Questo post nasce da quanto ho osservato,
durante la mia visita alla “fastosa” mostra dedicata al “Barocco a Roma: la meraviglia delle arti”, in corso a Palazzo
Cipolla sino al 26 luglio prossimo.
Tale esposizione si
articola in un coinvolgente percorso visivo, composto di alcuni lavori inediti
(disegni progettuali, bozzetti, documenti e così via), interessantissimi brani
che “orbitano” attorno a straordinarie –molte inedite- opere, concesse per tal
evento da autorevoli istituti, da preziose collezioni private e da prestigiosi
musei sia italiani sia esteri.
La riflessione
scaturitane, quale frequentatore assiduo di queste manifestazioni, s’incentra
su quanto, i differenti versi artistici, siano stati accomunati sotto l’egida
barocca perché coevi e attivi nello stesso ambiente. Infatti, possono
considerarsi, ad esempio, artisti barocchi –compresi nella mostra- quali
l’Algardi (la cui cifra classicista
si contrappone alla poetica del Barocco), il Caroselli (rivolto a un classicismo
intriso da un naturalismo caravaggesco), il Carracci, il Ciampelli (pittore dai controllati modi
classicisti), il Domenichino, il Maratta (dai toni classicheggianti
e accademici), l’Orbetto (autore di uno stile caravaggesco
mediato da soffici e delicati tratti poetici), il Poussin, il Rosa (il cui humus artistico è in netta antitesi con
i modi berniniani), il Van Dyck?
A mio avviso, come
schietto cultore dell’Arte, andrebbe considerato l’ambiente artistico romano,
del XVII secolo, come un insieme formato da molteplici e differenziati fermenti
culturali, spesso “dialoganti” ma altrettanto frequentemente contrapposti, che
confluiscono in una disomogenea esaltante temperie, nella quale il “Barocco”
diviene espressione predominante.
Il Barocco, dunque,
nel manifestarsi stile particolare è caratterizzato da proprie sembianze, le
quali si contraddistinguono rispetto a quelle di altri correnti, pur attive
nello stesso periodo, che si vuole riunire in un “tutto”, generando una sorta
di possibile variata interpretazione artistica, cogliendo perciò con una
medesima formula sommaria e astratta, “Barocco” per l’appunto, l’intera arte
del XVII secolo e, in parte, di quella del XVIII secolo.
La peculiarità di
questo periodo, della Storia dell’Arte, è testimoniata anche dalle differenti
ipotesi circa l’etimologia del termine “Barocco”; secondo la maggior parte
degli studiosi l’etimo, più probabile, è da ricercarsi nell’espressione
portoghese “aljofre barroco”,
indicante una perla irregolare. Nella prima metà del XVI secolo la parola,
usata dai gioiellieri portoghesi, sarebbe approdata in Francia –“baroque”- assumendo il significato di “bizzarro”
per poi “arrivare” in Italia, nella seconda metà del XVIII secolo, ove mutandosi
in “barocco” ne conferma l’accezione semantica quale “stravagante”.
Sono i letterati
francesi a impiegare questo termine, con il significato che ne sottolinea il
concetto di bizzarria, come riportato nel “Dictionnaire
de l’Académie français” (edizione del 1740), nel “Dictionnaire de musique” (Jean Jacques Rousseau, 1768), nella “Enciclopédie méthodique, Dictionnaire
d’architecture” (Quatremère De Quincy, 1788, primo tomo). Nel “Dictionnaire de Travaux” (edizione del
1771), curato dall’ordine dei Gesuiti francesi, riguardo alla pittura si
afferma. “un quadro, una figura di gusto
barocco si hanno dove le regole delle proporzioni non vengono osservate, dove
tutto è rappresentato seguendo il capriccio dell’artista”.
Quale diretta
derivazione di quanto sostenuto da quell’enciclopedia francese, in Italia la
parola “barocco” definisce, per la prima volta, il medesimo contenuto nel “Dizionario delle belle arti del disegno,
estratto in gran parte dall’Enciclopedia metodica” (edizione del 1797) di
Francesco Milizia, il quale criticando aspramente alcuni artisti (tra cui il
Borromini) giudica il “Barocco” come “il
superlativo del bizzarro, l’eccesso del ridicolo”.
