Il
mio post, “François Duquesnoy, detto Francesco Fiammingo: la statua di
S. Susanna della Chiesa di S. Maria di Loreto al Foro Traiano”, pubblicato il 22
ottobre 2015 (terzo -alla data di pubblicazione di questo studio- tra quelli maggiormente letti), introducendo tale lavoro
scultorio, si sofferma sul sito ove esso è posto, brano che di seguito
parzialmente riporto nel successivo capoverso.
La
Piazza della Madonna di Loreto si rivela come una “sporgenza distintiva” di
Roma, per la presenza dei resti della Basilica Ulpia con la poderosa Colonna
Traiana, verso cui sembrano protendersi le Chiese del SS. Nome di Maria e della
Madonna di Loreto; quest’ultima è un complesso di parti distinte però
corrispondenti e disposte in perfetto equilibrio espositivo tra loro,
richiamando, tra gli altri, i nomi del Bramante -possibile autore del primo
progetto della riedificazione della Chiesa, avvenuta tra il 1510 e il 1592 e
definitivamente completata nel 1690-, di Antonio da Sangallo il Giovane, di
Giacomo del Duca (detto anche Jacopo, brillante allievo di Michelangelo).
S.
Maria di Loreto, scrigno di superbe bellezze artistiche, che ne manifesta la
luce già dall’insieme architettonico esterno.
Luogo
cultuale affidato alla Confraternita sorta, durante il giubileo del 1500, in
seno all’antica Università -nel significato medievale di corporazione, insieme
di persone associate e di ciò che esse realizzano- dei fornai e dei misuratori
di grano e loro garzoni, cui la prima notizia documentata è ascritta al 1318. Riconosciuta
da Alessandro VI, ad essa viene concesso, dal medesimo pontefice, l’acquisto
dell’area in cui già sorge un piccolo luogo cultuale, dove è collocata la pregevole
tavola Padre Eterno che guarda la Vergine di Loreto tra i Ss. Sebastiano e
Rocco di Marco Palmezzano (ante 1492). La nuova Confraternita conserva questa pittura, come ancona sovrapposta all’altare maggiore della Chiesa successiva,
che edifica -demolendo la precedente- consacrandola a S. Maria di Loreto e
alla Natività della Vergine, prendendone il titolo di Confraternita della
Madonna di Loreto (oggi Pio Sodalizio dei Fornai). La presenza dei fornai, in tale zona, sembra voler riecheggiare
quella già dell’antica Roma, poiché Traiano vi avrebbe collocato, secondo
un’ipotesi oggi respinta, il mercato del pane con l’attiguo collegium
dei fornai. Infatti, la Chiesa sorge sul limite della Basilica Ulpia, voluta, per
l’appunto, dall’imperatore Marcus Ulpius Traianus (98-117).
L’attività inerente alla natura di questa congregazione di
fedeli, costituita per il compimento di opere caritatevoli e di misericordia,
determina nel 1564 l’innalzamento, contiguo alla incompiuta Chiesa, di un
ospedale (completato nel 1570) per i fornai infermi, approvato con motuproprio
di Pio IV il 13 agosto del medesimo anno. Vi si ricoverano i panificatori -e
loro collaboratori- malati e residenti in Roma e nelle sue vicinanze, cui i più
bisognosi sono assistiti anche con generosi atti di beneficenza economica; viene
successivamente edificato altresì un oratorio (1577-1585). Nel 1872, per il progetto di risistemazione dell’area circostante, sono
espropriati alla Confraternita alcuni edifici, cui seguirà nel 1900 la
demolizione dell’ospedale, cui spazio è parzialmente poi occupato dal palazzo
delle Assicurazioni Generali di Venezia (1902-1906).
