Nel
seno della mostra, Orazio Borgianni. Un genio inquieto nella Roma di
Caravaggio, svoltasi a Palazzo Barberini -sede di una delle due “romane”
Gallerie Nazionali di Arte Antica- conclusa lo scorso primo novembre, è stata
esposta la tela Maddalena penitente di Guido Cagnacci (o Canlassi;
1601-1663), quale pittore tra quelli influenzati, in qualche verso, dall’arte
del Borgianni.
Opera
conservata proprio nella Galleria di tale fastoso edificio, che la didascalica
presentazione l’afferma come “vera e
propria icona di sconvolgente sensualità … tra i dipinti più noti del
Seicento”.
Già
di questo tema figurativo ne ho trattato nel post, pubblicato il
28 settembre scorso, riguardo a Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino circa la sua Maddalena
penitente. Dallo stesso riprendo la genesi e lo sviluppo di questa figura
muliebre, che potremmo definire quale santa diffamata e
contemporaneamente gloriata sugli altari, imprigionata nel fisso modello di
donna, già meretrice, redenta da Cristo. L’intricata calunnia sembra nascere da
episodi narrati nel Vangelo di Luca, iniziando dalla “peccatrice perdonata”
(capitolo 7, versi 36-50), dove è descritta la conversione di “una donna che
era in quella città, una peccatrice”, colei che con unguento profumato “stando ai piedi di lui… piangendo,
cominciò a rigargli di lacrime i piedi , e li asciugava coi capelli del suo
capo, e gli baciava e ribaciava i piedi e li ungeva con l’olio … egli disse
alla donna: la tua fede ti ha salvata, va in pace”. Privo di alcun nesso
testuale si è voluto invece congiungere la redenta -cui non è citato il nome-,
di questo brano, a Maria detta la Magdalena (nota come Maria di Magdala)
menzionata tra le pie donne che seguono Gesù Cristo: “con lui erano i dodici
e certe donne che erano state guarite da spiriti maligni e da infermità, cioè
Maria detta la Magdalena, dalla quale erano usciti sette demoni” (capitolo
8, verso 2). Su questo passo si è poi generato l’abbaglio, insopprimibile, della
storia elaborata su tale personaggio. Poiché il numero sette indica, nel codice
biblico, la pienezza, in tale caso appare riferirsi a un male molto gravoso, di
natura fisica o -seconda supposizione- morale, penetrato nella donna e dal
quale Cristo l’ha, in precedenza, affrancata. La tradizione errata però solidifica
la sua traiettoria, identificando altresì Maria di Betania (sorella di Marta e
di Lazzaro) con la Magdalena (intesa come quella anonima “peccatrice”),
in forza del medesimo atto, di venerazione (unzione dei piedi), da ella
compiuto nei confronti di Cristo, contenuto nel Vangelo di Giovanni (capitolo
12, versi 1-8), ampliando la stesura dell’episodio compreso nei Vangeli di
Matteo (capitolo 26, versi 6-13) e di Marco (capitolo 14, versi 3-9). La santa
così individuata sarà riconosciuta nel culto e dunque nella storia dell’arte,
giungendo intatta sino alla nostra epoca.
Il Cagnacci probabilmente esegue questa sua Maddalena
penitente durante il suo breve secondo soggiorno in Roma, avvenuto nel 1621,
come concorda la maggior parte degli studi. In questo periodo la sua cifra si
mostra efficace rilettura del linguaggio caravaggesco, in cui viene esaltato un
vigore tinto di scuro colore e di caldi aperti spazi, accosti, in parte, alla
cifra del Borgianni. La sua tavolozza comprende anche una felice versatilità
capace di rappresentare, in modo autonomo, la natura del soggetto raffigurato,
rendendo percettibile altresì ciò che, in esso, intimamente è mosso,
incorniciandogli scene liricamente naturalistiche, esenti perciò da divagazioni
enuncianti labili leziosi effetti. I suoi lavori, che accoglieranno in seguito
sia elementi “barocchi” sia pacati accenti volti al classicismo, sono privi di
opache ponderosità mantenendo i decisi contrasti -come già mostra il dipinto
della “nostra” Maddalena- di avvolgente luce e ampie vive ombrature, che
da capacità di pittorica impaginatura ottiene, quale valore, sicura vivacità e
caratteristico nitore.