Da questa condanna
fortemente asserita dai teorici del neoclassicismo e successivamente da altri
filoni culturali e di pensiero, propagatasi sino quasi alla fine del XIX secolo,
il “Barocco” è considerato uno stile che mira soprattutto a sedurre e dunque fatuo,
retoricamente onusto, eccessivo, illogico e privo di reale sostanza artistica. Imprigionato
in tale codifica è “riabilitato” da Heinrich Wolfflin, il quale nel 1888 con la
sua pubblicazione “Rinascimento e barocco”
ne individua gli elementi di molteplicità, di progressiva e di sincronica
scomparsa e apparizione delle forme, di preminenza dell’apparente sul reale; in
sostanza, lo delinea come un modello con propri canoni. Successivamente è
percepito, da molte voci intellettuali del XX secolo, quale imparagonabile moto
creativo e poetico.
Se collocato nel
suo svolgimento storico, elidendo qualsiasi improprio flusso di aggettivi
negativi o, al contrario, di persistenti tesi declamanti una “universalità
barocca”, includendovi artisti di altro linguaggio, viene alla luce che i
maestri del Barocco non rinnegano le esperienze e le nozioni del passato -prossimo
o remoto- ma accolgono eterogenei impulsi tradotti da un prodigioso estro, con
il quale ogni elemento strutturale è trasformato, dilatato. Attraverso uno
sperimentalismo progettuale coltivano un rapporto dialettico, libero -però
solido- con l’eredità rinascimentale e classica, pur mai intrattenendo alcun
programma dogmatico, scardinante a priori le precedenti conoscenze tecniche.
Le forme levitanti,
irregolari e complesse, le chiare linee sinuose e schiuse, la grandiosità in
movimento, gli artifici luministici, le scenografie di estrema e stupefacente
ingegnosità, le ambientazioni sfarzose, la varietà e le ricchezza dei materiali,
i maestosi e concitati contrasti chiaroscurali, le pittoriche vibrazioni
esaltanti il pathos dei personaggi,
celebrano questo fenomeno artistico. La pittura, in intima connessione con le
altre arti, rompe allusivamente, in modo definitivo, la saldezza dei limiti
architettonici nelle volte e nei soffitti delle chiese e dei palazzi,
spalancandovi magnifiche visioni di cieli tersi o con nuvole chiare e lievi, colmo
di figure che volano leggere.
Questa
poetica esibisce, quindi, la sua estrema eterogeneità, l’esaltazione del
singolare, l’acuta tensione verso la bellezza, l’effetto del “sempre nuovo”,
del sorprendente. “Perla asimmetrica”, questo stile, in tutte le sue
espressioni, esplora l’universo artistico partendo da coordinate ogni volta
diverse, con un continuo ribaltamento, una perenne metamorfosi delle normali
prospettive di osservazione, quasi il continuo generare di anamorfosi.
Se gli stretti
rapporti degli artisti con le esigenze della ricca, nobile committenza
originano l’adesione dei versi espressivi e stilistici -un “adeguamento
ideologico”- a quel suo percepire e considerare l’esistenza, palesandone la
“concezione del mondo”, decisivo, in questo rinnovato clima espressivo, è
l’azione della Chiesa, che dopo il periodo della Controriforma nelle intenzioni
di somma austerità, affina le “tecniche comunicative” continuando a dettare i
programmi ai maestri d’arte, che devono, in questo periodo, illustrare con
nuovo linguaggio la verità della Fede e le recenti devozioni, glorificando i
martiri, esaltando le estasi dei Santi.
Il “semplice
fedele”, perciò, deve essere affascinato, commosso, stupito ma le allegorie, i
simboli, gli impianti scenici maggiormente elaborati, con allusioni a concetti
più profondi che disegnano un'interpretazione complessa, sono le pagine verso
cui volge il suo attento sguardo l’osservatore, capace di comprenderle appieno.
Ogni individuo, però, esprime un intimo convincimento di assistere a
rappresentazioni verosimili, perciò esse non appaiono come fantastici
accadimenti, interpretati da personaggi scaturiti da “virtuosistiche finzioni
sceniche”: si è coinvolti sino ad essere presi da un prolungato momento di
acuto fervore religioso, che sospinge l’animo umano tra quei vivi bagliori. I
due differenti aspetti –quello reale e quello rappresentato- si fondono
conducendo l’attenzione delle persone in quell’ambito, ove il raffigurato
appare concreta azione. Gli artisti compiono una sorta di materializzazione di
miracoli, di eventi soprannaturali –ma anche di episodi mitologici- rendendoli
credibili e fortemente attraenti, come Roma, sorgente del Barocco, mostra con
intatta beltà.
Immagini della scenografica "macchina barocca" dell'altare maggiore della Chiesa di S. Maria in Portico in Campitelli
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