Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

Io Spiego

mercoledì 7 gennaio 2015

Roma: cenni geologici



 

Gli elementi portanti geologici del territorio, ove sorge Roma, spiegano lo strettissimo legame che li unisce alla plurimillenaria storia della “Città Eterna”. 
Il costante sereno aspetto morfologico dei suoi colli, definisce la dolcezza del territorio romano; piccole alture che lievemente discendono sino alla valle del Tevere e a quelle dei suoi antichi affluenti, cui gli intricati percorsi ancor oggi sono descritti, in parte, da alcune strade del Centro Storico.
 
Sottostante all’odierna pavimentazione stradale giace una copiosa eterogeneità di materiale, derivato sia dall’attività umana, sia dai differenti accadimenti geologici; ne deriva che, dunque, lo strato più superficiale è costituito da residui dovuti dall’opera svolta, durante le diverse epoche, dall’uomo, occupando un’estensione profonda da, circa, 5 a 10 metri.  Tale sostrato, attraverso il quale si ricostruiscono le articolate fasi storiche della città, conserva reperti archeologici ed è formato da detriti alluvionali, che hanno colmato una sorta di vasto canale di cospicua profondità (60 metri, circa), molto probabilmente da identificarsi con l’antico letto del Tevere, quando scorreva sino a una linea costiera più “dilatata” rispetto a quella attuale, che si estende in posizione molto arretrata rispetto a quella remota. Successivamente il livello del mare si è innalzato in modo rilevante durante il primo periodo postglaciale (12.000-10.000 anni fa, circa), con effetti sulla valle del Tevere, che è stata riempita da sabbie fluviali, da ciottoli e da fango.
Al di sotto di questi sedimenti alluvionali si trova un fitto “insieme” di sabbie fossilifere e di strati di limo, appartenenti a un antichissimo luogo costiero di, circa, 2/3 milioni di anni fa.
 
Si è accennato, all’inizio di questo post, dei complicati “tragitti geologici” rintracciabili in alcune aree del centro cittadino. Infatti, ad esempio, quella circostante alla Fontana di Trevi poggia sui depositi del Tevere, mentre quelle delle strade contigue a essa ripropongono il percorso degli antichi affluenti del fiume. Ancora, ad esempio, il pendio oggi corrispondente a Via del Tritone ricalca una sorta di canale fluviale, colmato da depositi alluvionali e da detriti relativi “dall’opera dell’uomo”.
 
Tutta la zona che conduce al Quirinale è di origine argillosa e sabbiosa, a causa dell’attività alluvionale del Tevere, il quale ampliandosi per la caduta di fitte piogge e quindi, sino all’inizio del XX secolo, oltrepassando i suoi argini, ha invaso spesso i terreni pianeggianti situati lungo le sue rive, spargendosi nel Centro Storico di Roma.
 
L’area sulla quale sorge il Palazzo del Quirinale corrisponde a una delle estremità di un espandimento lavico, un territorio pianeggiante formato da materiale solidificato -sovrapposto su depositi alluvionali dell’antico Tevere- emesso per la maggior parte dai vulcani presenti nell’attuale territorio dei Colli Albani e, in quantità minore, da quelli dei Monti Sabatini oggi zona collinare scaturita dai resti dell'antico Vulcano Sabatino, visibilmente testimoniati dai crateri che delineano i laghi di Bracciano e di Martignano. Tali manifestazioni proprie dell’attività vulcanica sono accadute tra 600.000 e 300.000 anni fa,  presentando colate piroclastiche, vale a dire un notevole scorrimento di elementi gassosi, di ceneri e di molteplici frammenti solidi mossi, dall’eruzione, con grande velocità. Le consistenti colate vulcaniche hanno interagito, in modo determinante, con il corso del Tevere e dei suoi tributari, colmandone le valli, imponendone nuovi percorsi attraverso i quali sono state incise altre depressioni sul territorio.
 
Attualmente la valle del Tevere appare limitata a occidente dai rialti formati da Monte Mario (colle alto 139 metri, rappresenta l’altura più elevata di Roma), dal Colle Vaticano e dal Gianicolo. L’origine di questi colli è molto differente e parecchio più antica rispetto a quella degli altri sette – così come sono definiti: Aventino, Capitolino (o Campidoglio), Celio, Esquilino, Palatino, Quirinale e Viminale-, situati a oriente del fiume, morfologicamente uniformi nonché strettamente connessi con il territorio pianeggiante; essi sono stati creati dall’azione di un vasto espandimento lavico. I tre colli occidentali, al contrario, devono la loro diversa composizione ai sedimenti sabbioso-argillosi giacenti, oltre 1.000.000 di anni fa, sui fondali di un mare non profondo, ricoprente l’intera area. In epoca successiva una faglia - frattura nelle rocce della crosta terrestre che scivolano sopra altre rocce- ne ha determinato il sollevamento, sino a raggiungere la collocazione oggi visibile.
 
L’effetto di questa lunga e complessa “reciprocità” di fenomeni e di elementi è delineata dalla peculiarità morfologica, che ha permesso la trasformazione del territorio interessato come luogo ideale per piccoli insediamenti, agevolmente difendibili e in posizione strategica ai fini degli scambi commerciali; da tale felice circostanza nasce Roma. Oltre a ciò, dai depositi magmatici sono stati tratti i blocchi di tufo, utilizzati, come descrive la sua storia, quali pietre da costruzione, poiché queste rocce -non particolarmente dure e quindi agilmente lavorabili- offrono un ausilio ottimale riguardo alla stabilità di quanto si edifica. In sostanza, essi hanno costituito cave facilmente sfruttabili per il rifornimento edilizio. Altresì questa “naturale” linea di sviluppo urbano ha consentito la crescita e la straordinaria affermazione dell’antica Roma, in cui il terreno pianeggiante si destina, maggiormente, a edifici di uso pubblico (templi, teatri, caserme e così via) e quindi tutti facilmente evacuabili se minacciati o colpiti da gravosi eventi naturali (e non); si privilegiano, invece, per l’edilizia abitativa (a favore dei più abbienti) le aree collinari, oggettivamente più salubri e più sicure.
 
L’insediamento di edifici privati nelle aree alluvionali del Tevere inizia, in via generale, soltanto nel Medioevo, esponendo le abitazioni, soprattutto le più misere, a rovinose inondazioni.
 
 
Uno scorcio del Gianicolo

 

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