La
Villa pontificia della Magliana, oggetto di
un mio studio, è un raro esempio
di nobile dimora rinascimentale extraurbana, appartata ed estranea all’intenso traffico
dell’autostrada Roma – Aeroporto di Fiumicino. Compresa oggi nella struttura dell’Ospedale di S. Giovanni
Battista, è sorta tra la fine del Quattrocento e gli inizi del
Cinquecento; essa testimonia quel rinnovamento di pensiero, che permea il clima
artistico di Roma sino a trasformarla in un centro egemone di raffinate attività
d’intrecci culturali, quali appaiono il sentimento di viva affezione per la
filosofia, per il sapere, per “il bello”, manifestato per mezzo di ogni
espressione artistica, ove si esplicita l’aspirazione umana alla perfezione
divina attraverso l’armonia, la bellezza. Tale rifioritura si afferma dal
sorgere del XV secolo, in cui attraverso la rilettura delle formule basilari
del passato le metamorfosa con nuova espressione. Il Rinascimento che da
Firenze, dove Brunelleschi palesa la sua splendida creatività dopo essere venuto
nella “Città Eterna”, con il suo amico Donatello –altro grandissimo
innovatore-, per osservare e studiare l'antica architettura romana, si espande
in altre città sino a invadere Roma. Come non rammentare, a questo proposito,
quanto esclama l’erudito papa Niccolò V (1447-1455), il primo pontefice
rinascimentale che incide considerevolmente sulle vicende culturali, oltre il
suo pontificato: “Roma dovrà essere
monumentale e dovrà impressionare coloro che vi giungono da tutto il mondo per convincere
tutti, con l’imponenza, della superiorità della Chiesa romana e della fede
cattolica”.
Si
succedono papi mecenati che promuovono quel culto dello splendore e in tale
ambito agisce papa Sisto IV (1471-1484), che interpreta questo fervore sia attraverso
il riordino edilizio della città, realizzandone l’abbellimento, sia per mezzo
del godimento di ambienti in cui la cultura è vivace presenza (apertura al
pubblico della Biblioteca Vaticana, donazione al popolo romano di alcune
antiche statue bronzee: sorta di atto progenitore di raccolte museali). Questo
suo adoperarsi a favore delle “cose belle” ha effetti altresì sulle vicende
iniziali della Villa.
Il
territorio della Magliana, in tal epoca, presenta una lussureggiante
vegetazione che ricopre le sue colline con folti boschi e con ubertosi vigneti,
contemporaneamente la zona è pervasa da una “salubre” ventilazione dovuta dalla
vicinanza della costa marina; oltre a ciò la navigabilità del Tevere consente
di raggiungere con facilità, da Roma, questo vastissimo luogo adatto, perciò, a
divenire meta di riposo e di refrigerio fisico e spirituale, non dimenticando
la sua caratterizzazione quale ritrovo di caccia, molto in voga in tale
contesto storico.
Le
origini del “Castello” sono individuabili già nel secolo XI, quando la zona
appartiene al Convento dei SS. Pancrazio e Vittore (attuale Basilica di S.
Pancrazio); durante il medesimo secolo vi sorge una piccola chiesa (1070,
circa), S. Giovanni (Battista) in Manliana, affidata al Monastero di
S. Paolo fuori le Mura, cui la venerazione sarà sempre viva in questo luogo,
come conferma la cappella interna della Villa, dedicata a questo Santo. Intorno
al XIII secolo il fondo è di proprietà della Basilica di S. Cecilia in
Trastevere, che la manterrà a lungo. Nel 1483 Sisto IV concede il godimento del
“Palatium S. Joannis della Malliana”
al cardinale titolare della Basilica stessa, Giovanni Sclafenato, probabilmente
da identificare con la costruzione fatta erigere dal cardinale Nicolò
Forteguerri (1464, circa), anch’egli cardinale titolare di S. Cecilia,
appassionato dell’attività venatoria e della vita campestre; egli desidera trasformare
il fondo in un territorio di caccia e per tale motivo vuole un edificio
utilizzabile per la sosta nel corso delle battute. Le cronache contemporanee
rivelano che egli: ” fece fare un
magnifico palazzo in mezzo fra Roma e Ostia, a un loco chiamato la Mallina, con
poderi et giardini e cose dilettevoli”. Nessun elemento, però, sopravvive
di questo edificio, del quale si vorrebbe rintracciarne qualcuno nel portico a
tre arcate del “Palazzetto di Innocenzo VIII”. Anche il conte Girolamo Riario, nipote del
papa, ottiene l’uso dell’estesa tenuta (1471) per organizzarvi delle “partite”
di caccia, alle quali vi partecipano illustri personaggi della corte
pontificia. Per tale motivo progetta, con il consenso del pontefice, una
ristrutturazione del complesso già esistente, in modo che sia degno del rango
dei suoi invitati: proposito concretizzato soltanto in minima parte.
