Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

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lunedì 28 settembre 2020

Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino: Maddalena penitente (1659-1660)

 

Di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino (1591-1666) il mio post, del 13 febbraio 2015, ne ha illustrato le tele romane esposte nella mostra “Da Guercino a Caravaggio”, svoltasi a Palazzo Barberini, vale a dire: Et in Arcadia Ego, Incredulità di S. Tommaso, Ritratto del Cardinale Bernardino Spada, Sibilla Persica.

Egli è chiamato a Roma dal neo eletto papa Gregorio XV (Alessandro Ludovisi), già arcivescovo di Bologna, poiché suo pittore favorito. Nella “Città Eterna” (1621-1623) il Barbieri, nato a Cento -nel ferrarese-, esprime la pittura degli affetti –che non scade in un accademico sentimentalismo-, con la quale il nitore delle scene o il “lume” dei personaggi ha fondamento nella suprema idea di bellezza. La sua entità artistica è magnificata dall’enfasi della sostanza pittorica, materia avvertita come colma di luce, viva nella propria morbida espressività, in un costante contrapporsi di toni caldi-freddi come lo è “il sentire” che scorre nell’esistenza umana, reso con cifra piena di effetti, risaltata dal celebre suo affresco a tempera (con la collaborazione di Agostino Tassi), raffigurante “Aurora che avanza su un carro spargendo fiori”, testimonianza della sua felice deflagrazione luministica pittorica. Opera realizzata nella villa -dove esegue altri dipinti- acquistata dal cardinale Ludovico Ludovisi (nipote del regnante pontefice), esempio di densa liricità e di pregevole plasticità colma di armonico moto. In questo lavoro però -come in altri suoi- non alberga soltanto un magnifico “atto decorativo”, esaltante la committenza, svolgendosi in esso altresì un articolato tema concettuale con rimandi ermetici, così vividi tra intellettuali, artisti e anche in taluni ambienti religiosi.

A Roma sono conservati alcuni suoi lavori, che si raffrontano con l’ambiente culturale caratterizzante la città, in cui culminano quella mobilità del “verso atmosferico”, quella sorta d’impeto che traduce il respiro del sentimento, affiorando, in alcuni dipinti, un naturalismo non disgiunto da un’idealizzazione vibrante di alcune figure, soprattutto femminili. Il suo particolare “macchiato” quasi palpitante, inoltre, vuole aggiungere alla “tessitura”, delle opere, toni di suggestiva poeticità.

La Maddalena penitente (1559-1660, Roma, Fondazione Sorgente Group), argomento di questo post, manifesta tali artistici tratti del Guercino; soggetto abbastanza frequentato dal suo repertorio, come ad esempio la Maddalena con la corona di spine (1632, Roma, Collezione Mainetti nella Fondazione Sorgente Group, segue immagine tratta da Google), o la Maddalena in preghiera dinanzi ai chiodi della Passione (1644, circa, Mosca, Collezione privata), opere attraverso le quali scandisce versi ove s’innalza un’ammirevole partitura di assorto sentimento. L’essenza muliebre è protagonista nella magnifica, ordinata, successione di note in intima religiosità, che eludono forme, anche larvatamente, devozionali per esprimere affetto incarnato.  

Nei dipinti del Guercino, la donna, nelle diverse espressioni rappresentate, vi riflette una concretezza che diviene musica, contenuto costruito su un concetto morale, accento pacatamente mistico, aspetto esoterico; perciò la raffigurazione della donna sostanzia il tramite per una vasta visuale escludente la quotidianità, un modo appropriato per rappresentare il divino, l’idealità.

Tale visione distingue, nel divenire della vita - transizione da uno stato all’altro-, ciò che sorge insolito come ardente esposizione cromatica, che eleva l’esistenza, tale da donare reale respiro a quel sentimento di pieno affetto, che la donna svela. Insieme di virtù (eletta forza) palesi e alte, così espresse dalla bellezza fisica, sino a mostrarsi sovrana concreta condizione, della realtà altra, nella sua assolutezza muliebre, percezione piena nella conoscenza, luce colma di giovinezza mai offesa dal tempo.

Prima di ammirare, nella sua completezza, la tela della “nostra” Maddalena, occorre trattenerci sulla sua figura religiosa, per meglio coglierne tutti gli elementi che la compongono.

