Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

Io Spiego

giovedì 29 gennaio 2015

La Villa pontificia della Magliana, conosciuta come il Castello della Magliana: il Palazzetto di Innocenzo VIII






La Villa pontificia della Magliana, oggetto di un mio studio, è un raro esempio di nobile dimora rinascimentale extraurbana, appartata ed estranea all’intenso traffico dell’autostrada Roma – Aeroporto di Fiumicino. Compresa oggi nella struttura dell’Ospedale di S. Giovanni Battista, è sorta tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento; essa testimonia quel rinnovamento di pensiero, che permea il clima artistico di Roma sino a trasformarla in un centro egemone di raffinate attività d’intrecci culturali, quali appaiono il sentimento di viva affezione per la filosofia, per il sapere, per “il bello”, manifestato per mezzo di ogni espressione artistica, ove si esplicita l’aspirazione umana alla perfezione divina attraverso l’armonia, la bellezza. Tale rifioritura si afferma dal sorgere del XV secolo, in cui attraverso la rilettura delle formule basilari del passato le metamorfosa con nuova espressione. Il Rinascimento che da Firenze, dove Brunelleschi palesa la sua splendida creatività dopo essere venuto nella “Città Eterna”, con il suo amico Donatello –altro grandissimo innovatore-, per osservare e studiare l'antica architettura romana, si espande in altre città sino a invadere Roma. Come non rammentare, a questo proposito, quanto esclama l’erudito papa Niccolò V (1447-1455), il primo pontefice rinascimentale che incide considerevolmente sulle vicende culturali, oltre il suo pontificato: “Roma dovrà essere monumentale e dovrà impressionare coloro che vi giungono da tutto il mondo per convincere tutti, con l’imponenza, della superiorità della Chiesa romana e della fede cattolica”.
 
Si succedono papi mecenati che promuovono quel culto dello splendore e in tale ambito agisce papa Sisto IV (1471-1484), che interpreta questo fervore sia attraverso il riordino edilizio della città, realizzandone l’abbellimento, sia per mezzo del godimento di ambienti in cui la cultura è vivace presenza (apertura al pubblico della Biblioteca Vaticana, donazione al popolo romano di alcune antiche statue bronzee: sorta di atto progenitore di raccolte museali). Questo suo adoperarsi a favore delle “cose belle” ha effetti altresì sulle vicende iniziali della Villa.
 
Il territorio della Magliana, in tal epoca, presenta una lussureggiante vegetazione che ricopre le sue colline con folti boschi e con ubertosi vigneti, contemporaneamente la zona è pervasa da una “salubre” ventilazione dovuta dalla vicinanza della costa marina; oltre a ciò la navigabilità del Tevere consente di raggiungere con facilità, da Roma, questo vastissimo luogo adatto, perciò, a divenire meta di riposo e di refrigerio fisico e spirituale, non dimenticando la sua caratterizzazione quale ritrovo di caccia, molto in voga in tale contesto storico.
 
Le origini del “Castello” sono individuabili già nel secolo XI, quando la zona appartiene al Convento dei SS. Pancrazio e Vittore (attuale Basilica di S. Pancrazio); durante il medesimo secolo vi sorge una piccola chiesa (1070, circa), S. Giovanni (Battista) in Manliana, affidata al Monastero di S. Paolo fuori le Mura, cui la venerazione sarà sempre viva in questo luogo, come conferma la cappella interna della Villa, dedicata a questo Santo. Intorno al XIII secolo il fondo è di proprietà della Basilica di S. Cecilia in Trastevere, che la manterrà a lungo. Nel 1483 Sisto IV concede il godimento del “Palatium S. Joannis della Malliana” al cardinale titolare della Basilica stessa, Giovanni Sclafenato, probabilmente da identificare con la costruzione fatta erigere dal cardinale Nicolò Forteguerri (1464, circa), anch’egli cardinale titolare di S. Cecilia, appassionato dell’attività venatoria e della vita campestre; egli desidera trasformare il fondo in un territorio di caccia e per tale motivo vuole un edificio utilizzabile per la sosta nel corso delle battute. Le cronache contemporanee rivelano che egli: ” fece fare un magnifico palazzo in mezzo fra Roma e Ostia, a un loco chiamato la Mallina, con poderi et giardini e cose dilettevoli”. Nessun elemento, però, sopravvive di questo edificio, del quale si vorrebbe rintracciarne qualcuno nel portico a tre arcate del “Palazzetto di Innocenzo VIII”.  Anche il conte Girolamo Riario, nipote del papa, ottiene l’uso dell’estesa tenuta (1471) per organizzarvi delle “partite” di caccia, alle quali vi partecipano illustri personaggi della corte pontificia. Per tale motivo progetta, con il consenso del pontefice, una ristrutturazione del complesso già esistente, in modo che sia degno del rango dei suoi invitati: proposito concretizzato soltanto in minima parte. 
 
