Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

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martedì 9 dicembre 2014

Alessandro Scarlatti: il clima musicale nella Roma barocca; l’oratorio; “Il martirio di S. Cecilia”


Alessandro Scarlatti nasce a Palermo nel 1660, trasferendosi a Roma, con tutta la famiglia, in tenera età. Da allievo musicista frequenta l’Accademia degli Incolti, fondata a Roma nel 1658 -tuttora in attività- la cui denominazione scaturisce dal concetto socratico del “non sapere”, vale a dire quel percorso sconfinato del pensiero che definisce il moto perpetuo della diversificata azione intellettiva dell’uomo, verso quell’insieme di complesse evolventi conoscenze, che si manifestano nella profondità del suo animo.
Nel dinamico ambiente artistico romano trova la naturale collocazione il suo estro, tanto da permettergli un’incessante e portentosa attività sino a essere chiamato da Cristina di Svezia, promotrice di una notevole attività culturale, dalla quale deriverà l’Accademia dell’Arcadia.
Trasferitosi nel 1684 a Napoli e nel 1702 a Firenze, in questo medesimo anno ritorna a Roma, assumendo l’incarico di vicemaestro di cappella della Basilica di S. Maria Maggiore; successivamente (1706) è ammesso tra i membri della citata Arcadia. Dopo essersi recato a Venezia, Urbino, Napoli (soggiornandovi dal 1708 al 1717) ricompare nella Città Eterna prendendovi dimora fino al 1722, circa, ma la sua irrequietezza artistica lo riconduce a Napoli, ove, però, rimane inattivo per il sopraggiungere di nuove espressioni musicali; muore nella città partenopea nel 1725.
Scarlatti è tra i massimi esponenti del melodramma tra barocco e primo ‘700 e, soprattutto, della cantata da camera (influenzando Bach e Handel), della musica strumentale, nonché di quella sacra: messe, responsori –composizioni dal testo in latino dove il canto del solista si alterna con quello del coro-, mottetti -creazioni vocali e strumentali cui il tema religioso è esposto con raffinato linguaggio musicale- e oratori.

Quanto finora descritto introduce al clima musicale di Roma, al tempo di questo grande musicista.