La vivacità spirituale ed
economica, di tale Confraternita, dunque è attestata durante il trascorrere di
quasi quattro secoli, riconducendoci al 1507, allorché Giulio II approva
quest’opera spirituale con un breve, consentendo perciò l’edificazione della
nuova Chiesa, che avviene, per l'appunto, dal 1510 al 1592, completandosi nel 1690 dopo la
realizzazione della tribuna (già parzialmente costruita), della sagrestia e dell’insieme
decorativo interno.
Il primo magnifico nome, legato
all’edificazione del nuovo luogo cultuale, è quello di Donato Bramante, forse a
Roma dall’estate del 1499 (una presumibile, antecedente, presenza romana
risalirebbe al 1493), cui il suo primo lavoro è riportato nella Vita di
Bramante da Urbino, architettore contenuta nelle Vite del Vasari:”...
partitosi da Milano, se ne venne a Roma innanzi lo anno Santo del MD, dove
conosciuto da alcuni suoi amici e del paese e lombardi, gli fu dato da dipignere
a S. Giovanni Laterano, sopra la porta santa che s’apre per il Giubbileo, una arme
di papa Alessandro VI lavorata in fresco, con Angeli e figure che la sostengono"
(affresco distrutto nel XVII sec.).
Da un disegno del Bramante,
eseguito intorno al 1505, deriverebbe, come si ipotizza, il primigenio cantiere
della Chiesa di S. Maria di Loreto. Egli ha già eseguito il chiostro e il
convento di S. Maria della Pace (1500-1504), sta realizzando il Tempietto di S.
Pietro in Montorio (1502-1509, circa). Dal 1504 interpreta architettonicamente
il disegno di rinnovamento trionfalistico, che il Complesso Vaticano deve
testimoniare (Cortile del Belvedere, Cortile delle Statue primo vagito del
futuro Museo), agognato dal nuovo pontefice, Giulio II (1503-1513), che investe
ovviamente l’antica Basilica di S. Pietro. La sua demolizione -in gran parte
compiuta- consegna al Bramante l’appellativo “mastro Ruinante”; i
relativi imponenti lavori (avviati nel 1506) del costruendo tempio lo impegnano,
tra altre realizzazioni, sino alla morte (1514).
Proprio la pianta di S. Maria di Loreto ne
suggerisce la mano bramantesca, se correlata con quella ideata per la Basilica
Vaticana (immagine 1).
Bramante: pianta della progettata Basilica di S. Pietro in Vaticano
Invero, quest’ultima prevede
un’aula a croce greca contenuta in un quadrato con quattro torri angolari,
oltre a una cupola centrale e quattro cupole minori laterali, risolvendo
quell’ideale di classica solennità propria della concezione del Bramante.
Dei suoi studi, del suo lungo
fermarsi a riflettere sulle antichità, tanto da rallentarne l’attività (tra il
1502 e il 1504), lo rammenta il Vasari:” Aveva Bramante recato di Lombardia,
e guadagnati in Roma a fare alcune cose certi danari; i quali con una masserizia
(oculatezza nello spendere) grandissima spendeva, desideroso poter
vivere del suo, et insieme, senza aver a lavorare, poter agiatamente misurare
tutte le fabriche antiche di Roma. E messovi mano, solitario e cogitativo se
n'andava; e fra non molto spazio di tempo misurò quanti edifizii erano in
quella città e fuori per la campagna; e parimenti fece fino a Napoli, e
dovunque e' sapeva che fossero cose antiche; misurò ciò che era a Tiboli et
alla Villa Adriana, e come si dirà poi al suo luogo, se ne servì assai”.
L’accentrata simmetria pregna di
densa classicità, progettata dall’artista architetto, per la Basilica di S.
Pietro, appare preannunciata dall’impostazione dell’aula di S. Maria di Loreto,
pur con i possibili mutamenti eseguiti nel corso della relativa edificazione.
Infatti, la pianta ottagonale è incisa in un quadrato, comprendente quattro
cappelle semicircolari disegnate come grandi nicchie (immagine 2), sostanziando
una pacata monumentalità, un disteso e largo movimento spaziale.
