Roma Insueta deriva da quel mio ricercare, nell’arte, la sensibilità incandescente che trapassa il mero concetto “dell’idea”, seppur mostrata per mezzo di ciò che lo stesso artista, in maniera quasi istintiva, spontaneamente solleva con la sua intrinseca espressione, lanciata con intensità nella pienezza dell’azione creativa. Realtà quindi acuta del vivere nell’arte, infinito impeto che dissuggella altezze vertiginose, dove il respiro abbraccia il cosmo dei sentimenti, che in tal modo si svela all’osservatore, al lettore, all’ascoltatore. Esistenza nell’arte, interminata intensità che non soccombe alla scarna apparenza, effondendosi in elementi che armonizzano il passato e il presente, in un gioco accogliente moti contrapposti, cui la complessiva e complessa presenza crea una forza sostanziata in forme, irradiate per e dalla vita artistica. Roma, attraverso le acutezze artistiche che la sua, rigogliosa, storia ha impresso negli sguardi di ogni epoca, sostanzia questa spontanea spinta emotiva, che l’intelletto coglie con vivacità sino a mutarsi in vivido sentimento, per giungere a quei lidi ove anche una lettura altra si manifesta.

Io Spiego

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lunedì 1 dicembre 2014

La mostra “I Papi della Speranza. Arte e religiosità nella Roma del ‘600”: riflessioni





 
 
 

 


Questa esposizione in corso presso il Museo Nazionale di Castel S. Angelo, che ha avuto inizio il 16 maggio di quest’anno -prorogata fino all’11 gennaio 2015-, è articolata in tre sezioni attraverso la Sala di Apollo, l’entrata della Cappella dei SS. Cosma e Damiano, le Sale della Giustizia e di Clemente VIII. La suddivisione dello spazio espositivo illustra, dunque, tre temi: Roma Sancta, il recupero del Cristianesimo delle origini; I Giubilei; Arte e Devozione.

La temperie argomentata trae la sua origine dal Concilio di Trento (1545-1563). Infatti, le disposizioni e le norme sancite dall’adunanza conciliare determinano, nel giro di pochi anni, un iniziale cambiamento sia in ogni aspetto della vita della Chiesa, vale a dire amministrativo, pastorale, missionario, spirituale, nonché nell’espressione artistica a essa correlata. In sostanza, sono definiti, in modo sistematico, i punti fondamentali della dottrina cattolica e inoltre sono accolte rilevanti riforme per riorganizzare e accrescere la globalità del corpo ecclesiastico. Dopo un periodo di acuto travaglio, contenuta con relativo successo la diffusione della Riforma protestante, sono poste in atto grandi iniziative, finalizzate a testimoniare il trionfo della Chiesa Romana, regina del credo cattolico. I papi da Gregorio XIII (1572-1585) ad Alessandro VII (1655-1667), non trascurando Clemente IX (1667-1669), definiscono la nuova forma di Roma, imprimendo nel suo tessuto urbano un forte significato sacro, sottolineando, però, con tale azione la propria “magnificenza” e, spesso, la potenza acquisita dalla propria famiglia nella Città Eterna. L’arte è considerata, a ragione, uno strumento di propaganda politica e religiosa, divenendo esaltazione corale della Chiesa, espressione trionfante della centralità spirituale e culturale di Roma nel mondo cristiano. Gli interessi del nuovo clima si concentrarono nella riscoperta delle origini della comunità dei fedeli e della sua progressiva organizzazione, della vera storia dei martiri, operazione in cui è determinante la figura del cardinale Cesare Baronio (1538-1607) con la sua Historia ecclesiastica controversa, imponente testo noto come Annales ecclesiastici (12 volumi per gli anni 1-1198, elaborati dal 1588 al 1607), autore anche del Martyrologium Romanum (1583). Agli scritti della tradizione, quale fonte di culto, si sostituiscono i documenti, considerati storici, della vita dei primi cristiani, nonché i testi dei grandi santi e mistici, che sorgono intorno alla metà del secolo del XVI secolo: S. Filippo Neri, S.  Teresa d’Avila, S. Carlo Borromeo, S. Giovanni della Croce, S. Maria Maddalena de’ Pazzi e altri. Tra gli ultimi anni del Cinquecento e per quasi tutto il Seicento, la Chiesa, pur abbandonando in modo sempre più evidente il rigore e la semplicità di vita, come intesi negli anni iniziali della Controriforma, passa rapidamente, almeno nelle intenzioni, a un’attività, ancor più intensa, di propaganda e diffusione dei temi cattolici. Ne discende, perciò, il manifestarsi di un rinnovato ardore circa il culto dei santi e quello delle reliquie; oltre a ciò, hanno maggiore impulso le confraternite e le associazioni religiose, si accentua l’attività missionaria. In questo insieme di slanci spirituali, si vuole affermare la continuità storica della Cattolicità Romana con la vita del Cristianesimo dei primi secoli. Da tale concezione scaturisce il restauro della Chiesa dei SS. Nereo e Achilleo (terminato nel 1599), finanziato dal cardinale Baronio, attraverso il quale è realizzato l’intero presbiterio, comprendente i plutei, gli amboni, l’altare e la cattedra, riutilizzando i resti degli antichi elementi architettonici; inoltre, sono realizzati gli affreschi che adornano tutt’oggi l'interno di questo luogo di culto. Un intervento, dunque, “programmatico”, inteso a ricostruire una marcata atmosfera strettamente congiunta con le originarie radici della Religione Cristiana.
Questa corrente idealistica religiosa non può che favorire la ricerca delle remote memorie cristiane, giacenti e nascoste proprio nel “seno” della Città Eterna, sede, riaffermata, del Principe degli Apostoli: il Papa. Tale attività è condotta dall’erudito Antonio Bosio (1575-1629), considerato il primo ricercatore nell’ambito dell’archeologia cristiana. Infatti, esplora e identifica, rischiando talvolta la vita, trentuno, circa, catacombe romane (1593-1629) di persa memoria. Le sue ricerche, corredate da immagini –a cura dei disegnatori costantemente presenti nelle sue “indagini sotterranee”- degli ambienti, delle pitture murali e di quanto rinvenuto, sono pubblicate postume nel 1633 (Roma Sotterranea), successivamente alla revisione del testo e al riscontro dei rilievi, dei monumenti e dei disegni.
 
