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Di
Marcello Venusti (1512, circa – 1579), Giorgio Vasari (1511-1574), nella seconda
edizione del suo importantissimo testo, il primo di storiografia artistica “moderna”,
“Vite de’ più eccellenti pittori,
scultori e architettori” (1568), ne afferma la “bella maniera” definendo la sua tavola della “Annunciazione”, che ancora oggi riluce nella Sagrestia Vecchia
della Basilica di S. Giovanni in Laterano, “Vergine
annunziata bellissima … il quale disegno di man propria del Buonarroto, da
costui imitato …”.
Pittore
quasi dimenticato nel XIX secolo, relegato quale pittore minore ascrivibile
-con evidente facilità- al Manierismo (termine coniato da Luigi Lanzi nella sua
notevole “Storia pittorica d’Italia”,
1796), un emulo, mancante di personalità creativa, di Michelangelo; soltanto
durante gli anni cinquanta dello scorso secolo gli è stata restituita, quasi
completamente, la palese dignità artistica dei suoi lavori.
Manierista,
dunque, secondo gran parte dei “giudizi moderni”, visione che non condivido per
indicare il suo tratto stilistico, riconducendomi invece all’accezione viva del
XVI secolo, la quale adotta il vocabolo “maniera”
proprio riguardo allo stile di un artista, con valenza, a secondo dei casi,
positiva o negativa, come, per l’appunto, scrive il Vasari nei confronti del
Venusti (di “bella maniera”).
Inoltre, nelle sue “Vite”, egli,
attraverso le espressioni “gran’ maniera”
e “maniera moderna” intende risaltare
il portato delle enormi levature di Leonardo (1452-1519), di Raffaello
(1483-1520) e di altri maestri sui quali spicca Michelangelo (1475-1564), il “Buonarroti fiorentino, pittore scultore et
architetto”, che sopravanza “gl’industriosi
et egregii spiriti … desiderosi di imitare con la eccellenza dell’arte la
grandezza della natura … il benignissimo Rettore del cielo … si dispose mandare
in terra uno spirito, che universalmente in ciascheduna arte et in ogni
professione fusse abile, operando … solo a mostrare che cosa sia la perfezione
dell’arte del disegno nel lineare, distornare, ombrare e lumeggiare, per dare
rilievo alle cose della pittura, e con retto giudizio operare nella scultura, e
rendere le abitazioni … proporzionate e ricche di varii ornamenti
nell’architettura”. Egli “supera e
vince non solamente tutti costoro che hanno quasi che vinto già la natura, ma quelli
stessi famosissimi antichi, che sì lodatamente fuor d’ogni dubbio la
superarono, ed unico si trionfa di quegli, di questi e di lei”.
Il
Manierismo, se proprio si vuole concatenare a una formula questo periodo, della
cultura figurativa cinquecentesca, è sostanziato da una poetica che esalta la
fastosità estetica, la raffinatissima ricerca della complessità, il culmine
virtuosistico, la bellezza ove abbia compimento la suprema grazia. In esso
respirano antitesi diverse: afflati lirici e mirabili digressioni formali,
costruzioni ideologiche e formidabili apparenze irrazionali, tratti classici e
acuti segmenti eterodossi. Complesso di “fenomeni” differenti espressi con una
efficace e pregiata sintesi, che il Vasari individua nella “licenza, che non essendo di regola” è “ordinata nella regola”.
Il
nostro Venusti, stabilendosi a Roma intorno al 1538, dimostra rapidamente le
sue qualità per mezzo della soavità dei personaggi ritratti, che però non
sfumano nella languidezza ma, al contrario, possiedono una forte sostanza
corporea; la sua cifra mostra un ampio sviluppo prospettico, una luminosità da
cui si sprigiona un denso coinvolgimento emotivo. Entra in contatto con la ristretta
cerchia di Michelangelo (1549, circa) e, in poco tempo (1550, circa) realizza
la copia –in scala ridotta- dell’affresco “Giudizio
Universale” della Cappella Sistina per volere del cardinale Alessandro
Farnese (1520-1589, nipote di papa Paolo III, pontefice dal 1534 al 1549), oggi
conservata presso il Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli (Galleria
Farnese, sala 9), che mostra il lavoro michelangiolesco, nel suo –quasi- aspetto
originario (comprendente la parte inferiore, poi celata dietro l’altare),
quindi, privo delle alterazioni elaborate da Daniele Ricciarelli detto Daniele da
Volterra (1509-1566), il quale, per ordine di papa Paolo IV (1555-1559) ricopre
–dipingendo a tempera- di panni sottili e, “dove occorre di panneggi”, le
nudità raffigurate da Michelangelo e per tale motivo soprannominato “il Braghettone”.
