Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

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giovedì 14 maggio 2015

Beato Angelico: il Trittico; Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Corsini


Guido di Piero, Fra’ Giovanni da Fiesole, domenicano, detto Beato Angelico (1400, circa – 1455), giunge a Roma, probabilmente, alla fine del 1445 chiamato da papa Eugenio IV (1431-1447) quale “famosus ultra omnes pictores italicos”, per eseguire alcuni affreschi nella Basilica di S. Pietro, in seguito distrutti durante le fasi di ricostruzione del Tempio; di tali lavori si conserva soltanto un frammento, “Volto di Cristo”, al Museo Nazionale del Palazzo di Venezia.
 
Tra le sue ultime opere il “Trittico Giudizio Universale, Pentecoste e Predica di S. Pietro, Ascensione di Cristo”, tempera su tavola (in pioppo) realizzata tra il 1447 e il 1448, permanentemente esposta alla Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Corsini, rappresenta un preziosissimo esempio della sua arte. Mirabilmente restaurato attraverso due distinti interventi, tra il 2009 e il 2012, oggi è possibile coglierne importanti angolature rispetto a quanto, in passato, si è giudicato circa la predominanza, durante l’ultimo periodo dell’Angelico, della sua bottega nel dar compimento ai dipinti, cui egli avrebbe marginalmente partecipato. Infatti, l’opera racchiude ed esprime il vivo linguaggio del pittore, evidenziando soltanto alcuni, presumibili, minimi interventi di qualche suo allievo.
 
Il soave candore della sua spiritualità che poeta nelle sue opere, è privo di qualsivoglia elemento ingenuo, pur contemplato nel seno di un ispiratissimo sentimento religioso, comprendente i temi tra i più praticati dell’iconografia cristiana, pur non rinunciando al fantasioso e variopinto splendore nel quale essi sono avvolti, al sorgere dell’ultimo tratto del XIV secolo. Beato Angelico dimostra una lucida razionalità, una saldezza plastica delle forme ben discosta dall’elegante decorativismo gotico, combinando spazialità e naturalismo, rigore prospettico - sebbene talvolta in scene di vasti ambienti architettonici, la prospettiva, volutamente, non dialoga in modo perfetto con le figure, rappresentando in tal modo pregevoli sfondi degli episodi “Cappella Niccolina, Palazzo Apostolico in Vaticano” - e armonizzazione dei gesti, realismo dei dettagli e pacata compostezza dei personaggi, questi ultimi alla fine degli anni trenta del XV secolo definiti con purezza scultorea, in una gamma cromatica ancora più rilucente. Ma in tutto il suo cammino artistico egli mostra, con diverse combinazioni, quel “visibile pregare”, come definisce la sua pittura, tra sottili lievi trame metaforiche, accompagnando l’osservatore dinanzi alla dischiusa bellezza della fede, resa visibile dalla pittura, che ne restituisce al mondo il suo inafferrabile misterioso agire. 
 
Il trittico, di Palazzo Corsini, è posto nella “Anticamera” della Galleria; la tavola centrale raffigura il “Giudizio Universale”, il cui impianto è composto di un’originale scelta e distribuzione dei personaggi rappresentati. Il Cristo giudicante in trono, circondato da quella sorta di formella detta mandorla, con posa di “asciutta” enfasi, appare tra i Principi degli Apostoli, vale a dire S. Pietro, a destra, affiancato da suo fratello S. Andrea - riconoscibile per la tradizionale veste verde- e S. Paolo, a sinistra, a sua volta disposto accanto a S. Giovanni Evangelista, identificato per la minutissima iscrizione dorata dipinta sulla manica (“riemersa” grazie all’ultimo restauro). Dietro di essi sono effigiati il diacono e protomartire S. Stefano (forse da identificarsi invece quale S. Lorenzo) e, alla sinistra del Messia, un pontefice santo, forse Sisto II (martirizzato, secondo la tradizione, poco prima di S. Lorenzo) con le presumibili sembianze di Eugenio IV. Nella parte superiore si distinguono -fondatori di ordini monastici-, SS. Agostino e Benedetto, SS. Domenico e Francesco; ancora più in alto un folto coro angelico chiude -allegoria di un infinito altrove- il registro superiore. Fra la “Chiesa Celeste” e l’umanità si apre il volo di tre angeli; quello centrale, dalla figura dorata, stringe la croce, mentre ai suoi lati gli altri due, diafani, annunciano l’epilogo della storia dell’uomo. Difatti, uno mostra i simboli della Passione e l’altro suona la tromba del Giudizio. In basso, un paesaggio richiama la Valle di Giosafat, (Gioele capitolo 3, versetti 2 e 12) luogo indeterminato ove Dio giudicherà, alla fine dei tempi, tutti gli uomini, come indica il gioco di vocaboli ebraici “giudizio di Jahvè, yehu-eaphat”. Tra sepolcri spalancati stanno due gruppi, distintamente separati: i beati e i dannati. I primi sono definiti da una lirica delicata azione, descritta con colore brillante e vivace; i secondi, in antitesi, sono presi da una traslazione che ne sancisce il divenire a una cupezza, anticipante l’effetto, privo di luce, dell’eterna condanna. I pannelli laterali palesano un disegno pressoché omogeneo, risaltando l’episodio della “Pentecoste e Predica di S. Pietro”, in cui all’interno di uno spazio architettonico aperto sono collocati i Discepoli, chiamati da Gesù Cristo ad andare per tutto il mondo e predicare il Vangelo “ammaestrando” tutti i popoli, questi personificati dai due personaggi esterni all’edificio. L’episodio della “Ascensione di Cristo” rende completa la narrazione pittorica nella gloria ascensionale del Messia, sotto al quale la Vergine è raffigurata, centralmente, in preghiera insieme agli Apostoli. Si notano alcune diversità d’impostazione, riscontrabili nell’accentuata rigidità dei panneggi, che ne tracciano un intervento, parziale, della bottega dell’Angelico. L’opera, nel suo insieme, conferma quella celebrazione teologica, costantemente registrabile nei lavori del Maestro toscano, imperniata sulla continuità tra la Chiesa paleocristiana e quella della sua epoca.



Le immagini sono tratte da "Google Immagini"
 
 

 

 


 

 

 

 

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