Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

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venerdì 29 gennaio 2016

Marcello Venusti, un originale talento, interprete della straordinaria genialità di Michelangelo: la pala d’altare “S. Giovanni Battista” della Chiesa di S. Caterina dei Funari

Immagine tratta da "Google Immagini"


Di Marcello Venusti (1512, circa – 1579), Giorgio Vasari (1511-1574), nella seconda edizione del suo importantissimo testo, il primo di storiografia artistica “moderna”, “Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori” (1568), ne afferma la “bella maniera” definendo la sua tavola della “Annunciazione”, che ancora oggi riluce nella Sagrestia Vecchia della Basilica di S. Giovanni in Laterano, “Vergine annunziata bellissima … il quale disegno di man propria del Buonarroto, da costui imitato …”.

Pittore quasi dimenticato nel XIX secolo, relegato quale pittore minore ascrivibile -con evidente facilità- al Manierismo (termine coniato da Luigi Lanzi nella sua notevole “Storia pittorica d’Italia”, 1796), un emulo, mancante di personalità creativa, di Michelangelo; soltanto durante gli anni cinquanta dello scorso secolo gli è stata restituita, quasi completamente, la palese dignità artistica dei suoi lavori.

Manierista, dunque, secondo gran parte dei “giudizi moderni”, visione che non condivido per indicare il suo tratto stilistico, riconducendomi invece all’accezione viva del XVI secolo, la quale adotta il vocabolo “maniera” proprio riguardo allo stile di un artista, con valenza, a secondo dei casi, positiva o negativa, come, per l’appunto, scrive il Vasari nei confronti del Venusti (di “bella maniera”). Inoltre, nelle sue “Vite”, egli, attraverso le espressioni “gran’ maniera” e “maniera moderna” intende risaltare il portato delle enormi levature di Leonardo (1452-1519), di Raffaello (1483-1520) e di altri maestri sui quali spicca Michelangelo (1475-1564), il “Buonarroti fiorentino, pittore scultore et architetto”, che sopravanza “gl’industriosi et egregii spiriti … desiderosi di imitare con la eccellenza dell’arte la grandezza della natura … il benignissimo Rettore del cielo … si dispose mandare in terra uno spirito, che universalmente in ciascheduna arte et in ogni professione fusse abile, operando … solo a mostrare che cosa sia la perfezione dell’arte del disegno nel lineare, distornare, ombrare e lumeggiare, per dare rilievo alle cose della pittura, e con retto giudizio operare nella scultura, e rendere le abitazioni … proporzionate e ricche di varii ornamenti nell’architettura”. Egli “supera e vince non solamente tutti costoro che hanno quasi che vinto già la natura, ma quelli stessi famosissimi antichi, che sì lodatamente fuor d’ogni dubbio la superarono, ed unico si trionfa di quegli, di questi e di lei”.

Il Manierismo, se proprio si vuole concatenare a una formula questo periodo, della cultura figurativa cinquecentesca, è sostanziato da una poetica che esalta la fastosità estetica, la raffinatissima ricerca della complessità, il culmine virtuosistico, la bellezza ove abbia compimento la suprema grazia. In esso respirano antitesi diverse: afflati lirici e mirabili digressioni formali, costruzioni ideologiche e formidabili apparenze irrazionali, tratti classici e acuti segmenti eterodossi. Complesso di “fenomeni” differenti espressi con una efficace e pregiata sintesi, che il Vasari individua nella “licenza, che non essendo di regola” è “ordinata nella regola”.

