Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

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lunedì 29 dicembre 2014

Il mosaico “Gesù Cristo benedicente” della Basilica di S. Bartolomeo all’Isola


Durante i secoli XI e XII, soprattutto a Roma, l’architettura volta all'edificazione o alla ricostruzione di luoghi di culto, recupera un ordine compositivo che intende riproporre modelli specificatamente proto cristiani, modificandone però alcuni elementi e quindi presentandoli compiuti attraverso il riadattamento medioevale. Quali esempi di questo nuovo clima artistico si possono ricordare le Basiliche di S. Clemente, di S. Crisogono, di S. Maria in Trastevere e di S. Bartolomeo all’Isola (quest’ultima come la precedente oggetto di un mio studio).

La Basilica, che si ammira presso l’Isola Tiberina, è stata dunque rifondata durante il pontificato di Pasquale II (1099-1118), permanendone l’impianto complessivo fino ad oggi, vale a dire la ripartizione dell’interno in tre navate, divise da colonne di spoglio e il presbiterio rialzato. Nel corso dei periodi successivi sono eseguiti soltanto interventi di minime modifiche e di piccoli abbellimenti fintanto che, nel 1557, una rovinosa inondazione del Tevere distrugge la facciata con i suoi mosaici, la navata destra, il presbiterio e l’ornamentazione pittorica e musiva.
 
Di tutto quel complesso decorativo si è salvato, dallo sconquasso, solo un consistente frammento di mosaico del XII secolo, “Gesù Cristo benedicente”, attualmente collocato in un ambiente non compreso nella Basilica (ricostruita dal 1570 al 1625 e seguenti lavori del XVIII e XIX secolo).
Di eccellente qualità formale, esaltata dalla lucentezza dell’oro, questa raffigurazione di Cristo emana uno spesso senso di trascendenza, per lo scintillio “volutamente surreale” del colore quasi decomposto dalla chiarità impressa sulle tesselle, che da queste si diparte non per allontanarsi ma per condurre gli occhi del visitatore verso l’eternità di quel fondamento spirituale, così descritto. Infatti, il Messia nell’atto di benedire, con lo sguardo che abbraccia l’infinito, tiene nella sua mano sinistra le pagine aperte di un passo del Vangelo di S. Giovanni (capitolo 14, versetto 6) “Ego su(m) via veritas et vita”, ponendo in risalto con l’espressione “Ego sum” la pienezza del suo “essere”. Inoltre, la posa che lo ritrae con entrambe le braccia orizzontalmente distese, indica la Sua costante azione nell’accogliere in Sé l’umanità, che in Lui trova quella “pietra angolare” su cui edificare, durante il percorso dell’esistenza, l’ecclesia, la comunità dei fedeli, per congiungersi al termine della vita  con la gloria dell’alto dei cieli. Cristo, centro del cosmo e del tutto creato, ne è la via.      

L’opera esce dai limiti rigorosi della tradizione bizantina -rappresentando una volontà di rinnovamento del linguaggio musivo-, non per ritornare allo schema proprio dell’antica “classicità” romana ma perché comunica il superamento, attraverso un parziale diverso tema cromatico, del bizantismo stilizzato e aulico. Si avverte che, l’elaborazione degli effetti dei colori, appare nei dettagli complessa, come mostra il volto nel quale la colorazione si separa in macchie, create da tessere frazionate, contrastanti; come pure, con medesimo esito, espongono l’adorna tunica e l’irregolare contorno combustivo del libro, tenuto con ferma mano. Tali particolari trovano la loro forza espressiva in questo sparpagliamento, in questa accensione di leggeri eppure intensi fuochi, di bagliori che si corrispondono in zone del campo musivo, secondo un succedersi temporale quasi aritmico e dissonante, echeggiando, non passivamente, gli stilemi della “scuola romana” mostrati nel IX secolo (Basilica di S. Prassede all'Esquilino).   
 
 

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