Dalla corte pontificia alle dimore delle famiglie nobiliari e cardinalizie, l’offerta musicale comprende ogni filone vocale strumentale. In tale cornice s’innesta la prassi dell’oratorio, al quale la Curia romana affida il compito di contribuire a riavvicinare i fedeli al credo religioso cattolico. Infatti, la Chiesa dimostra un’evidente sensibilità circa il rinnovamento della musica sacra, come per le altre espressioni artistiche, dal periodo della Controriforma in poi. In questo complesso rapporto tra fede istituzionalizzata e creatività artistica, si deve rammentare il ruolo significativo svolto dalla Congregazione dell’oratorio di S. Filippo Neri (1575) –ispirata all’assemblea di laici e di religiosi sostenuta da S. Gaetano Thiene (Roma, 1517)-, costituita dal cenacolo romano di sacerdoti raccoltosi attorno al Santo e approvata da papa Paolo V (1617). Questa iniziativa religiosa, particolarmente vitale, è compresa nell’ambito delle molteplici attività favorite dalla Chiesa romana per riguadagnare gli animi dei credenti molto affievoliti o lacerati dal dubbio o disorientati da quanto affermato, con forza, dalla Riforma Protestante, che demolisce quasi tutti i millenari e secolari dogmi cattolici. Dalle laudi spirituali intonate negli edifici adibiti a oratori deriva il termine del “genere musicale” oratorio (1630, circa), dall’andamento drammatico o epico-narrativo imperniato sul soggetto sacro. Tale novità mostra l’attivismo sorto a Roma, che ha inizio dall’affermarsi della Controriforma a tutto il XVII e alla prima parte de XVIII secolo, periodo nel quale tutte le arti palesano una variegata magnificenza, un oggettivo splendore. Già intorno alla metà del XVII secolo la committenza, la creazione e la fruizione della musica sacra aumentano considerevolmente, cui il motivo riporta alla figura di S. Filippo, che in luogo di premere sulla paura delle pene dell’Inferno, conduce i gusti del secolo, quasi apparentemente assecondandoli, verso il fine religioso, riavvicinando in tal modo i credenti alla Chiesa. Egli forgia una sorta di travestimento spirituale di quanto si rappresenta nei ritrovi mondani, così frequenti presso la nobiltà (laica e religiosa) ma graditissimi anche alle classi meno abbienti. Questa acuta intuizione intende generare, attraverso la musica, un rafforzamento della vita spirituale riuscendo, contemporaneamente, a divertire. S’impone la lauda, quindi, componimento poetico-musicale in lingua volgare e di carattere popolare, religiosa ma non liturgica, canzone spirituale fiorita nel XIII secolo e in voga, con molte trasformazioni, anche durante i secoli successivi, sino a generare, come già detto, l’oratorio nei primi decenni del XVII secolo, che da Roma si propaga in tutta Italia e poi, soprattutto, in Austria (in particolar modo a Vienna), in Francia, in Inghilterra, insinuandosi anche nel territorio tedesco dominato dalla Riforma Luterana. Il clamore da esso suscitato, risiede nella facilità con cui i testi, di carattere religioso, confluiscono nell’espressione vocale musicata; oltre a ciò il canto (in latino e in volgare) a una voce (monodico) con accompagnamento musicale elaborato, ne permette la trasformazione in una vera intonazione drammaturgica. Mancante di qualsiasi apparato scenico ed elementi a esso collegati (azione teatrale, costumi), si contraddistingue quale forma innovativa di sermone musicale, efficace mezzo volto alla preghiera e all’elevazione spirituale, eseguito da almeno due solisti (monologhi e dialoghi), da un coro (commento), da un insieme di strumenti, soprattutto, ad arco e, in molte composizioni, da una voce recitante che narra il soggetto, sia in latino sia in volgare, tratto dalla Bibbia o da testi devozionali. Vi confluiscono, progressivamente, lo stile arioso “operistico”, gli effetti strumentali del concerto grosso, sino a comprendere, all’inizio del ‘700 che palesa il “nostro” Scarlatti tra i maggiori protagonisti, la successione teatrale aria-recitativo, il da capo – la parte in cui l’autore fa riprendere l’esecuzione iniziale della partitura-, i recitativi strumentalmente accompagnati, “l’arrangiamento” orchestrale descrittivo di natura scenica, la precisa stilizzazione della vocalità, che presenta accenti appassionati e, talvolta, veramente erotici affidati a personaggi femminili come, ad esempio, Maddalena, Giuditta, Susanna. Nel contempo sono aboliti o fortemente ridimensionati alcuni tratti originari (voce narrante, coro) e l’italiano prevale, quasi completamente, sul latino. L’oratorio, quindi, da Roma si espande come tra i più significanti eventi artistici, quindi, non solo del Barocco romano nonché italiano ma dell’intera genesi musicale europea.

 
L’oratorio “ Il martirio di S.Cecilia” e osservazioni sulla figura della Santa in ambito del culto romano