Pianta della Chiesa di S. Maria di Loreto al Foro di Traiano
La conduzione della prima fase dei
lavori, di questa Chiesa al Foro Traiano, si rivela comunque nebulosa, considerando
che documenti indicano il Bramante, tra i suoi ormai molteplici lavori, attivo -per
volontà di Giulio II (25 novembre 1507)- presso la costruenda Basilica della Santa Casa
di Loreto (1508-1509), per la quale, nello stesso periodo, disegna sia il
prezioso rivestimento marmoreo, per l’appunto, della Santa Casa inglobata nella
Basilica, sia il monumentale Palazzo Apostolico. Fervida attività quindi
reclamante una dinamica e produttiva bottega, vera prima “azienda”, in tal
sfera, nel Rinascimento. Da tale solerte e impegnativo contesto, deriva la
possibile iniziale conduzione, di un suo allievo, dell’impianto edificatorio
(1510) della Chiesa progettata innanzi alla Colonna Traiana, che riguarderebbe
soltanto la posa delle fondamenta. Non trova invece alcun oggettivo riscontro
la remota ipotesi del, successivo, coinvolgimento, in tale cantiere, di Andrea
Sansovino (Andrea Contucci), lavoro che
sarebbe compreso nel suo periodo romano, iniziato nel 1505 e concluso nel 1513,
quando riceve l’incarico di soprintendente alla Fabbrica del Santuario
della S. Casa a Loreto (giugno 1513). Vi giunge nel febbraio del 1514,
rimanendovi sino al 1527, con alcuni contemporanei interventi in altre
località; muore nel 1529 nel suo originario luogo, Monte San Savino. A Loreto però, la
sua capacità architettonica, è giudicata non confacente al grandioso lavoro
commissionatogli; per tale motivo gli è affidata la sola decorazione scultorea (1518-1523) del
rivestimento marmoreo, in precedenza disegnato dal Bramante, per il quale realizza
una sequenza di Sibille e Profeti nel contesto di Storie della
Vergine, incise su rilievi. Proprio il “versante scultorio” documenterebbe
la presenza del Contucci, nella Fabbrica della Chiesa al Foro Traianeo, poiché
gli si attribuisce la scultura, posta nel timpano del portale principale, Vergine col Bambino e la Santa Casa di
Loreto. Questa supposizione appare
labile, in forza della cronologia inerente alle varie fasi edificatorie
(iniziali e intermedi) della Chiesa, totalmente non coincidenti con la sua vicenda
umana; difatti la sezione inferiore del prospetto (come si vedrà) viene completata
dopo il 1531. Per questo motivo formulo la tesi che, il piccolo gruppo scolpito
(oggi per lo più deteriorato), potrebbe essere stato eseguito da un
allievo-collaboratore della folta bottega del Cordini, come mero elemento
decorativo, vagamente echeggiante il Contucci.
Si giunge così proprio
ad Antonio da Sangallo, il Giovane (Antonio
Cordini), collaboratore del Bramante prima come carpentiere e seguentemente
quale architetto, verso il quale non può accettarsi l'ipotesi che sia stato il primo architetto di S.
Maria di Loreto, perché realmente inizia la pratica architettonica tra il 1514
e il 1515, che lo vede, soltanto nel 1518, continuare l’edificazione di questa
Chiesa, interrotta dopo breve tempo e ripresa nel 1522 sino al 1527. Attesta,
tale visuale, l’antecedente acquisita sua esperienza (ante 1514, anno della
morte del Bramante), considerevole in ambito di cantieri e quindi
estrinsecazione di una particolare abilità di natura tecnica, ma non creativa,
sottoposta alle specifiche indicazioni del medesimo Bramante, nelle numerose
opere eseguite durante il pontificato di Giulio II (morto nel 1513). Perizia
“di mestiere” determinante, pur nelle seguenti stagioni, le commissioni
ottenute, che seguono perciò la sua fama di esperto tecnico.
