Tra
i culmini del linguaggio barocco, Pietro da Cortona (Pietro Berrettini,
1596–1669) ha già attraversato le righe questo blog, soprattutto con il post
(25 febbraio 2015) circa la sua presenza architettonica nella fabbrica di
Palazzo Barberini, oltre a essere ampiamente citato sia in quello dedicato a
Cosimo Fancelli (20 dicembre 2014, la pala marmorea, Sacra Conversazione, dei sotterranei della basilica di S. Maria in
via Lata), sia quello rivolto a Giacinto Brandi (20 ottobre 2016, il dipinto
Martirio di S. Andrea, conservato presso la medesima basilica).
Con
questo scritto l’attenzione si volge alla pala dell’altare maggiore, Martirio di S. Lorenzo, preziosa
testimonianza artistica, nella chiesa di S. Lorenzo de’ Speziali in Miranda, quasi
celata in tale aulico e discosto ambiente.
La genesi e lo svolgimento storico, con
riferimenti nell’arte, inerente a questo Complesso architettonico ha costituito
l’introduzione al post (20 febbraio
2015) incentrato sulla tela,
Annunciazione, di Alessandro Fortuna. Per comodità di lettura,
integralmente lo riporto di seguito.
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Il complesso di S. Lorenzo de’ Speziali in
Miranda formato dalla chiesa e dagli annessi locali –uno dei quali adibito a
museo- appartiene al Nobile Collegio Farmaceutico, l’Universitas Aromatariorum Urbis; esso costituisce il portato di una
“metamorfosi” pronunciata nel corso dei secoli, che dal tempio di Antonino e
Faustina (141, circa) conduce all’attuale aspetto architettonico, il quale ne
definisce la particolare monumentalità tra il contesto ambientale dell’area del
Foro Romano.
Il mutamento da edificio consacrato a quegli
antichi “divi” a chiesa risale al 630 circa, –ma secondo alcuni studiosi la
trasformazione avviene all’inizio del secolo VIII- per volere del papa Onorio I
(625-638), ricordato per la sua intensa attività nel campo delle opere
pubbliche e religiose. Il tempio diviene quindi ambiente cristiano dedicato a S. Lorenzo diacono, in
quanto si crede che sia adiacente al luogo del suo martirio (258). L’appellativo “in Miranda” o “de Miranda”, cui la più antica citazione
è documentata nel secolo XI, deriverebbe dal verbo “mirare” –dal tardo latino
“guardare con ammirazione”- il Foro. Un’altra voce indica che “Miranda” sia, in realtà, il nome della
fondatrice di un monastero sorto proprio in questo sito.
Papa Martino V (1417-1431), nominato “Temporum
suorum felicitas” (Felicità dei suoi tempi), per la sua azione di
“riedificazione” -anche culturale- della città, con la bolla del giorno 8 marzo
1429, concede la chiesa di S. Lorenzo, quasi in rovina, all’Universitas
Aromatorium Urbis, vale a dire in favore a quel Collegio di Speziali dedito
alla preparazione di medicamenti a base di erbe, di altre essenze vegetali, di
polveri minerali e, per l’appunto, di spezie derivate da sostanze vegetali
secche anche profumate. Poiché l’edificio preesistente non può essere
utilizzato quale piccolo ospedale, ne viene demolita l’intera struttura
(preservando gran parte degli elementi architettonici romani superstiti),
sostituita quindi da quella quattrocentesca, formata da un nosocomio e da un
minuto luogo di culto.
Nel 1536, in occasione della visita di Carlo
V, sono demolite alcune case e chiese edificate tra le spoglie del Foro Romano,
per aprire la strada costruita per il corteo imperiale (alla realizzazione
della quale il popolo contribuisce con il pagamento di una tassa), nella zona
il cui aspetto deve apparire degno –per quanto all’epoca possibile- dei trionfi
dell’antica Roma; per questa ragione sono abbattute, nell’area del complesso di
S. Lorenzo, sia tre cappelle occupanti il pronao dell’antico tempio, sia una
parte dell’ospedale del XV secolo.