Il nostro Venusti, stabilendosi a Roma intorno al 1538, dimostra rapidamente le sue qualità per mezzo della soavità dei personaggi ritratti, che però non sfumano nella languidezza ma, al contrario, possiedono una forte sostanza corporea; la sua cifra mostra un ampio sviluppo prospettico, una luminosità da cui si sprigiona un denso coinvolgimento emotivo. Entra in contatto con la ristretta cerchia di Michelangelo (1549, circa) e, in poco tempo (1550, circa) realizza la copia –in scala ridotta- dell’affresco “Giudizio Universale” della Cappella Sistina per volere del cardinale Alessandro Farnese (1520-1589, nipote di papa Paolo III, pontefice dal 1534 al 1549), oggi conservata presso il Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli (Galleria Farnese, sala 9), che mostra il lavoro michelangiolesco, nel suo –quasi- aspetto originario (comprendente la parte inferiore, poi celata dietro l’altare), quindi, privo delle alterazioni elaborate da Daniele Ricciarelli detto Daniele da Volterra (1509-1566), il quale, per ordine di papa Paolo IV (1555-1559) ricopre –dipingendo a tempera- di panni sottili e, “dove occorre di panneggi”, le nudità raffigurate da Michelangelo e per tale motivo soprannominato “il Braghettone”. Ma una sezione dell’opera viene distrutta, quella corrispondente a S. Caterina d’Alessandria e a S. Biagio, le cui “svestite pose” sono considerate, dal Pontefice, non consone al decoro di quell’ambiente religioso. I personaggi che oggi si vedono sono, perciò, un integrale rifacimento realizzato dal Ricciarelli. Ma anche il dipinto del Venusti presenta dei mutamenti, rispetto all’affresco sistino; invero, il Buonarroti ritrae in alto e in posizione centrale Giona mentre la riproduzione sostituisce il Profeta con la figura di Dio Padre e con quella dello Spirito Santo (colomba): viene così rappresentata un’iconografia strettamente controriformista.

Permanendo nell’orbita michelangiolesca egli lavora, nella Chiesa di S. Maria della Pace, con Sebastiano Luciani, detto Sebastiano del Piombo (1485-1547) -pittore decisamente influenzato dal Maestro fiorentino di cui è amico-; quest’ultimo completa una minuta parte degli affreschi di Raffaello –potentemente inediti e di espressiva energia coniugata con la più elevata nobilitazione delle immagini- -dopo la sua morte (Cappella Chigi). Incontra Vittoria Colonna (1490-1547), nobile figura, verso la quale il Buonarroti nutre un intenso affetto spirituale, nel senso più compiuto; in una lettera al Maestro questa poetessa indica il Venusti “quel vostro” come un fidato collaboratore, fine interprete e quindi non anonimo copista dei disegni michelangioleschi, come invero rivela l’accesa cromaticità della sua pittura. Infine, conosce il giovane patrizio romano molto legato a Michelangelo, Tommaso de’Cavalieri, che, apprezzando il suo linguaggio figurativo, gli consegna alcuni disegni ricevuti, in precedenza, dal “Sommo Artista” fiorentino, affinché li riproduca in forma pittorica. In tal senso adopera soddisfacendo le richieste di una numerosa committenza, eseguendo dipinti ad olio caratterizzati da un’ottima varietà. Difatti, come riferisce il Vasari, egli “ si è dilettato sempre … di fare ritratti e cose piccole … di pittura” e “non si può far meglio … a lavorare cose piccole, conducendole con veramente estrema et incredibile pacienza”; però un’opera su tutte risalta, vale a dire la notevole “Annunciazione” (Basilica di S. Giovanni in Laterano, Sagrestia Vecchia), commentata nelle “Vite” vasariane che riprendo: “ … ha finalmente il gentilissimo Messer Tommaso de’ Cavalieri, che sempre l’ha favorito, fatto dipignere con disegni di Michelagnolo una tavola per la chiesa di San Giovanni Laterano, d’una Vergine annunziata bellissima. Il quale disegno di man propria del Buonarruoto, da costui imitato, donò al signor duca Cosimo, Lionardo Buonarruoti, nipote di esso Michelagnolo …”.

Quanto sia cospicua e non secondaria la presenza artistica, in Roma, di Marcello Venusti lo attestano i dipinti che di seguito menziono (escludo quelli conservati nella Chiesa di S. Caterina dei Funari):

·         Crocefissione e Orazione di Cristo nell’Orto (Galleria di Palazzo Doria Pamphilj)

·         Annunciazione (Basilica di S. Giovanni in Laterano, Sagrestia Vecchia)

·         Deposizione (Accademia Nazionale di S. Luca)

·         Orazione di Cristo nell’Orto (Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Barberini)

·         Natività (Chiesa di S. Silvestro al Quirinale, Cappella Ghisleri)

·         Vergine in Gloria tra i SS. Ubaldo e Girolamo (S. Maria della Pace, Cappella Mignanelli)