La
sua posteriore pratica architettonica è colma di ascendenze bramantesche, oltre
a quelle degli zii materni (Giuliano Giamberti detto Giuliano da Sangallo,
Antonio Giamberti
detto Antonio da Sangallo, il Vecchio), insopprimibili influenze da cui trae
anche una certa attitudine a distribuire, simmetricamente, gli ambienti interni;
suggestioni architettoniche dell’antica Roma in lui generano un senso di forza,
che tenta di trasformare in solidità di portanti elementi altresì estetici. Tuttavia
spesso appalesa un’ingombrante acerbezza di strutture; se dalla maturità artistica
(1524) genera marcate soluzioni spaziali, in grado di organizzare una funzione
ritmica di elementi strutturali, affermando contestualmente un florido e attivo
rimando all’arte bramantesca con echi raffaelleschi, allo stesso modo non
riesce ad esiliare talune indeterminatezze. Nell’ultimo tratto del suo percorso
artistico (e
di esistenza) avvicenda
differenti accenti e variegati canoni, assieme a ritorni di utilizzate
espressioni, accennando altresì nuovi temi, preludi delle successive elaborazioni
dell'architettura che cadenzano il XVI sec. Composito insieme dovuto,
soprattutto, alla sua rodata
destrezza
e maestria
però non scevre di una persistente gracile fusione di volumi e di piani.
Questo
generale quadro, sull’impostazione artistica del Sangallo il Giovane, asserisce
che, per quanto l’impianto centrico ad ottagono regolare -circa la superficie
interna di S. Maria di Loreto- sia alquanto presente nel linguaggio di tale
artista, evidenziando, come detto, uno stretto rapporto con la cifra
architettonica del Bramante -dimostrato altresì dal corpo basamentale della
Chiesa-, appare sostenibile il concetto di trascrizione compiuta, dallo stesso
Cordini, riguardo all’originario disegno, rimanendo quindi, pur nella forma
definitiva, bramantesco nelle sue linee portanti.
I lavori, come
certificano le relative date, proseguono con enorme lentezza, a motivo delle
cospicue opere commissionagli in progressione, tanto da impiantare una bottega
assai numerosa, cui i collaboratori si muovono con incarichi aggiuntivi, subalterni
però indispensabili in relazione alla loro capacità, alla specifica competenza,
permettendo l'accoglimento e l'assolvimento simultaneo di una mole di
commissioni, incarichi, interventi, tutti affrontati con operativa efficacia imprenditoriale,
rispettati rapportando ed incrementando l'impegno in base al rilievo del lavoro
e prestigio del committente, del reale guadagno.
Questo contesto
segnato da un’indubbia abilità produttiva, del Sangallo, insita nelle copiose
assunzioni di appalti, incide sull’andamento del cantiere della “nostra” Chiesa,
considerando anche la sua nomina, conferitagli da Leone X, a capomastro della
Fabbrica di S. Pietro (aprile 1520), subito dopo la morte di Raffaello,
affiancato da Baldassarre Peruzzi (agosto 1520), con il quale esegue anche altri
lavori. Oltre a ciò, dal 1525, essendo l’architetto del papa, attende alla continuazione
dei lavori del Santuario di Loreto, comprendenti anche il proseguimento di
quelli interessanti il Palazzo Apostolico. A questa pletora di fervide
attività, drammaticamente si contrappone il “Sacco di Roma” (maggio
1527-febbraio 1528) con le sue devastanti rovine altresì economiche. Per questa
ragione le opere edificatorie di S. Maria di Loreto sono da lui riavviate nel
1530 e dirette sino al 1534, circa, dando definitiva forma alla sua parte
inferiore con il prospetto principale (completato dopo il 1531), con la
copertura -provvisoria- lignea a superfici inclinate (a tetto) e con l’impianto
della cupola appena pronunciato.