La nuova temperie artistica-culturale che
pervade la “Città Eterna”detta altresì la ricostruzione, d’incipiente registro
barocco, di questa chiesa, la quale appare interrata, come tutta l’area del
Foro, a causa delle secolari inondazioni del Tevere, –non dimenticando la
stratificazione derivante dalla plurisecolare attività umana- le quali con i
residui di rocce, di pietre e di fango indurito hanno innalzato il terreno,
coprendo in gran parte le vetuste rovine. Il progetto è affidato a Giacomo
Della Porta, alla cui morte (1602) succede, come direttore dei lavori, Orazio
Torriani che ridisegna l’impianto architettonico dell’interno -nonché
dell’altare maggiore- e la facciata. Egli innalza di sei metri circa il livello
della costruzione e completa il primo ordine del prospetto poco avanti al 1616;
il secondo ordine e il frontone vengono ripresi e terminati- con marginali
modifiche del disegno originario- da Matteo Sassi tra il 1721 e il 1726. La
figura planimetrica del nuovo luogo di culto (navata unica con cappelle
laterali) percorre l’intera larghezza della cella del tempio romano, mentre la
lunghezza, ristretta posteriormente dai
vani restanti dell’ospedale del ‘400, non occupa per intero il perimetro della
cella stessa ma incorpora le prime colonne del pronao
templare, prostendendo lo spazio
interno verso il Foro. L’aspetto nell’insieme, però, risulta molto simile a
quello dell’edificio romano –come dimostra la mancanza dell’abside- giacché i
lavori del XVII secolo non ne mutano la struttura complessiva.
L’insieme della facciata ne mostra l’ardita
creazione, comprendente le lesene con capitelli ionici, il portale con timpano
arcuato e la finestra creata sotto il superiore grande timpano curvilineo
spezzato. Poiché tale prospetto è posto dietro alle colonne frontali,
quest’ultime in tal modo sono trasformate in un portico.
L’interno della chiesa rappresenta un
raccolto e pregevole patrimonio pittorico, come palesano le opere esposte, tra
le quali cito “S. Caterina da Siena bacia il costato di Cristo”,
attribuita a Francesco Vanni (1563–1610) ma da alcuni studiosi ascritto a
Giovanni de’ Vecchi (1536 - 1615) di cui il Vanni è stato allievo. Ho incluso
la descrizione, di tale quadro, nel post
(pubblicato il primo dicembre 2014) di commento alla mostra “I Papi della
Speranza”, poiché compreso in quell’evento.
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Raffigurazione barocca che s’incardina
sull’unica navata dell’edificio cultuale, l’altare maggiore si eleva con binate
colonne striate, -in marmo verde africano- con pulvini e cimase, troneggiando
l’ambiente con timpano dentato e spezzato, sino a ergersi ancor più in alto con
il fastigio, -dal piccolo frontone triangolare racchiuso in uno arcuato- quale
coronamento dell’organismo architettonico. In tale ambiente, il Martirio di S. Lorenzo, intensamente
manifesta il proprio spazio pittorico, estraneo a un’imbolsita decorazione,
dove al contrario i personaggi possiedono il respiro di coinvolgente movimento.
Pittura eseguita nella tarda sua maturità,
tra il 1655 e il 1656, quando il Berrettini ha già compiuto, dal 1651 al 1654, la
trasposizione pittorica dell’Eneide rappresentando le Storie di Enea, nella Galleria principale, adagiata nel piano
nobile di Palazzo Pamphlj, innalzato a piazza Navona, cui in diversi tratti la
resa cromatica del “Martirio”è assai
prossima, confermandone l’esecuzione nel periodo prima indicato, non apparendo
coerente, altresì per tale osservazione, l’ipotesi, sostenuta da alcuni,
secondo la quale il lavoro in S. Lorenzo de’ Speziali sarebbe databile al 1646,
anno di completamento dell’altare maggiore, successivamente al suo soggiorno a
Firenze (1640 – 1646, circa).