Arte
Gli artisti sono chiamati a rispondere alle nuove esigenze della Chiesa e ad adottare un linguaggio rispondente a tre concetti basilari: Docere, Delectare, Movere (insegnare, dilettare, suscitare commozione). La loro arte riesce, in via generale, a interpretare compiutamente questo indirizzo di fissare i relativi temi, con resa formale e ideologica protesa a superare, quell’eleganza –che in altra forma comunque permane- considerata artificiosa, mostrata dall’arte rinascimentale sino a quel momento. Si vuole, dunque, favorire un’espressione chiara, comprensibile, pacata e misurata. In sostanza, si desidera rinnovare il linguaggio artistico verso forme più sobrie ed essenziali; la raffinatissima bellezza e le spettacolose libertà formali proprie del Manierismo, affermatosi durante la prima metà del ‘500, sono quindi abbandonate in ambito religioso. Da questa nuova corrente di pensiero discende la copiosa presenza di quadri di devozione privata, destinati all’intimità della meditazione,  il cui stile “arcaicizzante” richiama le opere dell’area franco-fiamminga, raffigurando un intenso patetismo con il proposito di coinvolgere emotivamente l’osservatore. Nel clima di austerità che si vuole instaurare, s’inserisce il  trattato del cardinale Gabriele Paleotti (1522-1597), “Discorso Intorno alle Imagini Sacre et Profane” (1582), nel quale pur difendendo l’importante funzione “esplicativa” concretizzata dalle immagini sacre, indica una riforma della prassi stilistica “de catholici”, la quale deve permettere una lettura più immediata e comprensibile, capace di muovere a profonda devozione gli osservatori, poiché, secondo il suo pensiero gli artisti fino in quel momento hanno “in varii modi corrotto et difformato la dignità”. Inoltre, afferma “l’artista deve sforzarsi di rendere la sua opera idonea a dare diletto, ad insegnare e movere l’affetto di chi la guarda”.
In tale periodo l’azione della Chiesa Romana deve affrontare con vigore, in tutto il suo vasto complesso, le divisioni generate dalla Riforma Protestante; essa stessa è attraversata da profonde riconsiderazioni, dalle quali, ritrovato successivamente parte del suo enorme potere ecclesiastico –ma non di centralità politica- per mezzo di un nuovo sistema organizzativo ridefinisce il suo particolare ruolo e da questo aspetto nasce un’espressione artistica intensa, emozionale e teatrale, che soprattutto a Roma, in quanto sede del Papa, si rileva nelle chiese, nelle cappelle, negli oratori e nei palazzi, ridisegnandone l’aspetto per mezzo di quell’apice fastoso che si definisce nel Barocco.
 