L’immancabile
Vasari, in riferimento a tale opera, scrive nella Vita D’Antonio da
Sangallo, archiettore fiorentino.” In questo tempo al macello de’ Corbi
(via Macel de Corvi, scomparsa durante la trasformazione della zona avvenuta
per l’innalzamento del Vittoriano) a Roma, vicino alla colonna Traiana,
fabbricandosi una chiesa col titolo di Santa Maria da Loreto, ella da Antonio
fu ridotta a perfezione con ornamento bellissimo”.
La Chiesa
viene, pur incompleta, allestita con un “momentaneo” minimo arredo e consacrata
una prima volta nel 1535 per poi essere risacralizzata durante il giubileo del
1550. Si deve invece attendere il 1573, per la ripresa dell’opera
architettonica, con il completamento delle facciate laterali e con le
costruzioni della cupola e del campanile, terminate nel 1577. A questa data rimangono
da eseguire la tribuna (in forma definitiva), la sagrestia e la decorazione
interna; marginali lavori di rifinitura, architettonica, esterna e interna si protraggono
fino al 1592, data incisa
sotto l’oculo della cupola, compreso nell’asse sovrastante la luce e il portale
centrale. Tale ulteriore fase è consegnata -sino al 1577- all’architetto e scultore siciliano, natio di
Cefalù, Giacomo (o Iacopo) Del Duca (così “romanizzatone” il cognome Lo Duca).
Lo
zio paterno Antonio è un sacerdote di carica vita spirituale, amico di Ignazio di Loyola
e di Filippo
Neri, ministro religioso proprio di S. Maria di Loreto, oltre a essere frequentatore
di Michelangelo, il quale possiede la dimora-bottega nei pressi di tale Chiesa.
Giacomo, chiamato a Roma da questo suo vicino parente, che presenta al
Buonarroti, inizia un fruttuoso esteso alunnato nella bottega michelangiolesca,
rimanendovi sino alla morte del sommo artista (1564) impegnandosi in sculture,
in lavori di fusione; specialmente per questi ultimi è molto considerato da Michelangelo.
Tale attitudine viene esaltata dal Vasari nell’edizione “giuntina” (1568) delle
Vite de' più eccellenti pittori scultori, et architettori, pubblicazione
ampiamente ingrandita e revisionata, curata dalla stamperia Giunti con
l’aggiunta, all’originario titolo, Vite de' vivi, et de' morti, dall'anno
1550 infino al 1567. In essa non è stesa una biografia di Giacomo Del Duca,
ma nel capitolo “Vita di Michelagnelo Buonarruoti”, a proposito dei
lavori nella Basilica di S. Maria degli Angeli e dei Martiri, si esprime in
questi termini: “Jacopo Ciciliano, eccellente gettatore di bronzi, che fa
che vengono le cose sottilissimamente senza bave, che con poca fatica si
rinettano; che in questo genere è raro maestro”.
Tra
le testimonianze documentali a noi pervenute, risaltano, oltre a quelle
attestanti la sua cultura, quelle relative al suo rapporto con il magnifico
artista. Infatti, in una lettera del 15 marzo 1565, indirizzata a Leonardo
Buonarroti -nipote di Michelangelo, già padrino di battesimo del figlio di
Giacomo - erede del cospicuo patrimonio e delle opere dello zio, il Del Duca
manifesta la sua profonda riconoscenza nei confronti del Buonarroti: “io me
vergogno a dire che sono qualche cosa et sono niente et non so niente ma quel
poco che sono tenuto et la conoscenza chio in Roma, lho per avere stato sotto
lombra de Missere”. Da rammentare, a tal riguardo, che Michelangelo
sembrerebbe riferirsi al medesimo Del Duca, in una sua lettera (1542), nella
quale indica “Jacopo mio garzone”, in quel periodo compreso tra il
gruppo di scultori -bottega michelangiolesca- impegnati a completare la tomba
di Giulio II nella Basilica di San Pietro in Vincoli, cui lo scultore siciliano
assume, secondo quanto ad oggi documentato, una posizione marginale. Egli successivamente sviluppa il proprio sistema, che dà vita alla "compenetrazione" di più figure architettoniche nello stesso corpo edificato -forme architettoniche fuse l'una nell'altra-, uno dei versi
principali del linguaggio del Buonarroti.