Accostiamo ora
il nostro attento sguardo all’opera, iniziando a “indagare” lo sfondo,
caratterizzato da un paesaggio che diffonde un, basilare, raccordo iconografico
con il soggetto espresso, dimostrando ulteriormente la cortoniana specifica
attitudine a raffigurare un’efficacissima ampiezza paesaggistica, tanto estranea al descrittivismo
come appare distante, ad esempio, da quella sorta di moderato naturalismo,
svolto entro una definita cifra classicista, proprio del Domenichino che mutua,
con magistrale personalità, il linguaggio di Annibale
Carracci.
Lo
stile del Cortona quindi non comprende quel senso di levigatezza atmosferica, all’opposto
egli stende pennellate di ricolma materia, come si mostrano, richiamandoli alla
memoria quali esemplificazioni, le arboree fronde nei dipinti Trionfo di Bacco, (1624 circa, seconda
versione; Musei Capitolini, Pinacoteca Capitolina), Angeli segnanti la fronte a coloro che devono essere illesi dai
flagelli (1652; Collezione Fondazione Roma). Nella pala in S. Lorenzo de’
Speziali semmai si nota un alleggerimento visivo dei colori, che, riguardo allo
sfondo, rivela pennellate quasi sintetiche, suggerendo, con rinnovato e
formidabile accento, quei toni stesi nel suo iniziale periodo creativo, come
attestano, rammentandoli come altri esempi, i lavori Vergine col Bambino e i Ss. Giacomo il Maggiore, Giovanni Battista,
Stefano I papa, Francesco (1628; Museo dell’Accademia Etrusca e della Città
di Cortona), Attentato alla fede di S.
Bibiana 1624 – 1626; Chiesa di S. Bibiana, Roma), cui alla parte
prospetticamente più lontana, tenuamente disegnata, sembra, in qualche tratto,
richiamarsi l’opera oggetto di questo scritto.
Le
chiome degli alberi, in questo “versante”, sono moderatamente agitate in senso
orizzontale, mentre la cerula volta contiene fulminee nubi capienti, come se il
dramma raffigurato stesse iniziando a scuotere il cielo, dal quale un piccolo
cherubino discende per porgere, al Santo, la corona e il ramo di palma del
martirio. Ma l’insieme atmosferico si arresta vivo, sospendendosi tra i particolari archeologici,
tanto cari all’artista, caratterizzati da pilastri tuscanici, (adattamento
dell’ordine dorico, derivato dal sistema architettonico etrusco), evidenziandone
una luminosa spazialità dell’impianto pittorico, che rende diafano il timpano
annunciante un lontano tempio, sul quale si eleva un’indefinita,
prospetticamente corretta, figura di antica divinità, sottintendendo l’immobile
vacuità del culto pagano. Fissità cui è opposta l’azione vivida raffigurata
nella scena, che esplicita il vigore effuso dalla fede cristiana, espressione
trionfante della verità spirituale. La maestria del Berrettini -virtù dei
grandi autori– benché si esplichi, come in questo caso, nell’ambito di una
committenza della fede, s’innalza al di sopra del suo caratteristico fine, avendo
l’abilità di rendere leggibile la rievocazione ritratta della vicenda del
campione della cristianità, per muovere ad accentuata devozione l’osservatore,
attraverso però una reale plenitudine e consistente saldezza, tale da esprimere
una sua slegata ed eccelsa poetica.
Pala
ricca quindi di effetti pittorici resa con un “codice” compiuto, certamente
barocco, nell’enfatizzare la teatralità dell’azione raffigurata. Una scena intesa drammatica pregna di dettagli, cui la pittura tuttavia si discosta dalla fitta
corposità cromatica del Cortona, sviluppando, in tale “segmento” della sua
esistenza anche artistica (tarda maturità) – questo dipinto parzialmente lo
dimostra – un’attitudine a schiarire e ad attenuare i colori, utilizzando una
gamma di lievi graduazioni di tonalità anche soffici e impregnate di luce, concretando
in questo modo una tangibile e notevole ricchezza di riflessi e di colori
iridescenti, i quali ammorbidiscono il suo linguaggio creativo, così intenso e
spettacoloso, interpretato quale sistema rappresentativo della forza
generatrice, agente in enormi volumi, in arditezze prospettiche.
