Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

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martedì 19 maggio 2015

La formazione dell’Isola Tiberina fra teoria geologica e leggenda

Tra il pulsare di Roma, un’isola, descrive la sua sagoma di singolare imbarcazione, lunga 300 metri, circa e larga, nella sezione più estesa, 80 metri, circa: l’Isola Tiberina. La sua struttura geologica descrive il complesso di modificazioni e di accavallamenti dei depositi alluvionali, che ne hanno determinato l’esistenza in quella parte del corso del Tevere. Infatti, riguardo a questo aspetto la teoria, affermata dalla maggior parte dei geologi, indica in tali accumuli la “causa agente” della formazione dell’Isola, avvenuta durante un’epoca geologicamente recente (tra 18.000 e 10.000 anni fa, circa).

Essa è situata in una curva impressa nel “tragitto” del Tevere, dove il fondo fluviale, costituito da materiale di varia grandezza deposto gradatamente, si addensa restringendosi. Il margine esterno di questo meandro, inciso dalla corrente nella roccia sottostante la coltre alluvionale, deriva dall’erosione delle pareti di pietra collinari limitrofe, attraverso, dunque, una sorta di equilibrio tra lo scorrimento dell’acqua, i sedimenti sovrapposti e la costante azione abrasiva del fiume sulla parte superficiale delle rocce.

Volgendo lo sguardo a tempi molto remoti –secondo una misurazione rapportata al trascorrere delle generazioni umane- si noterebbe che, la profondità del corso del Tevere, è maggiormente accentuata in prossimità dell’esterno del meandro, poiché la forza centrifuga incide in modo essenziale sulla capacità, erosiva, della massa d’acqua. Inoltre, quest’ultima scorre con minore velocità nella parte interna della curva, consentendo alla sabbia e ai frammenti di pietra di posarsi, formando un accumulo, il quale aumentando progressivamente di volume avrebbe “plasmato” l’Isola. Oltre a ciò, quest’ultima è situata in una zona nella quale, in quell’epoca, più di un affluente conclude il suo corso nel Tevere, determinando una maggiore presenza di sedimenti, che avrebbero, perciò, reso possibile un considerevole aumento dell’aggregato di materiale, sino a crearne la foggia di un particolare “battello”.

Il fiume, presumibilmente, in quel periodo sposta spesso il suo percorso e, a causa di uno stadio temporale contraddistinto da una più intensa attività alluvionale, modella un successivo bacino, creando la minuta porzione di terraferma circondata dalle sue acque.

Se lo studio scientifico di questo luogo ne dispiega la genesi, per mezzo della osservazione analitica delle caratteristiche morfologiche, un’antica leggenda ne risolve l’esistenza attraverso un curioso mito, esposto anche dallo storico e retore Dionisio di Alicarnasso (60, circa – 7 a.C.), dallo storico latino Tito Livio (59 a.C. – 17 d.C.), dallo scrittore e pensatore greco Plutarco (50 – 125 d.C., circa); la narrazione leggendaria è raccolta, citando Livio, ancora dall’umanista Flavio Biondo (1392-1463).

Questa tradizione vuole che, l’Isola, sia una conseguenza del graduale processo sedimentario di fango e di detriti fluviali sulle riserve di grano dei Tarquini, gettate nel Tevere dai Romani poiché reputate “frutto” di quel nefasto agire, nei confronti di tutto il popolo, di Tarquinio il Superbo (ultimo re di Roma, 534 – 509 d.C.), bandito dalla città. Il basso livello del fiume –lo storico evento è collocato in estate- facilita l’arrestarsi di quelle raccolte proprio in quel punto del suo letto, quasi preannunciando, in alcuni passi, quanto le scoperte scientifiche ben definiranno. Invero, Flavio Biondo afferma che:” il Tevere a quel tempo correa molto piano, come suol d’estate fare, quelli fasci di biade si fermorono in quella seccaggine, e limacci, dove poi cumulandovisi anco de altre cose che suole il fiume sempre portare in giù, venne a poco a poco a farvisi una isoletta …

Scorcio dell'Isola Tiberina verso il Ponte Cestio


Scorcio dell'Isola Tiberina verso il Ponte Fabricio



Isola Tiberina, 1890 circa (immagine tratta da "Google Immagini")



 


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