Potremmo definirla quale santa diffamata e contemporaneamente gloriata sugli altari. Imprigionata nel fisso modello di donna, già meretrice, redenta da Cristo. L’intricata calunnia sembra nascere da episodi narrati nel Vangelo di Luca, iniziando dalla “peccatrice perdonata” (capitolo 7, versi 36-50), dove è descritta la conversione di “una donna che era in quella città, una peccatrice”, colei che con unguento profumato  “stando ai piedi di lui… piangendo, cominciò a rigargli di lacrime i piedi , e li asciugava coi capelli del suo capo, e gli baciava e ribaciava i piedi e li ungeva con l’olio … egli disse alla donna: la tua fede ti ha salvata, va in pace”. Privo di alcun nesso testuale si è voluto invece congiungere la redenta -cui non è citato il nome-, di questo brano, a Maria detta la Magdalena (nota come Maria di Magdala) menzionata tra le pie donne che seguono Gesù Cristo: “con lui erano i dodici e certe donne che erano state guarite da spiriti maligni e da infermità, cioè Maria detta la Magdalena, dalla quale erano usciti sette demoni (capitolo 8, verso 2). Su questo passo si è poi generato l’abbaglio, insopprimibile, della storia elaborata su tale personaggio. Poiché il numero sette indica, nel codice biblico, la pienezza, in tale caso appare riferirsi a un male molto gravoso, di natura fisica o -seconda supposizione- morale, penetrato nella donna e dal quale Cristo l’ha, in precedenza, affrancata. La tradizione errata però solidifica la sua traiettoria, identificando altresì Maria di Betania (sorella di Marta e di Lazzaro) con la Magdalena (intesa come quella anonima “peccatrice”), in forza del medesimo atto, di venerazione (unzione dei piedi), da ella compiuto nei confronti di Cristo, contenuto nel Vangelo di Giovanni (capitolo 12, versi 1-8), ampliando la stesura dell’episodio compreso nei Vangeli di Matteo (capitolo 26, versi 6-13) e di Marco (capitolo 14, versi 3-9). La santa così individuata sarà riconosciuta nel culto e dunque nella storia dell’arte, giungendo intatta sino alla nostra epoca.

Lo sguardo ora comincia a volgersi alla Maddalena penitente conservata presso la Fondazione Sorgente Group di Roma, che sebbene il disegno e l’impianto siano propri del Guercino, un’ipotesi ne ascrive sostanzioso intervento della sua bottega felsinea - a Bologna egli si è trasferito, da Cento, all’inizio del 1642-, tesi nella quale deve essere -quantomeno- sottolineato lo stretto dettato del “nostro” pittore. In precedenza, dopo la morte di Gregorio XV (1623), il Barbieri, ritorna a Cento presso la sua laboriosa famiglia, per portare a compimento diversi lavori lasciati incompleti, poiché richiesto, come in precedenza detto, a Roma (1621) da papa Ludovisi. Da questo momento, sino alla fine del 1641, egli ristabilisce lo studio nel suo luogo di nascita, dove notevolmente accrescono commissioni, accogliendovi anche prestigiose visite, tra cui quella di Cristina di Svezia. La sua committenza e l’ammirazione nutrita per la sua maestria si espandono oltre modo, includendo, secondo una notizia, Carlo I re d'Inghilterra, con sicurezza Luigi XIII re di Francia e gli Estensi (ducato di Modena e Reggio).

Importante prova documentale della sua attività è fornita dal “libro dei conti”, iniziato nel gennaio 1629 sino alla sua morte; in origine viene tenuto da suo fratello minore Paolo Antonio, pittore di nature morte e paesaggi, che dirige, con il fratello maggiore, la bottega, amministrando i beni della “casa”. Le annotazioni sul libro contabile sono poi scritte dal Guercino stesso, dopo il decesso del fratello avvenuto nel 1649 (l'autografo è custodito presso la Biblioteca comunale dell'Archiginnasio di Bologna); vi si legge l’elenco delle commissioni ottenute, le indicazioni delle relative date, il nome del committente e il denaro ricevuto per l'opera eseguita.

All’inizio del 1642 l’artista si trasferisce, come già accennato, a Bologna, non apparendo fortuito il verificarsi di tale evento, quasi concomitante con la morte di Guido Reni (accaduta nell’agosto del medesimo anno), colui che ha “governato la pittura” a Bologna; difatti, sarà il Guercino considerato nuovo “pittore principe” della città felsinea, sino alla sua estrema dipartita.

Tornando alla Maddalena della Fondazione Sorgente Group, grazie a quel libro dei conti, si ha conoscenza che, per l’esecuzione della relativa tela (e di un’ulteriore circa altro soggetto), il Guercino riceve un saldo di 80 ducatoni (grandi monete d’argento) nel gennaio 1660, dal nobile genovese Girolamo Panessi.


Prima di inoltrarci empaticamente in tale dipinto, ci soffermiamo intorno al carattere del Barbieri. Egli esplicita un animo mansueto e solerte, rivolgendosi completamente all’arte pittorica, in cui la sua famiglia detiene un’industre presenza nella sua occupatissima bottega. Guercino è persona assai semplice negli atteggiamenti e la sua modestia ha entità quasi proverbiale, oltre ad essere ricordato per i copiosi atti della sua pietà religiosa. Non si sposa e neppure ricorrono notizie su legami d’amore, che attraversino la sua esistenza, ciononostante i ritratti delle donne sono molto frequenti nei suoi temi, ove se ne coglie una visione multicolore, che affronta con costanza in modo solenne, spesso maestoso, nelle pitture sia sacre sia profane.