Un energico
sentimento drammatico, la predilezione per le strutture architettoniche (lui,
ingegnoso architetto) riecheggianti altresì “l’antico”, l’equilibrato assetto
figurativo che rifiuta un unico personaggio: qualità presenti in ogni opera del
Berrettini, che coerentemente sostiene creando molte figure e, spesso, molte
scene in loro compiute e innestate nell’azione principale, combinate intorno al
tema principale, -analogamente all’orditura del poema epico- e, nel medesimo attimo, avviluppandole
nel ritmo e nell’armonico palpitio che le cattura. Infatti, il personaggio centrale,
S. Lorenzo diacono, -rappresentato con la dalmatica, paramento
liturgico specifico dei diaconi e dei vescovi, in uso dal III secolo- esprime proprio
quel carattere “eroico” nell’incipiente e articolato atto del suo martirio avvenuto,
secondo la tradizione, nel 258 sotto l’imperio di Valeriano.
La soluzione
pittorica mostra lo sfondo su cui s’incardina su effetti atmosferici, -già
antecedentemente osservati - su cui si stagliano le immagini, palesandosi dunque nitidamente, a contorni ben marcati sopra la
parte pittorica di fondo che appare così più lontana e quasi indefinita. I movimenti
delle figure si svolgono dinanzi agli elementi architettonici prima descritti,
spazi voluti come unica disserrata quinta teatrale, aperta delimitazione
prospettica su cui la scena viene distesa. La consapevole e personale
reminiscenza della cultura classica non si consuma in un formale desumere, in
studiate narrazioni artificiosamente erudite, poiché il Cortona estrinseca una
pittura liberamente mobile.
Alla
brillante complessa trama decorativa, scaturita dalla grande nobile abbondanza
di personali modelli e d’immaginazione cortoniana, insieme contrassegnato dall’evidente
luminosa spazialità dell’impianto pittorico e dai contorni anche più gradatamente
sfumati senza stacco, si contrappone armoniosamente un sistema del disegno
ripartito attraverso cambi di cadenza, spontanei virtuosismi incentrati sull’esposizione
di elementi differenti.
Se la cromia
si distingue per quel poetico fare tra possente impeto e morbide sfumature, il
gigantismo dei personaggi evoca l’eroica grandiosità e l’imponenza del tema
raffigurato, autentica gesta, impresa gloriosa del Martire colto nella sua
augusta presenzialità, –che liricamente lo “ristabilisce” reale- viva e
intrepida, così forte da piegare a tale verso la densa ricchezza ornamentale,
altrimenti muta, estesa in tutto il dipinto.
Personaggio
quindi valoroso, S. Lorenzo, seppur abbigliato con adorni paramenti, privo di
qualsiasi accenno ieratico, è l’antico eroe impavidamente volto alla morte, al
termine della sua gloriosa impresa, –in tale episodio l’attiva testimonianza
della fede cristiana– gesto non di rassegnazione ma di estrema vittoria che ne
eterna il ricordo; in guisa di “nuovo Ettore” affronta la tremenda fine della
sua esistenza terrena (la graticola che sarà subito accesa).
Intorno,
collocati come una mortifera danza, concitate figure, nella maggior parte
invase da comprensibili scuri, stringono il generoso Diacono, scevro di odio
benché ne sia così circondato ma non sopraffatto. Disegnate immagini perse
nell’ignavia, come attestano gli atteggiamenti, distratti, dei due personaggi
posti, più in alto degli altri, alla destra della pala; figure prese dalla
bruttezza (interiore) sino ad assumere lineamenti volutamente caricaturali, prossimi
allo scimmiesco, manifestato dall’aguzzino impugnante la torcia, ritratto sulla
destra molto vicino a S. Lorenzo, cui l’aperta mano non “declama” una rinuncia,
ma è volta verso l’interminabile bellezza divina.
S. Lorenzo de' Speziali in Miranda: navata verso l'altare maggiore |
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