Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

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martedì 23 gennaio 2018

Torquato Tasso: la sua presenza nel convento di S. Onofrio al Gianicolo


Immagine tratta da Google immagini: ritratto di Torquato Tasso, 1864, Giovanni Pezzotta, Bergamo, Accademia Carrara 
La chiesa e il convento di S. Onofrio, ancora oggi appartati e avvolti da un’aria altra, consegnano al visitatore perspicace un silenzio di eloquenti versi, tra mistiche memorie e luci di estri artistici sino ad accompagnare lo sguardo verso la loggia esterna, che mostra arcate, chiuse nel secolo XVIII e tamponate con riquadri rivestiti con stucco, parte dell'antico monastero attualmente sede del Museo Tassiano (Stanze Tassiane).   

In questi ambienti vuole far vibrare i suoi ultimi respiri, Torquato Tasso (1544 – 1595), ormai stremato da quella oscura malattia, che disfa la sua forza e perfora il suo nobile petto. Egli vuole essere lì, non in Vaticano, vicino a quella quercia dove raccogliendosi, la sua inquieta Musa, come si può immaginare, lo guida tra il suo strazio, il suo tormento, il suo affanno dello scrivere, del correggere, del cancellare e ancora ricorreggere, completare la Gerusalemme liberata, ora Gerusalemme conquistata, dedicata all’ultimo mecenate che accoglie il suo afflato, il cardinale Cinzio Aldobrandini, nipote del pontefice Clemente VIII (1592 – 1605). Il papa gli concede l’erogazione di una costante e cospicua somma di denaro, ma il morbo ha più forza di ogni sua volontà di vita, tale da impedire la sua incoronazione, quale poeta sommo, in Campidoglio, fulgente riconoscimento successivo a quello tributato al Petrarca, avvenuto tra l’8 e il 17 aprile del 1341. Infatti, nel marzo del 1595 il Tasso viene ospitato nel convento, all’epoca affidato ai Girolamini, morendovi il 25 aprile e le sue spoglie giacciono onorate nella chiesa, mentre la corona d’alloro, quale coronamento poetico, è posta sul suo sepolcro.

Poeti, scrittori, letterati visiteranno la sua tomba nel corso dei secoli sostandovi, come, per citarne alcuni, Johann Wolfgang Goethe (2 febbraio 1787), Giacomo Leopardi, il quale dal novembre 1822 al maggio 1823 è a Roma da dove scrive al fratello Carlo:” fui a visitare il sepolcro del Tasso e ci piansi. Questo è il primo e unico piacere che ho provato a Roma”, François Auguste René de Chateaubriand, ambasciatore nella “Città Eterna” dal 1828 al 1829.    

Torquato Tasso dunque nella sua inquietudine e nella sua mutabilità di proponimenti, inflitte al suo animo già dal 1575, non appena ultimata la Gerusalemme liberata, in cui lo splendore lessicale affronta una sensualità incatenata alla coercizione estetica, quasi moralistica, sino a cedere a un contenutismo, a un’esacerbata ricerca della perfezione stilistica sfociando in un formalismo esteriore, che si ammanta di estenuante dolore.

Proprio l’intensa sofferenza però sprigiona quel moto che realizza quell’apice poetico, proprio del linguaggio tassiano, il quale acquista coscienza di quanto il mondo, con le sue creature umane, sia intessuto del canto dell’anima.

Roma accoglie il tratto del suo estremo impeto nel 1593, dopo averlo ospitato altre volte: 1576 circa, 1587, 1589 circa, - compone il Rogo amorosopicciolo poema pastorale”- 1590, 1591 circa.       

Il Rogo amoroso, steso per il nobile Fabio Orsini in memoria della sua donna amata, Corinna, morta improvvisamente, raffigura lo slegarsi dell’anima dai vincoli incardinati sulla dimensione umana, anima così libera nella divina luce, in quel regno di insondabile felicità. Contrasto tremendo con il tormentato acuto gemito dell’innamorato uomo (Aminta): ” Piangea dolente e sospiroso Aminta/lungo le rive del famoso fiume/che dividendo la città di Marte/già se ‘n portò nel suo profondo seno/ …/piangea Corinna in lacrimoso canto,/e nel pianto canoro i sette colli/rispondean Corinna”.

Nel silente spazio del chiostro, di S. Onofrio, sembra appalesarsi quella visione d’amore, del Tasso, individuata come fonte di qualsiasi impeto e di ogni certezza, che rendono vivida e distinta quella spessa virtù fondata sulla consonanza di intensa finezza, pur vibrante nell’esistenza umana, scandendo contemporaneamente – e in ogni istante - il dinamico processo, pregno di tensione, volto al soddisfacimento di quella sete individuale di affetti. Viaggio del sentimento, quasi onirico, talvolta contorto, impresso nell’animo dal desiderio di amanti ignorati o disprezzati, afflitti o smarriti in un sogno, cui la naturalità dei loro istinti abbatte però tutte le restrizioni.   


Verso il sagrato della chiesa, sulla destra la loggia (particolare) delle Stanze Tassiane

Il portico e la loggia (particolare)


Il chiostro

Il monumento funebre di Torquato Tasso (particolare), 1857, Giuseppe Fabris