·         S. Caterina d’Alessandria e S. Stefano e S. Lorenzo (Basilica di S. Agostino in Campo Marzio, Cappella di S. Caterina)

·         Noli Me Tangere (Basilica di S. Maria sopra Minerva, Cappella del fonte battesimale)

·         Misteri del Rosario (Basilica di S. Maria sopra Minerva, volta della Cappella Capranica)

·         S. Giacomo Maggiore (attribuzione) (Basilica di S. Maria sopra Minerva, Cappella Lante Della Rovere)

·         Vergine con il Bambino e i SS. Pietro e Paolo (Musei Capitolini, Cappella del Palazzo dei Conservatori)

·         Martirio di S. Giovanni Evangelista (Chiesa di S. Spirito in Sassia, Sagrestia)

·         S. Bernardo (Musei Vaticani, Pinacoteca, Sala XI)

·         La Pietà (Galleria Borghese, Sala XVI o di Flora)

 

Conduciamoci ora sino alla Chiesa di S. Caterina dei Funari, edificata da Guideto de Guidetis architector (Guidetto Guidetti, ?-1564), su commissione del cardinale Federico Cesi (1500-1565), cultore delle arti. La luminosa e preziosa sostanza architettonica del prospetto accoglie il visitatore, che ne avverte il contrasto con il corpo centrale della severa navata unica –che proclama la sobrietà tridentina impostando questo ambiente-, seppure gli eloquenti linguaggi pittorici e i raffinatissimi elementi costruttivi raccolti nelle cappelle laterali -due delle quali progettate rispettivamente da Iacopo Barozzi detto il Vignola (1507-1573) e da Ottaviano Mascherino (1524-1606)- e nel presbiterio distinguono una, pregevole, galleria di fulgenti immagini e di scandite forme. La Cappella della famiglia Torres o de Torres mostra una splendida decorazione magnificata dal ciclo pittorico del Venusti, incentrato su S. Giovanni Battista, sulle sue storie tra le quali “Battesimo di Cristo”. Guardiamo attentamente la pala d’altare, un olio su tavola, raffigurante, per l’appunto, il Battista. Il personaggio ritratto richiama la penetrante lettura della solitudine mistica, il timbro di un’intimità assoluta, la separatezza, che trascende l’ostentato isolamento immergendosi nel dolore dell’umanità, attraverso la visione del piano salvifico divino. L’impianto compositivo media il plastico “monumentalismo” di Michelangelo con un’interpretazione, in chiave pietistica, attinente alla Controriforma; l’opera mantiene una propria connotazione sviluppata -con stringente personalità- comprendendo sia la “corrente manieristica” sia alcune sfumate garbate nitidezze, elaborando un riuscito tentativo di creare un autonomo soggetto. Questo impianto sembra rammentare l’antico sistema filosofico, secondo cui, l’artista, oltre a riprodurre le forme del corpo dell’uomo, ne può rappresentare altresì l’anima, come appare nell’espressione del volto del Battista che la rispecchia, comunicando, all’osservatore, un’eloquente interiorità religiosa. In questa opera compaiono, abilmente reinterpretati, certi modi e certi motivi cari al Buonarroti, quali la “linea serpentinata” e il gigantismo del raffigurato, la composizione piramidale, il contrapporsi delle membra, la dinamica della massa composta dalla spessa quantità dei colori, delle luci, delle ombre, che formano l’insieme della tela.   

Indubbiamente, anche in questa ancona il Venusti si muove con agilità creativa, disponendo uno svolgimento iconografico attento ai tratti artistici tridentini. Da questi ultimi deriva il concetto della pittura, sacra, come mezzo per mitigare il cuore e riempire di fervore lo spirito per adorare, per glorificare, per pregare Dio, intendendo la rappresentazione del Cristo, della Vergine, dei Santi come straordinari doni e aiuti che, la misericordia divina, profonde. La via è indicata, con la movenza “tradizionale”, da S. Giovanni Battista, sul quale più in alto, nella cornice superiore, corre incisa la sua frase “Ecce Agnus Dei”.     
 

 
Immagine tratta da "Google Immagini"



Per gentile concessione degli Istituti Riuniti di Assistenza Sociale Roma Capitale
 
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