Mentre "Jacopo" realizza la sua alta espressione in S. Maria di Loreto, esegue anche, tra il 1575 e il 1577, un basso recinto ornamentale intorno alla prospicente Colonna Traiana- incluso nel programma di ristrutturazione urbanistica voluto da Gregorio XIII (1572-1585) -, progetto cui, precedentemente, è stato investito Michelangelo (suo disegno del 1558). Già un’incisione del 1692 però non lo mostra in loco.
Mentre "Jacopo" realizza la sua alta espressione in S. Maria di Loreto, esegue anche, tra il 1575 e il 1577, un basso recinto ornamentale intorno alla prospicente Colonna Traiana- incluso nel programma di ristrutturazione urbanistica voluto da Gregorio XIII (1572-1585) -, progetto cui, precedentemente, è stato investito Michelangelo (suo disegno del 1558). Già un’incisione del 1692 però non lo mostra in loco.
Nel
1592 Del Duca ritorna in Sicilia, a Messina; nel frattempo è stato espulso
dalla Confraternita di Santa Maria di Loreto (cui ne è membro), probabilmente
per contrasti di natura artistica.
L’impianto
architettonico di questa Chiesa romana si evidenzia -per quanto si è illustrato
- silloge delle differenti “mani architettoniche”, succedutosi con le diverse
fasi edificatorie.
Si può iniziare la veduta (immagine 3), dell’articolazione
esterna, sottolineandone quell’emanare plastico spessore, fissato in ogni parte
strutturale, da una resa quasi pittorica delle superfici, soprattutto per
merito di quanto impostato da Giacomo Del Duca, che incide sull’edificio l’accentuato
carattere ascensionale, sillabato sino alla lanterna -dalla particolare
plasticità scultoria- che si erge dalla cupola.
S. Maria di Loreto al Foro di Traiano: prospetto principale |
Il dado basamentale -effigiante il
carattere bramantesco del progetto- rappresenta, per quanto poi edificato dal
Del Duca stesso, un vivo piedistallo della cupola. I registri, del
piano basamentale, sono
enunciati dal ritmico e coerente solido assetto dell’insieme architettonico, sagomato
con squisito senso
artistico, effondendo levature prossime a una pittoricità tinta di morbidi
colori.
Il prospetto -svolto anche nelle laterali
fronti-, composto da laterizio (terracotta e mattoni) con inserti in
travertino, è modulato in tre sezioni da binate paraste corinzie (con funzione portante), con nicchie e portali
risaltati da una cornice arcuata. I registri inferiori sono
suddivisi da modanature orizzontali -di travertino- in tre segmenti, che si estendono,
come in una partitura, dall’ampio zoccolo sino alla lievemente aggettante
cornice superiore, introducente l’attico.
Il portale principale (immagini
4; 5 particolare), prospicente alla Colonna di Traiano, ripete lo schema del
più misurato “robusto decoro” impregnato di classicità; oltre alla consueta
pietra di travertino che lo cinge ai lati, il pregiato marmo cipollino ne
conforma invece le due volute, le due piccole teste
leonine, il triangolare timpano e il minuto gruppo scolpito Vergine col
Bambino e la Santa Casa di Loreto (cui in precedenza si è accennato).