Ma una sezione dell’opera viene distrutta, quella corrispondente a S. Caterina
d’Alessandria e a S. Biagio, le cui “svestite pose” sono considerate, dal Pontefice,
non consone al decoro di quell’ambiente religioso. I personaggi che oggi si vedono
sono, perciò, un integrale rifacimento realizzato dal Ricciarelli. Ma anche il
dipinto del Venusti presenta dei mutamenti, rispetto all’affresco sistino;
invero, il Buonarroti ritrae in alto e in posizione centrale Giona mentre la
riproduzione sostituisce il Profeta con la figura di Dio Padre e con quella
dello Spirito Santo (colomba): viene così rappresentata un’iconografia
strettamente controriformista.
Permanendo
nell’orbita michelangiolesca egli lavora, nella Chiesa di S. Maria della Pace,
con Sebastiano Luciani, detto Sebastiano del Piombo (1485-1547) -pittore
decisamente influenzato dal Maestro fiorentino di cui è amico-; quest’ultimo
completa una minuta parte degli affreschi di Raffaello –potentemente inediti e
di espressiva energia coniugata con la più elevata nobilitazione delle
immagini- -dopo la sua morte (Cappella Chigi). Incontra Vittoria Colonna
(1490-1547), nobile figura, verso la quale il Buonarroti nutre un intenso affetto
spirituale, nel senso più compiuto; in una lettera al Maestro questa poetessa
indica il Venusti “quel vostro” come
un fidato collaboratore, fine interprete e quindi non anonimo copista dei
disegni michelangioleschi, come invero rivela l’accesa cromaticità della sua
pittura. Infine, conosce il giovane patrizio romano molto legato a
Michelangelo, Tommaso de’Cavalieri, che, apprezzando il suo linguaggio
figurativo, gli consegna alcuni disegni ricevuti, in precedenza, dal “Sommo
Artista” fiorentino, affinché li riproduca in forma pittorica. In tal senso
adopera soddisfacendo le richieste di una numerosa committenza, eseguendo
dipinti ad olio caratterizzati da un’ottima varietà. Difatti, come riferisce il
Vasari, egli “ si è dilettato sempre … di
fare ritratti e cose piccole … di pittura” e “non si può far meglio … a lavorare cose piccole, conducendole con
veramente estrema et incredibile pacienza”; però un’opera su tutte risalta,
vale a dire la notevole “Annunciazione”
(Basilica di S. Giovanni in Laterano, Sagrestia Vecchia), commentata nelle “Vite” vasariane che riprendo: “ … ha finalmente il gentilissimo Messer
Tommaso de’ Cavalieri, che sempre l’ha favorito, fatto dipignere con disegni di
Michelagnolo una tavola per la chiesa di San Giovanni Laterano, d’una Vergine
annunziata bellissima. Il quale disegno di man propria del Buonarruoto, da
costui imitato, donò al signor duca Cosimo, Lionardo Buonarruoti, nipote di
esso Michelagnolo …”.
Quanto
sia cospicua e non secondaria la presenza artistica, in Roma, di Marcello
Venusti lo attestano i dipinti che di seguito menziono (escludo quelli
conservati nella Chiesa di S. Caterina dei Funari):
·
Crocefissione
e
Orazione di Cristo nell’Orto
(Galleria di Palazzo Doria Pamphilj)
·
Annunciazione
(Basilica di S. Giovanni in Laterano, Sagrestia Vecchia)
·
Deposizione
(Accademia Nazionale di S. Luca)
·
Orazione
di Cristo nell’Orto (Galleria Nazionale d’Arte Antica in
Palazzo Barberini)
·
Natività
(Chiesa
di S. Silvestro al Quirinale, Cappella Ghisleri)
·
Vergine
in Gloria tra i SS. Ubaldo e Girolamo (S. Maria della Pace,
Cappella Mignanelli)
·
S.
