Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

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giovedì 26 febbraio 2015

La “presenza architettonica” di Pietro da Cortona nella fabbrica di Palazzo Barberini

Pietro da Cortona (Pietro Berrettini, 1596-1669) è un artista che imprime un profondo segno, nella dinamica caratterizzazione urbana di Roma, del suo tempo. Egli è protagonista della stagione barocca, sia quale pittore sia come architetto, imprendendo ad attività brillantissime e fondamentali per creare un volto “inedito” della città e del suo basilare “sistema” decorativo. L’inesausta creatività di questo maestro dell’arte viene mostrata attraverso le portentose architetture, gli straordinari affreschi e le formidabili tele, opere che illustrano altresì l’ambiente artistico sviluppatosi intorno alla sua estetica .
 
Cortona assolve, tra i grandi personaggi di quel periodo, compiti che la committenza gli propone, interpretando con originalità il sentimento di sicurezza dottrinale e di supremazia “ecclesiale” canonicamente ben definita, elementi di quel “Cattolicesimo vittorioso” propugnato dalla Controriforma. Nondimeno egli affronta, con arguta padronanza stilistica, il desiderio di quella società di esibire esteriormente il fasto e la ricchezza, uniti alla gloria, al trionfo dello spirito religioso, dovuti alla capacità umana ma assai più alla grazia divina.
 
La cifra di tale artista comprende la rielaborazione del linguaggio classico, realizzato in modo autonomo, originale, accostandone e combinandone alcuni caratteri, senza fissare una rigorosa  condizionante regola, ma al contrario esibendo una rimarchevole libertà creativa, com’è asserito, ad esempio, dalla vigorosa plasticità degli spazi edificati, dalle grandiose compiute rappresentazioni architettoniche, nelle quali spesso le strutture reali si fondono in un mirabile gioco di effetti prospettici, suggestivo esempio di teatralità barocca.
 
La magnificenza del suo registro espressivo è celebrata anche negli ambienti di Palazzo Barberini, come elevatissimo pittore (il grandioso affresco de “La Divina Provvidenza” nel Salone principale o l’insieme pittorico – lavori eseguiti in gran parte da suoi allievi- nella Cappella). L’edificio sorge in prossimità dell’area già occupata dalla villa prima di proprietà del cardinale Rodolfo Pio da Carpi, in seguito appartenente al duca Alessandro Sforza e acquistata, nel 1625, dal cardinale Francesco Barberini, nipote di papa Urbano VIII (1623-1644), alfine di trasformarla in una residenza degna della famiglia di un pontefice. Infatti, nel 1626 il porporato la cede, in parte, a suo fratello Taddeo. Il progetto della nuova costruzione è affidato a Carlo Maderno, avendo come collaboratori il giovane Borromimi, da tempo suo “creativo” assistente, nonché l’altrettanto giovane Bernini (quest’ultimo impostogli dal papa). L’anziano architetto concepisce un voluminoso edificio avente una forma ad “H”, costituito quindi da due, per come appaiono, grandi ville rettangolari collegate tra loro per mezzo di una galleria e di un loggiato. L’ala settentrionale della costruzione deve ospitare il ramo secolare della nobile famiglia, vale a dire: Taddeo Barberini, sua moglie Anna Colonna, i suoi figli e sua madre donna Costanza. L’ala meridionale, invece, è destinata ad accoglierne il ramo ecclesiastico: i cardinali Francesco e -non stabilmente- Antonio Barberini, l’altro suo fratello. Il primo dei due porporati è uomo di enorme cultura, di raffinate abitudini che contraddistinguono la sua esistenza; per tale ragione in quegli ampi appartamenti sono collocati la sua ricchissima libreria, la sua collezione di dipinti e di antiche preziosità.
 
Alla morte del Maderno (1629) succede alla direzione dei lavori il Bernini, che mantiene gran parte del disegno maderniano benché ne modifichi alcune parti, le quali ancora oggi gli sono attribuite con difficoltà, tranne alcune palesemente contenenti l’indubbia impronta della “sua mano” (ad esempio le sette grandi vetrate della finta loggia), in virtù del contemporaneo lavoro svolto dal Borromini, cui l’attribuzione, di certune sezioni dell’edificio, è ugualmente difficile, eccetto quelle a lui manifestamente accreditabili (ad esempio la particolarissima scala elicoidale).

Veduta di Palazzo Barberini, G.B. Piranesi, 1749 circa (Immagine tratta da "Google Immagini")

 
La presenza dell’artista cortonese, chiamato anch’egli a esprimersi in questa fabbrica, non si esaurisce nella sublime decorazione “plastica” di taluni vani, ma vi esplica anche l’altra sua valenza artistica, vale a dire quella architettonica. Invero, al Cortona, molto apprezzato dai Barberini, è richiesto un progetto per il nuovo palazzo, che incontra il favore del papa ma è abbandonato poiché comporta costi elevatissimi. Tuttavia il suo ingegno non può non essere impiegato anche durante quelle fasi costruttive e, quindi, ne concepisce e ne realizza alcuni dettagli architettonici congiunti al palazzo, visibili pur nell’attuale frammentarietà, che ne descrivono il suo gesto.

Nel 1638, circa, il muro di cinta della facciata nord dell’edificio è incorporato in una nuova struttura, costruita per contenere un teatro, di cui il Berrettini ne disegna il prospetto. In un angolo, quasi recondito e silenzioso, si scorge una sorta di rientranza di Via Barberini, estranea “all’incandescente” traffico che segna la circostante zona; al numero ventidue si eleva un portale con timpano spezzato e, come afferma il nipote Luca Berrettini, quattro finestre “al mezzanino inginocchiate”: un insieme di briosa, movimentata eleganza chiaroscurale. Del medesimo teatro, demolito nel 1932 per l’apertura della suddetta strada, sono stati sottratti dalla distruzione questi elementi architettonici, collocandoli sulla facciata del nuovo palazzo costruito seguendo, parzialmente, le linee di quell’ambiente teatrale. Un’altra grande porta d’ingresso decorata, al numero venti, ipotizzata quale accesso della facciata nord della sontuosa residenza, sporge la sua sagoma da una perdurante “momentanea” odierna impalcatura. L’ornamentazione di queste due strutture architettoniche, modellate da bugne e tratti sagomati con sostanziosa duttilità, formano una particolare versione di eterogenei richiami (ad esempio l’ordine rustico), risolti dal Cortona con suo stigma stilistico, che si enuncia avulso da qualsiasi stantio rigore formale animando “pittoricamente” le superfici.    
 

 
 
Il portale al numero 22 di via Barberini
 
 
Particolare del prospetto con tre delle quattro finestre "al mezzanino inginocchiate"
 
 
Il portale al numero 20 di via Barberini
 
 
 
 
  
 
 
 

 

 
 

 
 
 
 
 

 


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