L’inscrizione in latino “DIVAE MARIAE
VIRGINI ET MATRI DEI/SODALES LAURETANI DD AN IUBILEI MDL” (DIVA -traslitterando l’antico
significato, secondo l’antichissimo etimo, in “creatura piena di luce”- MARIA
VERGINE E MADRE DI DIO/COLLEGIO DEI LAURETANI CONSACRATO ANNO GIUBILEO 1550),
indica l’anno di riconsacrazione della Chiesa.
S. Maria di Loreto: portale principale
S. Maria di Loreto: portale principale (particolare)
I due portali
laterali affacciati, rispettivamente, su piazza della Madonna di Loreto (immagine
6) e su vicolo di S. Bernardo, sono stati ultimati -nella medesima foggia-
da Giacomo del Duca; si nota la differenza rispetto a quello principale,
elaborato dal Sangallo.
S. Maria di Loreto: portale laterale su Piazza della Madonna di Loreto (particolare)
Invero, l’architetto-scultore
siciliano orna, gli
ingressi alla Chiesa, con due volute con elementi vegetali e, sul dorso, figure
molto simili a delfini verticalmente protesi, che dal periodo paleocristiano
simboleggiano la salda guida delle anime, verso il porto sicuro della salvezza
sostanziato da Cristo, il Salvatore. Un timpano arcuato, dal tratto centrale
aggettante -su cui campeggia una sfera-, risolve il culmine della cornice
marmorea; timpano dove un espressivo e raffinato volto alato, di cherubino,
plasticamente colma il suo incavo. La relativa inscrizione latina riferita alla
Vergine (presente solo nel portale di piazza della Madonna di Loreto) “INGREDIMI
ET VIDETE/FILIAE SYON/REGINAM VESTRAM"
(ENTRATE E GUARDATE/FIGLIA DI SYON -Syon è il rilievo collinare sul
quale è sorto il primo nucleo di Gerusalemme- /REGINA VOSTRA), annuncia che
il tempio è a Lei dedicato.
Il
tamburo ottagonale innalzato dal Del Duca, poggia sul dado appena pronunciato
da Antonio da Sangallo, il Giovane (immagine 7, particolare,
cui la freccia aggiunta ne indica il limite).
S. Maria di Loreto: cupola
Osservando il sistema tamburo-calotta-lanterna dal prospetto
principale, in pieno si concreta,
nello sviluppo delle parti, il modo di quella "compenetrazione" (di cui si e già
accennato), per mezzo del quale perviene ad effetti di splendida
suggestione, capace rielaborazione di temi michelangioleschi, attraverso
l’intreccio di più figure architettoniche, palpabile vertice creativo. Un
timpano triangolare spezzato abbraccia una balaustra, che sembra sorreggere
l’atmosferica luce, incoronata da un vibrante duplice gioco di chiaroscuranti timpani,
piegati ad arco. Scandiscono gli angoli delle nicchie, anch’esse sormontate da
altri pulsanti archi - sostenuti da
pseudo piedritti sospesi- e da valve di conchiglia dalle quali fuoriescono dei
volti, mentre luci laterali, corrispondenti ai rispettivi portali, sono
descritte da timpani triangolari (immagine 8, particolare).
Una
cornice, che alterna sporgenze e rientranze, ribadisce la modellatura
ottagonale circa la struttura del tamburo, su cui si imposta l’ardita calotta
della cupola, cui solitamente la letteratura ne addita la natura di, consapevole,
opera che rielabora quanto espone Michelangelo nella cupola edificata in S.
Pietro, affermazione confliggente con una completa indagine storica-artistica.
La “cupola vaticana” è progettata
dal Buonarroti intorno alla fine del 1546, arrestandosi i relativi lavori nel
1564, anno della sua morte, apparendo elevata sino al livello del tamburo. La
costruzione è ripresa, da Giacomo Della Porta coadiuvato da Domenico Fontana, nel 1588 e quasi
completata nel 1590; dopo una sosta di circa due anni, viene eseguito il
rivestimento, della calotta, con lastre di piombo e realizzata la lanterna,
sulla quale si colloca l’imponente sfera bronzea dorata con la croce (1593).
