (continuo; sistema di codifica di accordi il cui compimento è poi consegnato alla capacità degli esecutori), sequenza di tempi eterogenei sviluppati in forma di suite. Vi risaltano, tra quanto vi è contenuto, le audaci variazioni -con “basso ostinato” lancinante e quasi ossessivo pur mantenendo una palpitante vivacità- sul tema de “La Follia”, motivo di una danza portoghese, fluita successivamente in Spagna, in auge nell’Europa del XVI e XVII secolo. Questa interpretazione rappresenta uno dei culmini dell’arte musicale di Corelli.
 
Negli anni successivi egli esegue, nei suoi concerti, alcune sezioni -quale incessante perfezionamento della forma– di quella che sarà denominata “Opera sesta”, la cui attesa si manifesta, in più occasioni, intensa, come dimostra nel 1711 Andrea Adami musicista, già cantore e maestro della Cappella pontificia, che nel definire l’artista ravennate “gloria maggior di questo secolo” e le cinque opere realizzate “la meraviglia del mondo tutto”, esclama: ” presentemente sta perfezionando l’Opera Sesta de i Concerti, che in breve darà alla luce e con essa si renderà sempre più immortale il suo nome”.
 
L’opera viene pubblicata postuma, nel 1714, come “Opera sesta: Concerti grossi con duoi violini e violoncello di concertino obligati e duoi altri violini, viola e basso di concerto grosso ad arbitrio” ed è subito accolta con entusiasmo, come la precedente, a Roma e poi in tutta Europa, massima espressione di tale forma musicale dell’epoca, con la caratteristica antitesi tra il concertino (tre strumenti solisti) e il “tutto orchestrale”.
 
Riguardo alla mitezza caratteriale, di Corelli, alcuni episodi ne svelano la figura troppo compressa dalle eccessive esagerazioni dei biografi, come rileva, ad esempio, la sua impetuosa risposta (17 ottobre 1685) a una “maliziosa” lettera (26 settembre 1685) del bolognese Matteo Zani, il quale giudica la Sonata terza dell’Opera seconda comprendere dei riprovevoli errori, tali da rappresentare un' irrazionale scrittura anche a musicisti virtuosi: ”  … il foglio del passo della suonata terza, dove cotesti Virtuosi hanno difficoltà, e non me ne meraviglio punto, mentre da ciò comprendo benissimo il loro sapere, che si stende poco più oltre de primi principii della compositione e modulazione armonica, poiché se fossero passati più avanti nell’arte, e sapessero la finezza, e profondità di essa, e che cosa sia armonia et in che modo possa dilettare, e sollevare la mente humana non haurebbero tali scrupoli, che nascono ordinariamente dall’ignoranza”.
 
Nella “discussione a distanza” che ne segue interviene altresì Antimo Liberati, cantore pontificio, stimato organista e maestro di cappella in molte chiese romane; egli con vigorosa lode così fissa il suo pensiero riguardo all’estro di Corelli: “Havrà molto da sudare chi presumerà d’eguagliarlo, non che di avanzarlo … i suoi scritti in materia di sinfonie, potranno servire d’insegnamento e d’autorità à tutti li studiosi e chiunque cercherà d’imitarlo, e prendere autorità da suoi esempi, sarà certo di non errare … Questo gran virtuoso è figlio della Scuola di Roma … stile al maggior segno dilettevole, ed impareggiabile e pieno di tutte le vaghezze, e bellezze che possa cadere nella mente humana”.
 
Indiscutibilmente all’età di trentadue anni, il “Bolognese”, è considerato l’apice musicale della scuola romana, che ne esalta la grandezza insita nella sua arte compositiva, graditissima, tra le molte influenti “personalità”, al suo ultimo mecenate, il cardinale Pietro Ottoboni –autentica autorità culturale-, col quale stringe una sincera amicizia, che dimostra la sua elevata “posizione sociale”, svincolata perciò da quella “accessorietà” nei confronti della nobile committenza. Infatti, un altro evento ne testimonia il peculiare carattere, talvolta pronto a mostrarsi orgoglioso e reattivo a seguito di un’offesa subita. Durante un concerto egli smette, improvvisamente, di suonare poiché il cardinale è preso da una conversazione e alla domanda di questi circa l’interruzione, il maestro fieramente risponde: ”… temevo soltanto di disturbare i suoi affari”; il porporato deve scusarsi pregando l’artista di ricominciare l’esecuzione musicale.
 
