Tra
il pulsare di Roma, un’isola, descrive la sua sagoma di singolare imbarcazione,
lunga 300 metri, circa e larga, nella sezione più estesa, 80 metri, circa: l’Isola
Tiberina. La sua struttura geologica descrive il complesso di modificazioni e
di accavallamenti dei depositi alluvionali, che ne hanno determinato
l’esistenza in quella parte del corso del Tevere. Infatti, riguardo a questo
aspetto la teoria, affermata dalla maggior parte dei geologi, indica in tali
accumuli la “causa agente” della formazione dell’Isola, avvenuta durante un’epoca
geologicamente recente (tra 18.000 e 10.000 anni fa, circa).
Essa
è situata in una curva impressa nel “tragitto” del Tevere, dove il fondo
fluviale, costituito da materiale di varia grandezza deposto gradatamente, si addensa
restringendosi. Il margine esterno di questo meandro, inciso dalla corrente
nella roccia sottostante la coltre alluvionale, deriva dall’erosione delle pareti
di pietra collinari limitrofe, attraverso, dunque, una sorta di equilibrio tra
lo scorrimento dell’acqua, i sedimenti sovrapposti e la costante azione
abrasiva del fiume sulla parte superficiale delle rocce.
Volgendo
lo sguardo a tempi molto remoti –secondo una misurazione rapportata al
trascorrere delle generazioni umane- si noterebbe che, la profondità del corso
del Tevere, è maggiormente accentuata in prossimità dell’esterno del meandro,
poiché la forza centrifuga incide in modo essenziale sulla capacità, erosiva,
della massa d’acqua. Inoltre, quest’ultima scorre con minore velocità nella
parte interna della curva, consentendo alla sabbia e ai frammenti di pietra di
posarsi, formando un accumulo, il quale aumentando progressivamente di volume
avrebbe “plasmato” l’Isola. Oltre a ciò, quest’ultima è situata in una zona
nella quale, in quell’epoca, più di un affluente conclude il suo corso nel
Tevere, determinando una maggiore presenza di sedimenti, che avrebbero, perciò,
reso possibile un considerevole aumento dell’aggregato di materiale, sino a
crearne la foggia di un particolare “battello”.
Il
fiume, presumibilmente, in quel periodo sposta spesso il suo percorso e, a
causa di uno stadio temporale contraddistinto da una più intensa attività
alluvionale, modella un successivo bacino, creando la minuta porzione di
terraferma circondata dalle sue acque.
Se
lo studio scientifico di questo luogo ne dispiega la genesi, per mezzo della
osservazione analitica delle caratteristiche morfologiche, un’antica leggenda
ne risolve l’esistenza attraverso un curioso mito, esposto anche dallo storico
e retore Dionisio di Alicarnasso (60, circa – 7 a.C.), dallo storico latino
Tito Livio (59 a.C. – 17 d.C.), dallo scrittore e pensatore greco Plutarco (50
– 125 d.C., circa); la narrazione leggendaria è raccolta, citando Livio, ancora
dall’umanista Flavio Biondo (1392-1463).
Questa
tradizione vuole che, l’Isola, sia una conseguenza del graduale processo
sedimentario di fango e di detriti fluviali sulle riserve di grano dei
Tarquini, gettate nel Tevere dai Romani poiché reputate “frutto” di quel
nefasto agire, nei confronti di tutto il popolo, di Tarquinio il Superbo
(ultimo re di Roma, 534 – 509 d.C.), bandito dalla città. Il basso livello del
fiume –lo storico evento è collocato in estate- facilita l’arrestarsi di quelle
raccolte proprio in quel punto del suo letto, quasi preannunciando, in alcuni
passi, quanto le scoperte scientifiche ben definiranno. Invero, Flavio Biondo
afferma che:” il Tevere a quel tempo
correa molto piano, come suol d’estate fare, quelli fasci di biade si fermorono
in quella seccaggine, e limacci, dove poi cumulandovisi anco de altre cose che
suole il fiume sempre portare in giù, venne a poco a poco a farvisi una
isoletta …”
Scorcio dell'Isola Tiberina verso il Ponte Cestio |
Scorcio dell'Isola Tiberina verso il Ponte Fabricio
Isola Tiberina, 1890 circa (immagine tratta da "Google Immagini")
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