Nel 1484 il nuovo papa, Innocenzo VIII (1484-1492), decide che la tenuta di campagna della Magliana divenga, oltre che residenza di caccia, altresì un confortevole luogo di permanenze di poca durata tra Roma e il mare e quindi sede privilegiata di brevi soggiorni sia per insigni personaggi ospiti del papa, sia per il pontefice stesso; si assiste perciò alla nascita di un luogo di rappresentanza del papato. Si erigono le mura, i merli, il fossato, sistema difensivo reso necessario a causa dei costanti pericoli di assalti e d’incursioni, da cui deriva la denominazione di “Castello”. Inoltre, si costruisce l’ala più antica dell’attuale complesso, quel “Palazzetto” situato sul lato sinistro della corte, appena dopo il portale d’ingresso. I lavori, inizialmente, sono condotti da Jacopo da Pietrasanta (marmorario e architetto, venuto a mancare nel 1485), al quale succede Antonio Graziadeo Prata da Brescia, qualificato come “Murator majoris fabricae palatii Vaticani”, architetto lombardo venuto a Roma, sulla scia di Andrea Bregno, con importanti incarichi tra i quali si rammenta il completamento della Loggia delle Benedizioni (progettata e iniziata da Francesco del Borgo), posta sulla precedente facciata della Basilica di S. Pietro, oggi scomparsa.
 
Nella sua opera architettonica presso la tenuta della Magliana, pur eseguita in un ambiente campestre, reputata perciò un lavoro minore, il “magister” Graziadeo vi sigilla la sua cifra di elegante sobrietà, di chiara “impronta lombarda”, come rivela il “Palazzetto” dal quale si affaccia, verso la corte, la leggiadria del portichetto a tre archi organizzato in due pilastri in muratura, ottagonali, aggraziati da squisiti capitelli decorati da foglie stilizzate, dette foglie d’acqua, cui la forma deriva dal gotico soprattutto fiorentino, membrature riproposte con attenta regia sui semipilastri laterali che chiudono il lungo lato aperto. L’interno di questo piccolo portico è caratterizzato dalla volta a crociera -ornata con lo stemma del papa- che indugia il suo arioso gioco sul vestibolo, in fondo al quale per tutta la parete corre un sedile marmoreo. La presenza di tale struttura architettonica fa supporre la probabile funzione di occasionale riparo che, questo vano, svolge durante le giornate di caldo afoso o di pioggia.
 
Anche la facciata mostra l’elevatezza architettonica dell’edificio, che seppur lineare non appare sommesso, esponendo una raffinatezza compositiva come dimostra quello scandire del marcapiano, che sembra fluire lungo il piano superiore, proiettandolo su un più alto spazio verticale. Le quattro finestre –architravate e con la dedica incisa “Innocen Cibo Genuen Papa VIII” e lo stemma del pontefice- poggiano su tale fascia e si succedono ampliando la superficie orizzontale per quel “simmetrico dialogo” fra le due luci centrali e i due archi laterali del sottostante portichetto.  
 
Delle ornamentazioni pittoriche, del prospetto superiore dell’edificio, se ne nota appena qualche segno sotto la grondaia; dunque nulla quasi rimane di quella pittura parietale in chiaroscuro, detta sgraffito, che decora diverse abitazioni nobiliari, raffigurante finte fughe prospettiche, motivi floreali, figure di amorini e simili.
 
Altre costruzioni amplieranno la Villa, create (progetti e interventi di Donato Bramante e di  Giuliano da Sangallo) durante i pontificati di Giulio II (1503-1513) e di Leone X (1513-1521), che rappresenteranno i periodi del suo massimo splendore.   



Il "portichetto"


Interno del "portichetto"
 


Nessun commento:

Posta un commento