Pietro da Cortona (Pietro
Berrettini, 1596-1669) è un artista che imprime un profondo segno, nella
dinamica caratterizzazione urbana di Roma, del suo tempo. Egli è protagonista
della stagione barocca, sia quale pittore sia come architetto, imprendendo ad
attività brillantissime e fondamentali per creare un volto “inedito” della
città e del suo basilare “sistema” decorativo. L’inesausta creatività di questo
maestro dell’arte viene mostrata attraverso le portentose architetture, gli
straordinari affreschi e le formidabili tele, opere che illustrano altresì
l’ambiente artistico sviluppatosi intorno alla sua estetica .
Cortona
assolve, tra i grandi personaggi di quel periodo, compiti che la committenza
gli propone, interpretando con originalità il sentimento di sicurezza
dottrinale e di supremazia “ecclesiale” canonicamente ben definita, elementi di
quel “Cattolicesimo vittorioso” propugnato dalla Controriforma. Nondimeno egli
affronta, con arguta padronanza stilistica, il desiderio di quella società di
esibire esteriormente il fasto e la ricchezza, uniti alla gloria, al trionfo
dello spirito religioso, dovuti alla capacità umana ma assai più alla grazia
divina.
La
cifra di tale artista comprende la rielaborazione del linguaggio classico,
realizzato in modo autonomo, originale, accostandone e combinandone alcuni
caratteri, senza fissare una rigorosa
condizionante regola, ma al contrario esibendo una rimarchevole libertà
creativa, com’è asserito, ad esempio, dalla vigorosa plasticità degli spazi
edificati, dalle grandiose compiute rappresentazioni architettoniche, nelle
quali spesso le strutture reali si fondono in un mirabile gioco di effetti
prospettici, suggestivo esempio di teatralità barocca.
La
magnificenza del suo registro espressivo è celebrata anche negli ambienti di
Palazzo Barberini, come elevatissimo pittore (il grandioso affresco de “La Divina Provvidenza” nel Salone
principale o l’insieme pittorico – lavori eseguiti in gran parte da suoi
allievi- nella Cappella). L’edificio sorge in prossimità dell’area già occupata
dalla villa prima di proprietà del cardinale Rodolfo Pio da Carpi, in seguito
appartenente al duca Alessandro Sforza e acquistata, nel 1625, dal cardinale
Francesco Barberini, nipote di papa Urbano VIII (1623-1644), alfine di trasformarla
in una residenza degna della famiglia di un pontefice. Infatti, nel 1626 il
porporato la cede, in parte, a suo fratello Taddeo. Il progetto della nuova
costruzione è affidato a Carlo Maderno, avendo come collaboratori il giovane
Borromimi, da tempo suo “creativo” assistente, nonché l’altrettanto giovane
Bernini (quest’ultimo impostogli dal papa). L’anziano architetto concepisce un voluminoso
edificio avente una forma ad “H”, costituito quindi da due, per come appaiono,
grandi ville rettangolari collegate tra loro per mezzo di una galleria e di un
loggiato. L’ala settentrionale della costruzione deve ospitare il ramo secolare
della nobile famiglia, vale a dire: Taddeo Barberini, sua moglie Anna Colonna,
i suoi figli e sua madre donna Costanza. L’ala meridionale, invece, è destinata
ad accoglierne il ramo ecclesiastico: i cardinali Francesco e -non stabilmente-
Antonio Barberini, l’altro suo fratello. Il primo dei due porporati è uomo di
enorme cultura, di raffinate abitudini che contraddistinguono la sua esistenza;
per tale ragione in quegli ampi appartamenti sono collocati la sua ricchissima
libreria, la sua collezione di dipinti e di antiche preziosità.
Alla
morte del Maderno (1629) succede alla direzione dei lavori il Bernini, che
mantiene gran parte del disegno maderniano benché ne modifichi alcune parti, le
quali ancora oggi gli sono attribuite con difficoltà, tranne alcune palesemente
contenenti l’indubbia impronta della “sua mano” (ad esempio le sette grandi
vetrate della finta loggia), in virtù del contemporaneo lavoro svolto dal
Borromini, cui l’attribuzione, di certune sezioni dell’edificio, è ugualmente
difficile, eccetto quelle a lui manifestamente accreditabili (ad esempio la
particolarissima scala elicoidale).
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