Onusto di onori, Corelli, non può non essere un arcadico, invero, il 26 aprile 1706, diviene uno degli “associati” dell’Accademia dell’Arcadia, assumendo il nome di Arcomelo; una festa ivi svolta è narrata da Giovan Mario Crescimbeni, uno dei fondatori dell’Accademia stessa (1690) di cui è il custode generale: ” Avendo Terprando (Alessandro Scarlatti) coi suoi compagni, ordinato quanto era d’uopo … incominciò Arcomelo la musica … con una di quelle bellissime sinfonie fatte nella nobil capanna dell’acclamato Crateo (il cardinale Ottoboni). Meraviglioso … fu l’esatto accordo degli strumenti a fiato con quelli da arco … ma cio ch’egli (Corelli) fece col suo strumento eccedé la meraviglia stessa” (da L’Arcadia, 1708). Nelle “Notizie istoriche degli Arcadi morti” (1720-1721) il Crescimbeni dona, sebbene con enfasi celebrativa, alle età future un ritratto (postumo) del musicista: ” … apprendendo il suono del violino, vi prese … tal genio che badò solo a questo; e trattenessi nella … città di Bologna quattro anni, ove fece sì alto ingresso che in memoria volle assumere la sua denominazione dalla stessa Città, essendosi fatto chiamare finché visse il Bolognese. Si trasferì finalmente in Roma, ove nel corso del tempo arrivò a tanta eccellenza nel maneggio di quello strumento, che a dir il vero niuno agguagliollo … Egli fu il primo che introdusse in Roma le sinfonie di tal copioso numero e varietà di strumenti, che si rende quasi impossibile a credere come si potessero regolare senza timor di sconcerto, massimamente nell’accordo di quei da fiato con quei da arco … Alla mirabil pratica accoppiò egli una pienissima teorica nella stessa arte; per la quale compose a suoi giorni infinite bellissime sinfonie, nelle quali l’allegro non mai offese il grave; e tutte egualmente uscivano dilettevoli e maestose … Come famoso dunque fu ben sempre riguardato in Roma … e dalla Corte, e specialmente dall’amplissimo Cardinale Pietro Ottoboni …”.   
 
Francesco Gasparini, allievo di Corelli, è altra “fonte storica”, che guida lo sguardo sulle caratteristiche delle opere corelliane: ” … con tanto artifizio, studio e vaghezza, muove e modula  quei suoi bassi con simili legature e dissonanze tanto ben regolate e risolute, e sì ben intrecciate  con la varietà de’soggetti, che si può ben dir che abbia ritrovata la perfezione di harmonia che rapisce”.   
 
Il “Bolognese” partecipa attivamente a quel “sistema delle arti” all’epoca frequentatissimo; la sua esplicita erudizione, accompagnata da un’evidente “finezza di gusto”, favorisce il suo interesse verso altri accenti artistici, anche manifestate da diverse culture. Difatti, egli vanta una consistente collezione di dipinti e di disegni (tra centotrentasei e centoquarantadue), comparendo quale una delle sue “ragioni di vita”, testimonianza di diletto del musicista che, nell’arte figurativa, ritrova un aspetto estetico simile al suo, benché trapuntato con note sonore.
 
La sua “pinacoteca” è conservata nella piccola dimora presa in affitto del palazzetto Ermini, edificio che si affaccia sulle attuali Via Sistina (all’epoca denominata Strada Felice) e Piazza Barberini; in quegli “ristretti” locali troneggia una Madonna del Sassoferrato, nonché si ha notizia di opere di Carlo Maratta, di Francesco Trevisani, di Gaspard Dughet e di altri pittori italiani e nordeuropei.
 
Essa modula un dialogo estetico denso di colori, di figure, di gestualità caratterizzanti altresì la musicalità corelliana, che, nella sua vivacità, rimane però salda affermando un’eleganza “classica”, la quale non affronta, dunque, quelle trame “azzardate” così ben definite nel linguaggio “barocco”, eppur vicine a quel suo mondo sonoro, tanto che, questo, si rivela squisitamente correlato con la grandiosa visione di Roma, creata dal Bernini, dal Borromini e dal Cortona.
 
Immagine tratta da "Google Immagini"