Nel
1484 il nuovo papa, Innocenzo VIII (1484-1492), decide che la tenuta di
campagna della Magliana divenga, oltre che residenza di caccia, altresì un
confortevole luogo di permanenze di poca durata tra Roma e il mare e quindi
sede privilegiata di brevi soggiorni sia per insigni personaggi ospiti del papa,
sia per il pontefice stesso; si assiste perciò alla nascita di un luogo di
rappresentanza del papato. Si erigono le mura, i merli, il fossato, sistema
difensivo reso necessario a causa dei costanti pericoli di assalti e
d’incursioni, da cui deriva la denominazione di “Castello”. Inoltre, si
costruisce l’ala più antica dell’attuale complesso, quel “Palazzetto” situato
sul lato sinistro della corte, appena dopo il portale d’ingresso. I lavori,
inizialmente, sono condotti da Jacopo da Pietrasanta (marmorario e architetto,
venuto a mancare nel 1485), al quale succede Antonio Graziadeo Prata da Brescia,
qualificato come “Murator majoris
fabricae palatii Vaticani”, architetto lombardo venuto a Roma, sulla scia
di Andrea Bregno, con importanti incarichi tra i quali si rammenta il
completamento della Loggia delle Benedizioni (progettata e iniziata da
Francesco del Borgo), posta sulla precedente facciata della Basilica di S.
Pietro, oggi scomparsa.
Nella
sua opera architettonica presso la tenuta della Magliana, pur eseguita in un
ambiente campestre, reputata perciò un lavoro minore, il “magister” Graziadeo vi sigilla la sua cifra di elegante sobrietà,
di chiara “impronta lombarda”, come rivela il “Palazzetto” dal quale si affaccia,
verso la corte, la leggiadria del portichetto a tre archi organizzato in due
pilastri in muratura, ottagonali, aggraziati da squisiti capitelli decorati da
foglie stilizzate, dette foglie d’acqua, cui la forma deriva dal gotico
soprattutto fiorentino, membrature riproposte con attenta regia sui
semipilastri laterali che chiudono il lungo lato aperto. L’interno di questo piccolo
portico è caratterizzato dalla volta a crociera -ornata con lo stemma del papa-
che indugia il suo arioso gioco sul vestibolo, in fondo al quale per tutta la
parete corre un sedile marmoreo. La presenza di tale struttura architettonica
fa supporre la probabile funzione di occasionale riparo che, questo vano,
svolge durante le giornate di caldo afoso o di pioggia.
Anche
la facciata mostra l’elevatezza architettonica dell’edificio, che seppur lineare
non appare sommesso, esponendo una raffinatezza compositiva come dimostra quello
scandire del marcapiano, che sembra fluire lungo il piano superiore,
proiettandolo su un più alto spazio verticale. Le quattro finestre –architravate
e con la dedica incisa “Innocen Cibo
Genuen Papa VIII” e lo stemma del pontefice- poggiano su tale fascia e si
succedono ampliando la superficie orizzontale per quel “simmetrico dialogo” fra
le due luci centrali e i due archi laterali del sottostante portichetto.
Delle
ornamentazioni pittoriche, del prospetto superiore dell’edificio, se ne nota
appena qualche segno sotto la grondaia; dunque nulla quasi rimane di quella pittura
parietale in chiaroscuro, detta sgraffito, che decora diverse abitazioni
nobiliari, raffigurante finte fughe prospettiche, motivi floreali, figure di
amorini e simili.
Altre
costruzioni amplieranno la Villa, create (progetti e interventi di Donato Bramante
e di Giuliano da Sangallo) durante i
pontificati di Giulio II (1503-1513) e di Leone X (1513-1521), che rappresenteranno
i periodi del suo massimo splendore.
Il "portichetto" |
Interno del "portichetto" |