 
Questa composizione, eseguita per la prima volta il 6 marzo 1708 (giorno della seconda settimana di Quaresima), presso l’Oratorio dei Padri Filippini, mirabile edificio del Borromini, solo dopo quattro giorni dal suo completamento, dimostrando la grande abilità dei cantanti e degli strumentisti di porla in atto in così brevissimo tempo, prassi all’epoca assai frequente.
Anche durante il pontificato di Clemente XI (1700-1721) le rappresentazioni di opere non religiose sono spesso vietate, ne discende che il “melodramma sacro” assume per i compositori, perciò anche per Scarlatti, una fondamentale importanza.
La storia di S. Cecilia, fanciulla romana martire, tra il 222 e il 230, è narrata nella “passio” del VI secolo, mentre il culto è attestato soltanto dal V secolo. Secondo la tradizione è una fanciulla nobile divenuta cristiana che, segretamente votata alla verginità, la sera delle nozze esplicita allo sposo, Valeriano, questa ferrea volontà inducendolo alla conversione. La sua storia confluisce così nella “passio” dei martiri Massimo, Tiburzio e Valeriano (suo sposo), che la precedono nel martirio, ordinato da Turcio Almachio prefetto di Roma durante il regno di Alessandro Severo. A causa dell’inesistenza di citazioni, di documenti datati III e IV secolo relativi alla Santa, si è ipotizzato il carattere leggendario del personaggio, la cui storia devozionale è scaturita forse dalla presenza della sepoltura, presso le Catacombe di S. Callisto, di una componente della nobile famiglia romana dei Cecilii. La spoglia mortale della Santa, o di colei che così si è inteso identificare, è traslata da tale cimitero nel IX secolo -per volere di papa Pasquale I- e posta nella basilica ad ella dedicata (Basilica di S. Cecilia in Trastevere). La ricognizione del suo corpo del 1599 la mostra pressoché intatta e la notizia, in poco tempo percorre la città, destando una forte emozione. All’avvenimento si lega un’impressione quasi miracolistica, suggellata dalla Chiesa alla vigilia dell’Anno Santo del 1600. Lo scultore Stefano Maderno, probabilmente, ha occasione di vedere quel corpo, che dipoi rappresenta con notevole finezza, secondo lo stato del particolare accertamento: sdraiata, le braccia stese, le ginocchia sollevate, il capo voltato dalla parte opposta rispetto all’osservatore, con il taglio della scure ben inciso sul collo.
Il Medioevo non conosce il rapporto tra S. Cecilia e la musica. Invero, il protettore di quest’arte, come del canto, è S. Giovanni Battista, poiché alla sua nascita il padre Zaccaria, riavuta la parola, prorompe in un cantico benedicendo Dio (Vangelo di S. Luca, cap. 1, vers. 64). L’assimilazione della Santa con la musica risale all’inizio del XV secolo, apparendo come un errore di interpretazione. Nella sua “passio”, infatti, si legge che il giorno delle nozze “mentre gli organi suonavano, Cecilia, nel suo cuore cantava al Signore”. Questo sorta di travisamento determina un forte impulso devozionale popolare, il quale la elegge patrona della musica; s’inizia a raffigurarla con un organo come suo attributo iconografico e spesso, accanto, compare un angelo mentre stringe in mano uno strumento (organo, liuto e così via).
Queste considerazioni ci riaccompagnano verso l’oratorio creato dal “nostro” Scarlatti.
Il libretto de “Il martirio di S. Cecilia” manifesta un’osmosi compositiva tra la tragedia sacra e le caratteristiche proprie “dell’opera”. Come non notare la figura del prefetto Almachio, perdutamente innamorato di Cecilia, anche a costo di essere considerato un traditore da Alessandro Severo, il sovrano. La vergine, pregna di desiderio mistico, anela di ricongiungersi al suo sposo Valeriano in paradiso, dinanzi alla gloria divina. Il suo “non è martirio/ciò, che a rendermi felice/ si fa oggetto del pensier”. Cecilia, quindi, rappresenta l’esempio di un comportamento che nel XVII secolo indica la virtù cristiana della eroica costanza, la quale libera, purifica l’anima; la creazione artistica formula una visione nella quale gli spettatori possono (ri)trovare il coraggio di affrontare le vicissitudini più gravi dell’esistenza.
Infine, Scarlatti adatta a larga parte dei testi originalissimi recitativi e arie di rilevante effetto.  
 
   
S. Cecilia; particolare dell'organo "Tronci", appartenente al Rev. Franco Amatori; Basilica S. Maria in Via Lata

 
 
 
S. Cecilia; Stefano Maderno; Basilica S. Cecilia in Trastevere (immagine tratta da "Google Immagini") 
 

 

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