Il
soggetto è steso, dal Cagnacci, con intensa possanza pittorica, sfociante nella
bellezza che lo abbiglia di poesia. Un’accesa coinvolgente spiritualità da un
amore che arde intessendone scena sorprendente, nella quale si materializza la
spirituale fusione dell’anima -che conduce altresì quelle leggiadre membra-con
l’essenza divina. Tale fisicità erompe da un interiore moto, che ripudia la
limitatezza di intorpiditi sensi, per ascendere dalla realtà terrena a quella
purissima celeste, divenendo visibile e abbracciabile dimensione. Elevatezza
nel fremente intimo sospiro, gemito che sopravanza il circoscritto razionabile
sentire, attraverso il compenetrarsi di luce altra per unirsi a Dio. Lo spirito
azzittisce la voce alla mente e, nel completo abbandono, giungono sottili raggi
divini su quel teso incarnato, impregnato di una forza svelante profondità, che
sfugge al sentire materiale.
Certa
si manifesta l’evocazione erotica, la quale, per l’appunto, smaterializzandosi
si dona a una profondità alta dove l’anima insegue, tramite l’estasi,
un’illimitata essenza. La nudità quindi raffigura la rivelazione infinita, che
scopre un respiro introvabile altrove, per mezzo di un gioco plastico dimorante
nello scoperto corpo, il quale mutandosi in proiezione divina rigenera l’amore
nella vita, poco prima di salire i gradini del tempio mistico, tangibile in
quella celata aerosfera. L’amore di e verso Dio si trasforma, nella vicenda
umana, perciò in una sensazione fisica, non evanescente.
La
Maddalena, dal florido nudo seno, è adagiata, presa da una sorta di
svenimento, su cui sembra improvvisamente giungere un fulgore, che esalta la
concretezza di ciò che sembra impalpabile. Il ruvido panneggio dai
laceri bordi, non nega un’ondulata morbidezza del tessuto, su cui s’imprime un
rischiarato teschio dai bruni lati, che la formidabile mano compositiva lo
congiunge al raffinato brano, di luce, che bacia la protagonista e,
contemporaneamente, una velata drammaticità -il flagello libero dalla stretta
della mano- assegna intenso sentimento alla muliebre immagine.
Dettata
dalla tradizione tutta occidentale -come già osservato nel menzionato post
su questo tema dipinto dal Guercino- le
lunghe chiome sciolte della Maddalena -in questo caso coricate sulla
scabra superficie- alludono alla donna peccatrice, alla prostituta, che ha
asciugato, con i suoi capelli, i piedi di Cristo, dal quale è stata redenta; la
fluente libera capigliatura perciò testimonia sia tale intimo contatto con il
Messia, sia la sua precedente condizione peccaminosa, poiché, le donne probe,
al contrario bene acconciano i propri capelli. Ella già grande peccatrice vuole
percorrere la passione del Salvatore -secondo la consolidata voce devozionale-
tramite una vita di stretta penitenza, trascorrendola, dopo la resurrezione di
Cristo, in estremo eremitaggio.
Altri
“segni” individuano la sua stretta esperienza con il piano salvifico, attuato
per mezzo del sacrificio messianico, vale a dire la croce e il piccolo vaso
rammentante l’episodio pronunciato, in forma piena, dal Vangelo di Luca
(capitolo 16, versi 1-2): “Passato il sabato Maria Magdalena e Maria (di
Cleofa) madre di Giacomo (il Minore) e Salomè comprarono degli aromi
per andare a imbalsamare Gesù”.
Uno
scuro, quasi retrostante, indefinito sagomato paesaggio sembra voler penetrare
il violaceo cielo, cui arguti tocchi ne sfumano la tonalità; magnifica tenue
incidenza del colore e della pennellata, che danno alito vivo alla
composizione, opera tra le più acute del Cagnacci.