Immagine tratta da Google immagini: ritratto di Torquato Tasso, 1864, Giovanni Pezzotta, Bergamo, Accademia Carrara
La
chiesa e il convento di S. Onofrio, ancora oggi appartati e avvolti da un’aria
altra, consegnano al visitatore perspicace un silenzio di eloquenti versi, tra
mistiche memorie e luci di estri artistici sino ad accompagnare lo sguardo
verso la loggia esterna, che mostra arcate, chiuse nel
secolo XVIII e tamponate con riquadri rivestiti con stucco, parte dell'antico
monastero attualmente sede del Museo Tassiano (Stanze Tassiane).
In
questi ambienti vuole far vibrare i suoi ultimi respiri, Torquato Tasso (1544 –
1595), ormai stremato da quella oscura malattia, che disfa la sua forza e
perfora il suo nobile petto. Egli vuole essere lì, non in Vaticano, vicino a
quella quercia dove raccogliendosi, la sua inquieta Musa, come si può
immaginare, lo guida tra il suo strazio, il suo tormento, il suo affanno dello
scrivere, del correggere, del cancellare e ancora ricorreggere, completare la Gerusalemme liberata, ora Gerusalemme conquistata, dedicata
all’ultimo mecenate che accoglie il suo afflato, il cardinale Cinzio Aldobrandini,
nipote del pontefice Clemente VIII (1592 – 1605). Il papa gli concede
l’erogazione di una costante e cospicua somma di denaro, ma il morbo ha più
forza di ogni sua volontà di vita, tale da impedire la sua incoronazione, quale
poeta sommo, in Campidoglio, fulgente riconoscimento successivo a quello tributato
al Petrarca, avvenuto tra l’8 e il 17 aprile del 1341. Infatti, nel marzo del
1595 il Tasso viene ospitato nel convento, all’epoca affidato ai Girolamini,
morendovi il 25 aprile e le sue spoglie giacciono onorate nella chiesa, mentre
la corona d’alloro, quale coronamento poetico, è posta sul suo sepolcro.
Poeti,
scrittori, letterati visiteranno la sua tomba nel corso dei secoli sostandovi,
come, per citarne alcuni, Johann Wolfgang Goethe (2 febbraio 1787), Giacomo
Leopardi, il quale dal novembre 1822 al maggio 1823 è a Roma da dove scrive al
fratello Carlo:” fui a
visitare il sepolcro del Tasso e ci piansi. Questo è il primo e unico piacere
che ho provato a Roma”, François Auguste René de Chateaubriand,
ambasciatore nella “Città Eterna” dal 1828 al 1829.
Torquato
Tasso dunque nella sua inquietudine e nella sua mutabilità di proponimenti,
inflitte al suo animo già dal 1575, non appena ultimata la Gerusalemme liberata, in cui lo splendore lessicale affronta una
sensualità incatenata alla coercizione estetica, quasi moralistica, sino a
cedere a un contenutismo, a un’esacerbata ricerca della perfezione stilistica
sfociando in un formalismo esteriore, che si ammanta di estenuante dolore.
Proprio
l’intensa sofferenza però sprigiona quel moto che realizza quell’apice poetico,
proprio del linguaggio tassiano, il quale acquista coscienza di quanto il
mondo, con le sue creature umane, sia intessuto del canto dell’anima.
Roma
accoglie il tratto del suo estremo impeto nel 1593, dopo averlo ospitato altre
volte: 1576 circa, 1587, 1589 circa, - compone il Rogo amoroso “picciolo poema
pastorale”- 1590, 1591 circa.
Il
Rogo amoroso, steso per il nobile Fabio Orsini in memoria della sua donna amata,
Corinna, morta improvvisamente, raffigura lo slegarsi dell’anima dai vincoli incardinati
sulla dimensione umana, anima così libera nella divina luce, in quel regno di
insondabile felicità. Contrasto tremendo con il tormentato acuto gemito
dell’innamorato uomo (Aminta): ” Piangea
dolente e sospiroso Aminta/lungo le rive del famoso fiume/che dividendo la
città di Marte/già se ‘n portò nel suo profondo seno/ …/piangea Corinna in
lacrimoso canto,/e nel pianto canoro i sette colli/rispondean Corinna”.
Nel
silente spazio del chiostro, di S. Onofrio, sembra appalesarsi quella visione
d’amore, del Tasso, individuata come fonte di qualsiasi impeto e di ogni
certezza, che rendono vivida e distinta quella spessa virtù fondata sulla
consonanza di intensa finezza, pur vibrante nell’esistenza umana, scandendo
contemporaneamente – e in ogni istante - il dinamico processo, pregno di
tensione, volto al soddisfacimento di quella sete individuale di affetti.
Viaggio del sentimento, quasi onirico, talvolta contorto, impresso nell’animo
dal desiderio di amanti ignorati o disprezzati, afflitti o smarriti in un sogno,
cui la naturalità dei loro istinti abbatte però tutte le restrizioni.
Verso il sagrato della chiesa, sulla destra la loggia (particolare) delle Stanze Tassiane
Il portico e la loggia (particolare)
Il chiostro
Il monumento funebre di Torquato Tasso (particolare), 1857, Giuseppe Fabris
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