Caterina d’Alessandria e S. Stefano e S. Lorenzo (Basilica
di S. Agostino in Campo Marzio, Cappella di S. Caterina)
·
Noli
Me Tangere (Basilica di S. Maria sopra Minerva,
Cappella del fonte battesimale)
·
Misteri
del Rosario (Basilica di S. Maria sopra Minerva,
volta della Cappella Capranica)
·
S.
Giacomo Maggiore (attribuzione) (Basilica di S. Maria
sopra Minerva, Cappella Lante Della Rovere)
·
Vergine
con il Bambino e i SS. Pietro e Paolo (Musei Capitolini, Cappella
del Palazzo dei Conservatori)
·
Martirio
di S. Giovanni Evangelista (Chiesa di S. Spirito in Sassia,
Sagrestia)
·
S.
Bernardo (Musei Vaticani, Pinacoteca, Sala XI)
·
La
Pietà (Galleria Borghese, Sala XVI o di Flora)
Conduciamoci
ora sino alla Chiesa di S. Caterina dei Funari, edificata da Guideto de Guidetis architector (Guidetto
Guidetti, ?-1564), su commissione del cardinale Federico Cesi (1500-1565),
cultore delle arti. La luminosa e preziosa sostanza architettonica del prospetto
accoglie il visitatore, che ne avverte il contrasto con il corpo centrale della
severa navata unica –che proclama la sobrietà tridentina impostando questo
ambiente-, seppure gli eloquenti linguaggi pittorici e i raffinatissimi
elementi costruttivi raccolti nelle cappelle laterali -due delle quali
progettate rispettivamente da Iacopo Barozzi detto il Vignola (1507-1573) e da Ottaviano
Mascherino (1524-1606)- e nel presbiterio distinguono una, pregevole, galleria
di fulgenti immagini e di scandite forme. La Cappella della famiglia Torres o
de Torres mostra una splendida decorazione magnificata dal ciclo pittorico del
Venusti, incentrato su S. Giovanni Battista, sulle sue storie tra le quali “Battesimo di Cristo”. Guardiamo
attentamente la pala d’altare, un olio su tavola, raffigurante, per l’appunto,
il Battista. Il personaggio ritratto richiama la penetrante lettura della
solitudine mistica, il timbro di un’intimità assoluta, la separatezza, che
trascende l’ostentato isolamento immergendosi nel dolore dell’umanità, attraverso
la visione del piano salvifico divino. L’impianto compositivo media il plastico
“monumentalismo” di Michelangelo con un’interpretazione, in chiave pietistica,
attinente alla Controriforma; l’opera mantiene una propria connotazione
sviluppata -con stringente personalità- comprendendo sia la “corrente
manieristica” sia alcune sfumate garbate nitidezze, elaborando un riuscito
tentativo di creare un autonomo soggetto. Questo impianto sembra rammentare l’antico
sistema filosofico, secondo cui, l’artista, oltre a riprodurre le forme del
corpo dell’uomo, ne può rappresentare altresì l’anima, come appare
nell’espressione del volto del Battista che la rispecchia, comunicando,
all’osservatore, un’eloquente interiorità religiosa. In questa opera compaiono,
abilmente reinterpretati, certi modi e certi motivi cari al Buonarroti, quali
la “linea serpentinata” e il gigantismo del raffigurato, la composizione
piramidale, il contrapporsi delle membra, la dinamica della massa composta dalla
spessa quantità dei colori, delle luci, delle ombre, che formano l’insieme
della tela.
Indubbiamente,
anche in questa ancona il Venusti si muove con agilità creativa, disponendo uno
svolgimento iconografico attento ai tratti artistici tridentini. Da questi
ultimi deriva il concetto della pittura, sacra, come mezzo per mitigare il
cuore e riempire di fervore lo spirito per adorare, per glorificare, per
pregare Dio, intendendo la rappresentazione del Cristo, della Vergine, dei
Santi come straordinari doni e aiuti che, la misericordia divina, profonde. La
via è indicata, con la movenza “tradizionale”, da S. Giovanni Battista, sul
quale più in alto, nella cornice superiore, corre incisa la sua frase “Ecce Agnus Dei”.
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