Opere esposte
 
La Mostra comprende volumi, incisioni, monete, sculture, dipinti, bozzetti e così via, che presentano al visitatore una felice composita veduta d’insieme, delle molteplici forme artistiche, quali espressioni del culto religioso.
Tra gli autori con opere in mostra, cito l’Algardi, il Lanfranco, il Borgognone, l’Albani, il Guercino, il Caracciolo, il Pesarese, il Volterrano, il Pozzo (modello per l’altare della Cappella di S. Luigi Gonzaga, presso la Chiesa di S. Ignazio di Loyola), Carlo Rainaldi (tabernacolo per l’altare maggiore di S. Lorenzo in Lucina).
Voglio soffermarmi su due realizzazioni di pittori, generalmente poco frequentati, comprese nell’esposizione. La prima, “S. Caterina da Siena bacia il costato di Cristo” (1580 circa, proveniente dalla Chiesa di S. Lorenzo de’ Speziali in Miranda, luogo oggetto di un mio studio) è un quadro già attribuito a Francesco Vanni (1563–1610) ma da alcuni studiosi ascritto, attualmente, a Giovanni de’ Vecchi (1536-1615) di cui il Vanni è stato allievo.  Vi si ammirano i ricchi colori, i contorni delle figure, che sembrano passare da una composizione di luce all’altra. Il dipinto raffigura un episodio della vita della Santa, accaduto durante una visione estatica in cui, ella, vedendosi accanto al Cristo ne bacia il costato ferito. Il senso simbolico, del fatto mistico raccolto, pone in evidenza il valore salvifico del sangue del Figlio di Dio, uno dei temi principali della dottrina divulgata da Caterina da Siena. Il quadro dispiega, pur con sobrietà compositiva, una scena intensamente drammatica e profondamente spirituale, incentrata sulle due figure primarie, nella loro simultanea azione: la bocca socchiusa della Santa che si avvicina a quel costato con espressione estatica, mentre il viso del Cristo accoglie quel gesto con atteggiamento amorevole, protettivo. Il quadro, recentemente restaurato, ha rivelato una splendida qualità, anche per il pregevole ritratto del committente, nella posizione nota dell’orante in contemplazione della sacra scena, adottata da molti pittori altresì durante l’ottavo e il nono decennio del Cinquecento.
La seconda opera, “S. Carlo Borromeo che adora la SS. Trinità” (1611-1612, proveniente dalla sacrestia della Chiesa di S. Carlo alle Quattro Fontane, altro luogo oggetto di un mio studio), è il capolavoro di Orazio Borgianni (1578-1616). L’immagine, fortemente evocativa, rivela che nell’adorazione del Santo è insita la sua intercessione presso la Trinità a favore dei fedeli. Infatti, egli è raffigurato con la mano sinistra sul petto e quella destra aperta in segno d’implorazione. Il capitello e il rilievo di età romana sottintendono sia l’erudizione di S. Carlo sia il definitivo trionfo del Cattolicesimo sul paganesimo. La tela rappresenta una fase creativa che manifesta l’apice raggiunto dallo stile del Borgianni, per l’evidente pathos, per il magnifico brio  di luce e di colore -in felice dialogo con i toni chiaroscuri-, per la pura lirica soggettività, mossa dal suo sentire, che pervade tutto il dipinto. Infine, per come il protagonista è ritratto in primo piano, avvicina l’artista a una grandiosità pittorica, ove si distingue una mediata cifra caravaggesca. Le immagini delle due tele sono tratte da “Google-Immagini”.
    
 
 
 
 
                 
 
 
 
 

 
 


 

 
                                  
 
 
 
 


 

 

 

 

 

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