L’impostazione del quadro della Maddalena deriva, in generale, da un motivo iconografico frequentato nel pieno Rinascimento e in tutto il Barocco; come non rammentare, ad esempio, l’incisione Melancholia (1514, Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle, segue immagine tratta da Google), di Albrecht Duerer, pregna di elementi esoterici e alchemici propri della cultura umanistica, vibrante in Italia dove egli soggiorna; su questa “maniera” è possibile citare la più scarna Melancholia (incisione del 1584) di Jost Amman.

In ambito pittorico, circa questa soluzione riportata in effige, si corre alla personale Melanconia, appellata altresì Meditazione (1618, Venezia, Gallerie dell'Accademia), di Domenico Fetti, raffigurazione di eclatante risonanza, da cui sono tratte copie e versioni sia ad essa contemporanee sia posteriori. L’estro di quest’ultimo artista concepisce, intorno al 1619, la Maddalena penitente (Roma, Galleria Doria Pamphilj, segue immagine tratta da Google), divenendo un acclamato modello di equilibrata formulazione.


A questo dipinto sembra ispirarsi, in parte, il Guercino nel dipingere la “nostra” Maddalena (segue immagine tratta da Google) concretandovi una feconda sacra pateticità. 


La figura -che sviluppa e arricchisce l’assetto della già menzionata Maddalena in preghiera dinanzi ai chiodi della Passione, del 1644- ben dischiude un “sentire affetto”, con la sua malinconica meditazione, accentuata dal gesto del braccio e della mano, cui le dita sono avvolte nel bianco panno, che lambisce l’occhio destro della protagonista, ove si è arrestata una lieve lacrima. Attraverso la mano su cui, con fare delicato, la raffigurata poggia la testa, sembra al primo sguardo un circoscrivere, del Barbieri, la sua opera alla sola pura emotività, a un composto patimento che rammemora l’atroce passione di Cristo, rappresentata dai tre chiodi, posti su una pietra, uno dei quali lievemente lambito dalla mano sinistra della santa. La scena è dipinta con delicato tono, illuminata da luce morbida quasi diafana che non si sottrae al contrasto, pacato, chiaroscurale su cui si definisce la spiccata soffice monumentalità del personaggio. Florida donna dalle flessuose membra, ideale femminile costantemente presente nelle opere “guercinesche” nell’evoluzione della sua cifra, che assume, con la maturazione artistica e umana, sembiante maggiormente adulto e raccolto. La bellezza muliebre quindi, nella tavolozza del Guercino -come dimostra questo olio su tela-, non svanisce, al contrario una completa grazia, una composita finezza pervade la donna ritratta; all’esuberanza delle figure giovanili, egli sostituisce una seducente ancor più incisa raffinatezza.

Una felice sorta di quinta teatrale è tratteggiata quale apertura dell’antro, dove il personaggio armoniosamente echeggia il martirio di Cristo; la scena inquadrata è risolta con capace sfuggente gioco di prospettiva in un cielo densamente azzurro.

La Maddalena dalle lunghe chiome sciolte -come da tradizione tutta occidentale-, alludenti alla donna peccatrice, alla prostituta, che ha asciugato, con i suoi capelli, i piedi di Cristo, dal quale è stata redenta; la fluente libera capigliatura perciò testimonia sia tale intimo contatto con il Messia, sia la sua precedente condizione peccaminosa, poiché le donne probe bene acconciano i propri capelli. Ella già grande peccatrice vuole percorrere la passione del Salvatore -secondo la consolidata voce devozionale- tramite una vita di stretta penitenza, trascorrendola, dopo la resurrezione di Cristo, in estremo eremitaggio. Ma questa Maddalena, rispetto ad altre, benché sia pienamente coinvolta in digiuni, veglie in preghiera, non è abbandonata dalla beltà; le sue nude membra -avvolte in parte dalla lieve, quasi sbiadita, porpora del manto- sono illuminate da una leggiadria accarezzata da soffusa sensualità, che non confligge con la redenzione, anzi la penitenza in questo caso viene esaltata dall’eufonico pallore steso su quel corpo disegnato.  

Immergendo gli occhi, nelle profondità di questa tela, l’emotività e il composto patimento sono avvinti ad un’assolutezza che dona uno spazio d’infinità, il quale, da esplicito movimento mentale, si trasforma in verità non racchiusa in una circoscritta spiritualizzazione, in una sembianza irraggiungibile, avulsa dalla realtà sensibile, tanto che quello speco è trasmutato in tangibile adito celeste.