Guido
di Piero, Fra’ Giovanni da Fiesole, domenicano, detto Beato Angelico (1400,
circa – 1455), giunge a Roma, probabilmente, alla fine del 1445 chiamato da
papa Eugenio IV (1431-1447) quale “famosus
ultra omnes pictores italicos”, per eseguire alcuni affreschi nella
Basilica di S. Pietro, in seguito distrutti durante le fasi di ricostruzione
del Tempio; di tali lavori si conserva soltanto un frammento, “Volto di Cristo”, al Museo Nazionale del
Palazzo di Venezia.
Tra
le sue ultime opere il “Trittico Giudizio
Universale, Pentecoste e Predica di S. Pietro, Ascensione di Cristo”,
tempera su tavola (in pioppo) realizzata tra il 1447 e il 1448, permanentemente
esposta alla Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Corsini, rappresenta
un preziosissimo esempio della sua arte. Mirabilmente restaurato attraverso due
distinti interventi, tra il 2009 e il 2012, oggi è possibile coglierne
importanti angolature rispetto a quanto, in passato, si è giudicato circa la
predominanza, durante l’ultimo periodo dell’Angelico, della sua bottega nel dar
compimento ai dipinti, cui egli avrebbe marginalmente partecipato. Infatti, l’opera
racchiude ed esprime il vivo linguaggio del pittore, evidenziando soltanto
alcuni, presumibili, minimi interventi di qualche suo allievo.
Il
soave candore della sua spiritualità che poeta nelle sue opere, è privo di
qualsivoglia elemento ingenuo, pur contemplato nel seno di un ispiratissimo
sentimento religioso, comprendente i temi tra i più praticati dell’iconografia
cristiana, pur non rinunciando al fantasioso e variopinto splendore nel quale
essi sono avvolti, al sorgere dell’ultimo tratto del XIV secolo. Beato Angelico
dimostra una lucida razionalità, una saldezza plastica delle forme ben discosta
dall’elegante decorativismo gotico, combinando spazialità e naturalismo, rigore
prospettico - sebbene talvolta in scene di vasti ambienti architettonici, la
prospettiva, volutamente, non dialoga in modo perfetto con le figure,
rappresentando in tal modo pregevoli sfondi degli episodi “Cappella Niccolina, Palazzo Apostolico in Vaticano” - e
armonizzazione dei gesti, realismo dei dettagli e pacata compostezza dei
personaggi, questi ultimi alla fine degli anni trenta del XV secolo definiti
con purezza scultorea, in una gamma cromatica ancora più rilucente. Ma in tutto
il suo cammino artistico egli mostra, con diverse combinazioni, quel “visibile
pregare”, come definisce la sua pittura, tra sottili lievi trame metaforiche,
accompagnando l’osservatore dinanzi alla dischiusa bellezza della fede, resa
visibile dalla pittura, che ne restituisce al mondo il suo inafferrabile
misterioso agire.
Il
trittico, di Palazzo Corsini, è posto nella “Anticamera” della Galleria; la
tavola centrale raffigura il “Giudizio Universale”, il cui impianto è composto
di un’originale scelta e distribuzione dei personaggi rappresentati. Il Cristo
giudicante in trono, circondato da quella sorta di formella detta mandorla, con
posa di “asciutta” enfasi, appare tra i Principi degli Apostoli, vale a dire S.
Pietro, a destra, affiancato da suo fratello S. Andrea - riconoscibile per la
tradizionale veste verde- e S. Paolo, a sinistra, a sua volta disposto accanto a
S. Giovanni Evangelista, identificato per la minutissima iscrizione dorata
dipinta sulla manica (“riemersa” grazie all’ultimo restauro). Dietro di essi
sono effigiati il diacono e protomartire S. Stefano (forse da identificarsi
invece quale S. Lorenzo) e, alla sinistra del Messia, un pontefice santo, forse
Sisto II (martirizzato, secondo la tradizione, poco prima di S. Lorenzo) con le
presumibili sembianze di Eugenio IV. Nella parte superiore si distinguono -fondatori
di ordini monastici-, SS. Agostino e Benedetto, SS. Domenico e Francesco; ancora
più in alto un folto coro angelico chiude -allegoria di un infinito altrove- il
registro superiore. Fra la “Chiesa Celeste” e l’umanità si apre il volo di tre
angeli; quello centrale, dalla figura dorata, stringe la croce, mentre ai suoi
lati gli altri due, diafani, annunciano l’epilogo della storia dell’uomo.
Difatti, uno mostra i simboli della Passione e l’altro suona la tromba del Giudizio.
In basso, un paesaggio richiama la Valle di Giosafat, (Gioele capitolo 3,
versetti 2 e 12) luogo indeterminato ove Dio giudicherà, alla fine dei tempi,
tutti gli uomini, come indica il gioco di vocaboli ebraici “giudizio di Jahvè, yehu-eaphat”. Tra sepolcri spalancati
stanno due gruppi, distintamente separati: i beati e i dannati. I primi sono
definiti da una lirica delicata azione, descritta con colore brillante e
vivace; i secondi, in antitesi, sono presi da una traslazione che ne sancisce
il divenire a una cupezza, anticipante l’effetto, privo di luce, dell’eterna
condanna. I pannelli laterali palesano un disegno pressoché omogeneo,
risaltando l’episodio della “Pentecoste e
Predica di S. Pietro”, in cui all’interno di uno spazio architettonico
aperto sono collocati i Discepoli, chiamati da Gesù Cristo ad andare per tutto
il mondo e predicare il Vangelo “ammaestrando” tutti i popoli, questi personificati
dai due personaggi esterni all’edificio. L’episodio della “Ascensione di Cristo” rende completa la narrazione pittorica nella
gloria ascensionale del Messia, sotto al quale la Vergine è raffigurata,
centralmente, in preghiera insieme agli Apostoli. Si notano alcune diversità
d’impostazione, riscontrabili nell’accentuata rigidità dei panneggi, che ne
tracciano un intervento, parziale, della bottega dell’Angelico. L’opera, nel
suo insieme, conferma quella celebrazione teologica, costantemente registrabile
nei lavori del Maestro toscano, imperniata sulla continuità tra la Chiesa
paleocristiana e quella della sua epoca.
Le immagini sono tratte da "Google Immagini"
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