La
biografia di Antonello da Messina (1430, circa – 1479) poggia su esigue notizie
documentarie, tanto da determinare, nelle epoche successive alla sua vita,
ricostruzioni inattendibili intorno alla sua vicenda esistenziale. Tale
peculiare stato è dovuto altresì alla cronologia delle sue opere a noi giunte,
concentrata tra il 1465 e il 1476, circa, concorrendo a confondere gli studi riguardanti
il suo percorso artistico.
Nella
sua cifra pittorica si apre un verso prospettico, che abbraccia ampiezze visive
in un’osmosi scaturita da atmosfere, luci, colori, ambienti, figure; questi
elementi si congiungono in un ordine di pura intuizione sensibile, di coerente
unità espressiva, la quale scandaglia la realtà con “pintura” poetica.
La
sua padronanza, degli effetti luministici, rende ancor più singolare la resa
psicologica dei personaggi raffigurati, creando degli assoluti vertici, esposti
anche nei ritratti virili, in cui il carattere, di derivazione fiamminga,
mostrato dalla “posa di tre quarti”, il tipico diaframma del bordo disegnato - che
separa con brillante esito l’effigiato dall’osservatore - e il nero sfondo,
egregiamente tutti si combinano tanto da comporre un acuto “rendimento
psicologico”, che diffonde un’immediata percezione di vivezza. Tale profilo, se
si vuole indagare l’insieme di questi lavori con un certo severo piglio, sembra
quasi cedere, talvolta, a una reiterata rappresentazione del soggetto,
apparendo quale limite enunciato attraverso un “lineare calcolo” di stile,
racchiuso in una struttura dettata da un preciso canone, riferibile però a una
sorta d’interludio posto tra i diversi momenti dell’attività di questo artista.
L’unica
opera conosciuta in Roma, a oggi, di Antonello da Messina è conservata nella
Galleria Borghese: Ritratto d’uomo (1475
o 1476), dipinto eseguito a tempera e olio su tavola, esposto nella Sala XX
(Sala di Psiche).
Immagine
– cui l’identità è ignota, sebbene in passato siano state formulate alcune
ipotesi- tra le più coinvolgenti del pittore, ove il personaggio raffigurato
sembra, con lieve movimento del capo, di sondare - con accennata ironia di
quell’impenetrabile “quasi” sorriso - lo spazio aperto dinanzi ai suoi occhi.
Quello sguardo diretto e sfuggente attira l’attenzione di chi lo osserva.
Esempio di vivace intensità espressiva, sia per la riuscita precisione realistica,
che però non avvilisce la pregevolissima definizione artistica, sia per la
peculiare incisività del lavoro, nel quale il pittore compie una perfetta
fusione di forma con il rigore geometrico, come se volesse indagare una verità
intrinseca al soggetto ritratto, che a sua volta sembra rinviarla all’esterno
della scena, quest’ultima esaltata nel volume da una luce evidenziante il volto
e la stessa pelle.
La
veste rossa e la berretta nera richiamano gli indumenti dei nobili veneziani;
infatti, il “nostro” Antonello è proprio a Venezia tra il 1475 e il 1476, dove
la sua estrema perizia ritrattistica ha cospicuo seguito. La tavola manca della
firma e per tale motivo si ipotizza che fosse posta su un cartiglio, dipinto
sulla cornice. Lavoro già attribuito, verso la fine del XVIII secolo, a
Giovanni Bellini e definitivamente assegnato al maestro messinese nel 1869, cui
per la morbidezza cromatica e per la definizione plastica lo collocano tra i
suoi migliori ritratti.
Immagine tratta da "Google Immagini"
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