Nel mio post
pubblicato il 19 dicembre 2014, dedicato al portale marmoreo attribuito ad
Andrea Bregno, della Chiesa di S. Cosimato, vivo corpo del relativo convento,
ho definito quell’antico complesso uno dei rarissimi luoghi nascosti di
Trastevere. Ambiente, che attrae per la sua intrinseca bellezza, il quale porge
agli attenti visitatori brani d’inconsueto valore artistico e storico. Tra
questi mi soffermo, ora, sull’affresco staccato che effigia la “Vergine in trono con il Bambino tra i Ss.
Francesco e Chiara”, eseguito da Antonio del Massaro da
Viterbo, detto il Pastura (1452,
circa – 1514, circa), collocato nella parete sinistra contigua all’altare
maggiore.
Questo pittore, considerato una sorta di
epigono minore del Perugino e del Pinturicchio, echeggiante talvolta altresì
Antoniazzo Romano, realizza tale lavoro, forse, intorno al 1494 ma, secondo
alcuni, potrebbe collocarsi cronologicamente nel 1478, circa, periodo a mio
avviso non riconducibile all'impostazione dell'opera, non decifrabile quale esito
“giovanile” dell’artista. Infatti, in essa si rivela una consistente e già matura
narrazione di figure, di spazi e di piani, che nel 1494 -quando egli collabora,
non marginalmente, con Bernardino Betti (detto il Pinturicchio), il quale sta
completando con la propria bottega la decorazione dell’appartamento Borgia in
Vaticano- rispecchiano il suo percorso stilistico.
L’affresco suggerisce alla visuale
dell’osservatore un portato artistico che, pur comprendendo un delicato
descrittivismo, sfugge a un’impersonale rielaborazione di quanto quei maestri -soprattutto
il Perugino- “dettano” in quell’epoca. Invero, il soave equilibrio di quanto in
esso è raffigurato compensa la mimica un poco affettata dei personaggi,
svolgendo il programma concettuale a modo di grande miniatura articolata con
aggraziata monumentalità prospettica, con eloquente gentilezza d’ispirazione,
evocatrice di quel sereno e sospeso paesaggio, della tenera e gradevole
esposizione raffigurativa e del raffinato tenue gusto del colore. Il vasto
aperto scenario posto in evidenza dalla precisa disposizione armonica,
proporzionata alle diverse parti del dipinto, risalta l’equilibrata morbidezza colta
e leggiadra dell’intero schema disegnato.
I personaggi ritratti sono disposti secondo
un frequentatissimo modello; la Vergine ammantata di compatto azzurro (Ella è
il giglio blu, simbolo del puro amore e della verità eterna di Dio), indossa
anche vesti dai visibili lembi verdi (colore della contemplazione) e di pallido
rosa (colore dell’amore materno dispensante ristoro spirituale). Maria seduta
su un trono, richiama quasi una scena tardogotica, un’arcaica versione portante
che sistema tutto l’impianto (figurazione reiterata dall’artista), in cui il
Bambino benedicente, tra le soffici braccia della Madre, ripete l’usuale raffigurato
movimento con il suo bell’incarnato. Il regale seggio, nella parte inferiore, è
avvolto da chiare nubi (immagini che alludono al regno celeste di Dio) su cui
poggiano i piedi della Madonna, scoperti pur non nella loro interezza,
riferimento alla Sua presenza “fisica” in quell’altrove divino, che attraverso
Lei, Iuana Coeli (Porta del Cielo)
ove è disceso l’Altissimo Verbo divenendo uomo, si apre alla Rivelazione, alla
concreta speranza dell’umanità. Con tale lessico,
Antonio
del Massaro, affronta con maniera
solenne le esigenze devozionali sia della committenza “illustre” sia dei
fedeli, includendovi tra le ravvivate e pure nuvole anche il differente aspetto
di quella “sua” mandorla, consistente in piccoli angeli dalle teste roteanti e
dalle minuscole ali.
Ai lati della Vergine, in posizione più
avanzata sono disposti rigidamente i due Santi, secondo le diffuse “norme”
quattrocentesche, che saranno “abolite” un decennio dopo per mano, nel senso
più compiuto, di Raffaello (Sposalizio
della Vergine, 1504; pinacoteca di Brera, Milano). Le tre figure
rappresentate però formano un perfetto disegno geometrico, vale a dire un
triangolo equilatero, il cui vertice è sostanziato dalla Vergine con il
Bambino, formando in tal maniera una dialogicità spirituale autentica benché, i
due personaggi posti ai lati, appaino con uno sguardo misticamente rapito,
rappresentati con l’originario “abito” grigio cenerino.
S. Francesco, per chi guarda dipinto alla
sinistra del trono, fra le mani tiene un’esile croce aurea -l’oro è simbolo
della luce celeste e della perfezione divina, come accentano i nimbi e lo
schienale del trono stesso- e un codice avvolto di rosso (amore fervido) quale
affermazione della sua Regola e del suo “Cantico
delle Creature”, emblema dell’amorevole gloria di Dio. Nell’antistante lato,
S. Chiara, regge un aureo piccolo ostensorio “a coppa”, dunque la forma più
antica di questo elemento cultuale, nel quale si svela la reale presenza del
Corpo di Cristo.