La
mostra “1564/2014 Michelangelo Incontrare un artista universale ”, svoltasi
presso i Musei Capitolini dal 27 maggio al 14 settembre, ha rappresentato
un’altra occasione per avvicinarsi al poliedrico genio artistico di
Michelangelo. Infatti, ogni esposizione incentrata sulla sua incommensurabile
cifra –rammento ad esempio quelle svoltasi a Palazzo Venezia nel 2002 e nel
2003- dispiega temi fondamentali della sua opera scaturita dal suo pensiero,
che dà un corpo alla pietra dalla quale la fisicità è una tensione poetica,
quasi musicale, tra stridori e soavità, tra contrasti carnali e spirituali, che la sua esistenza
giustappone attraversando slanci e disfatte come rovine interatte e
irrecuperabili eppur sempre risorte nel suo estro, il quale anima quei busti,
quei torsi, quei lapidei arti, così come quelle espressioni architettoniche
d’intense forme simboliche. La vastità del suo “artistico agire” descrive il
suo moto interiore, che penetra nelle “quattro arti”: scultura, pittura,
architettura, poesia. Il suo poetare è un lembo di anima recisa da un
insanabile desiderio, che la bellezza imprime al suo estro, talmente acceso non
soltanto di raffigurarla ma, addirittura, di crearla, volgendo la sua visione
al divino, che alberga nelle membra e nel volto amato.
La
sua lunga esistenza è tratteggiata dal suo ambivalente amore per Roma e per
Firenze ma nessuna delle quali è la sua vera “patria”. Michelangelo, infatti,
non è completamente un “artista fiorentino” né specificatamente un “maestro
romano”. Equidistante da queste due realtà di grandi temperie
artistiche-culturali-storiche, si dimostra costantemente assillato di dare
compiuta definizione a progetti, per lo più titanici, che la sua creatività
esprime altresì nell’architettura e nell’urbanistica, lasciando a Roma una
possente impronta. Infatti, il Buonarroti ne vuole realizzare una
ristrutturazione organica per mezzo di cardini architettonici collegati in una
sequenza concettuale, che dell’Urbe ne caratterizza l’armonica monumentalità.
Questa espressione di grandezza e di solennità si concretizza altresì nei pochi
lavori “meno evidenti” del maestro, per gli insiti caratteristici tratti, che
una lettura attenta ne coglie, come nel caso dell’edicola della Cappella dei
Santi Cosma e Damiano, la quale si affaccia sul Cortile d’Onore, detto
dell’Angelo, a Castel Sant’Angelo.
La
cappella inclusa negli ambienti dell’appartamento papale, voluto da Niccolò V
(1447-1455), è riedificata da Leone X (1513-1521) all’inizio del suo
pontificato (1514-1516, circa), nell’ambito di un progetto, avviato da Giulio
II (1503-1513), inteso a trasformare la fortezza in una confortevole e sontuosa
residenza papale, con opere di difesa tale da renderla inviolabile. Il piccolo
prospetto si contraddistingue per una grande apertura rettangolare, suddivisa
da l’elemento architettonico, che si definisce “a croce guelfa”, propria
dell’età medievale e, in gran parte, di quella rinascimentale. Si notano ai
fianchi due zone più corte, arretrate rispetto al corpo centrale, scavate a
nicchia semicircolare con catino. Conchiude la facciata una nitida, ben
delineata, trabeazione –insieme composto dall’architrave, dal fregio, dalle cornici,
dalle mensole e dalle modanature- sormontata da un timpano triangolare. Sul
frontone è scolpito un particolare dello stemma di papa Leone X, vale a dire un
anello con tre piume.
I
lavori, secondo documenti dell’epoca, sono eseguiti nel 1517, come conferma
anche un breve del papa Medici, definendo la cappella “noviter constructa”. Inoltre, l’attribuzione a Michelangelo è confortata da una nota apposta a un disegno,
conservato presso il Museo delle Belle Arti di Lille, tratto da una raccolta di
schizzi di Bastiano da Sangallo, detto Aristotele (1496-1548, collaboratore del
Buonarroti) e di Giovanni Battista da Sangallo detto il Gobbo (1496-1548). In
tale foglio si legge, sotto un rilievo conprendente le misure dell’edicola, “questo in chastello di Roma di mano di
Michelagnolo di travertino”. Le considerevoli differenze che si distinguono
tra questo disegno e il lavoro realizzato in marmo bianco statutario, dunque
non di travertino, derivano dall’opera di profonda trasformazione, del luogo,
intrapresa da papa Paolo III (1543-1549), che imprime a questo luogo l’aspetto
di una fastosa dimora, sopraelevando di un piano i vani (1543-1548), i quali,
in questo modo, si soprappongono ai precedenti edificati nel ’400. Ne consegue
che il Cortile d’Onore viene modificato e per creare una sorta di simmetria tra
i due lati corti, ideati come sfondo scenografico, l’architetto incaricato dal pontefice, Raffaello da
Montelupo (1505-1567, circa), progetta di ricostruire, apportandone modifiche
non sostanziali, la preesistente edicola michelangiolesca. Infatti, come
probabile, realizza soltanto la nicchia comprendente il giglio dei Farnese, la
famiglia del papa, che si eleva al di sopra del timpano, al cui interno
successivamente è posto un busto scolpito da Gugliemo Della Porta (1515,
circa-1564) intorno al 1548. Il restauro eseguito nel 1988 rimuove gli indebiti
pannelli circolari collocati nelle parti superiori della crociera centrale, apposti
agli inizi del secolo scorso ma non il sedile alla base del prospetto, che non
è stato, purtroppo, possibile eliminare. La scena attuale, quindi, rappresenta,
come a ragione si suppone, quasi completamente quanto progettato da
Michelangelo. Un insieme di studi, nel confermare la paternità del lavoro a
questo titano della storia dell’arte, ha rilevato come soluzioni impiegate dal
Buonarroti, quali l’avanzamento della campata centrale con il frontone, le
nicchie laterali corredate da motivi decorativi incorniciati (targhe), la
grande mensola centrale, rimandino al tipico linguaggio architettonico
michelangiolesco, come dimostra, ad esempio, la tomba di Giulio II, che
troneggia nella Basilica di S. Pietro in Vincoli. Inoltre, le stesse colonnine
di bronzo, quasi certamente originali, rammentano quelle dipinte accanto ai troni
dei Veggenti, immortalati nella volta
della Cappella Sistina. Ritroviamo, quindi, chiari elementi propri della
stesura monumentale di Michelangelo, la quale anche in quest’opera, quasi
celata, evidenzia.
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