L’esito
architettonico finale (immagine 9), dopo tale intervento, ne definisce
una forma maggiormente slanciata verso l’alto -di 11 metri- in confronto all’originario
progetto michelangiolesco.
S. Pietro in Vaticano: cupola
La
calotta di S. Maria di Loreto dunque precede, quale edificazione, la “vaticana”
di diversi anni. L’estro di Giacomo Del Duca staglia la sua cupola, nella luce
dell’orizzonte di Roma, come magnifico monumento di un sentire artistico, che
ne contrassegna l’originale sicuro carattere, certamente desunto dalla lezione
di Michelangelo, del quale ne osserva -come razionalmente si evince- il
primigenio disegno inerente alla cupola di S. Pietro. Non viene imitato il
maestro toscano ma, tenendo conto di quella elaborazione su foglio, compone il
suo progetto con personale e originale cifra, dando foggia alla massa
architettonica e all’organizzazione statica.
L’insieme edificato ne appalesa la decisa natura ascensionale propria.
Le
proporzioni delle forme, esplicitate dalla cupola (immagine 10), impresse
dall’artista siciliano, si rilevano un audace e profondo mutare del disegno
michelangiolesco, un definire di prorompenti costoloni ove si rovesciano oculi-lucernai
sovrapposti, su cui – come “abbaini” aperti più in alto- s’incardinano
alternate cornici “a timpano” -ora triangolari, ora arcuate-, mirabilmente
disfacendo le superfici brevi delle sezioni, incluse in quelle alte nervature
sporgenti. Contrafforti, situati poco più in basso, disegnano una teoria di anticanonici
archi, posti al termine della “discesa”, frapposta tra i medesimi costoloni. Cupola ottagona, che svetta sul denso scenario urbano circostante
di quell'epoca e di quella attuale, in una graduale intensa osmosi tra architettura e decisi
versi plastici, sino a trasformarsi in atto poetico e musicato da un’azione
decorativa fattasi insieme di note sovrane, culminando nel suo magnifico elemento
terminale.
S. Maria di Loreto al Foro Romano: cupola
La
lanterna deflagra con la sua innovativa veemente articolazione, quasi
“preborrominiana”, ricavata sovraimponendo tre organismi: la rotonda base su
cui volteggia il, vuoto, corpo centrale contornato di colonne, subitanee
geometriche aperture, volute conducenti il cilindro, veementi soluzioni
poliedriche, pinnacoli divenuti candelabri, accesi, al di sotto dell’intagliata
cuspide scagliata all’inseguimento del cielo.
Attinente, alla struttura della cupola, si conferma il tema esposto dal
campanile, elevato lateralmente ad essa e da questa dominato (immagini 11,
12).
S. Maria di Loreto al Foro Romano: cupola e campanile (particolare)
S. Maria di Loreto al Foro Romano: cupola e campanile (particolari)
Alle sue due cellule -sovrapposti spazi- sono infuse un’eloquente
inconfondibile bellezza, che ne slega le forme -quella inferiore quadrata,
quella superiore rotonda- (immagine 13), come un fluido incontenibile,
che spinge i corpi architettonici a respirare, afferrando l’aria. Torre
campanaria di cornici, oculi, timpani spezzati, aperte targhe rettangolari che
permettono alla luce di riempire quei volumi, sollevati da contrafforti
diagonali, sporgenti rivestimenti di esuberante decorazione. Sono improvvisi
bagliori in contrasti di forme, anticipatori di quella sonora loquela,
spalancata dal vortice mosso dalla concitata atmosfera barocca.
S. Maria di Loreto al Foro Romano: campanile (particolari)
Ringrazio
l’ingegnere Luciano Valle, per le sue fotografie -immagini 3,4,7,10- che ho
potuto inserire in questo post
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