Questa
esposizione in corso presso il Museo Nazionale di Castel S. Angelo, che ha
avuto inizio il 16 maggio di quest’anno -prorogata fino all’11 gennaio 2015-, è
articolata in tre sezioni attraverso la Sala di Apollo, l’entrata della
Cappella dei SS. Cosma e Damiano, le Sale della Giustizia e di Clemente VIII. La
suddivisione dello spazio espositivo illustra, dunque, tre temi: Roma Sancta, il recupero del Cristianesimo
delle origini; I Giubilei; Arte e Devozione.
La temperie argomentata trae la sua
origine dal Concilio di Trento (1545-1563). Infatti, le disposizioni e le norme
sancite dall’adunanza conciliare determinano, nel giro di pochi anni, un iniziale
cambiamento sia in ogni aspetto della vita della Chiesa, vale a dire amministrativo,
pastorale, missionario, spirituale, nonché nell’espressione artistica a essa
correlata. In sostanza, sono definiti, in modo sistematico, i punti
fondamentali della dottrina cattolica e inoltre sono accolte rilevanti
riforme per riorganizzare e accrescere la globalità del corpo ecclesiastico.
Dopo
un periodo di acuto travaglio, contenuta con relativo successo la diffusione
della Riforma protestante, sono poste in atto grandi iniziative, finalizzate a
testimoniare il trionfo della Chiesa Romana, regina del credo cattolico. I papi
da Gregorio XIII (1572-1585) ad Alessandro VII (1655-1667), non trascurando Clemente
IX (1667-1669), definiscono la nuova forma di Roma, imprimendo nel suo tessuto
urbano un forte significato sacro, sottolineando, però, con tale azione la propria
“magnificenza” e, spesso, la potenza acquisita dalla propria famiglia nella
Città Eterna. L’arte è considerata, a ragione, uno strumento di propaganda
politica e religiosa, divenendo esaltazione corale della Chiesa, espressione trionfante
della centralità spirituale e culturale di Roma nel mondo cristiano. Gli
interessi del nuovo clima si concentrarono nella riscoperta delle origini della
comunità dei fedeli e della sua progressiva organizzazione, della vera storia
dei martiri, operazione in cui è determinante la figura del cardinale Cesare
Baronio (1538-1607) con la sua Historia
ecclesiastica controversa, imponente
testo noto come Annales
ecclesiastici (12 volumi per gli anni 1-1198,
elaborati dal 1588 al 1607), autore anche del Martyrologium Romanum (1583). Agli
scritti della tradizione, quale fonte di culto, si sostituiscono i documenti, considerati
storici, della vita dei primi cristiani, nonché i testi dei grandi santi e
mistici, che sorgono intorno alla metà del secolo del XVI secolo: S. Filippo
Neri, S. Teresa d’Avila, S. Carlo
Borromeo, S. Giovanni della Croce, S. Maria Maddalena de’ Pazzi e altri. Tra
gli ultimi anni del Cinquecento e per quasi tutto il Seicento, la Chiesa, pur abbandonando
in modo sempre più evidente il rigore e la semplicità di vita, come intesi negli
anni iniziali della Controriforma, passa rapidamente, almeno nelle intenzioni,
a un’attività, ancor più intensa, di propaganda e diffusione dei temi
cattolici. Ne discende, perciò, il manifestarsi di un rinnovato ardore circa il
culto dei santi e quello delle reliquie; oltre a ciò, hanno maggiore impulso le
confraternite e le associazioni religiose, si accentua l’attività missionaria. In
questo insieme di slanci spirituali, si vuole affermare la continuità storica
della Cattolicità Romana con la vita del Cristianesimo dei primi secoli. Da
tale concezione scaturisce il restauro della Chiesa dei SS. Nereo e Achilleo (terminato
nel 1599), finanziato dal cardinale Baronio, attraverso il quale è realizzato
l’intero presbiterio, comprendente i plutei, gli amboni, l’altare e la
cattedra, riutilizzando i resti degli antichi elementi architettonici; inoltre,
sono realizzati gli affreschi che adornano tutt’oggi l'interno di questo luogo
di culto. Un intervento, dunque, “programmatico”, inteso a ricostruire una marcata
atmosfera strettamente congiunta con le originarie radici della Religione Cristiana.
Questa
corrente idealistica religiosa non può che favorire la ricerca delle remote
memorie cristiane, giacenti e nascoste proprio nel “seno” della Città Eterna, sede,
riaffermata, del Principe degli Apostoli: il Papa. Tale attività è condotta
dall’erudito Antonio Bosio (1575-1629), considerato il primo ricercatore nell’ambito
dell’archeologia cristiana. Infatti, esplora e identifica, rischiando talvolta
la vita, trentuno, circa, catacombe romane (1593-1629) di persa memoria. Le sue ricerche, corredate da immagini –a
cura dei disegnatori costantemente presenti nelle sue “indagini sotterranee”- degli
ambienti, delle pitture murali e di quanto rinvenuto, sono pubblicate postume
nel 1633 (Roma Sotterranea), successivamente
alla revisione del testo e al riscontro dei rilievi, dei monumenti e dei
disegni.
Arte
Gli
artisti sono chiamati a rispondere alle nuove esigenze della Chiesa e ad
adottare un linguaggio rispondente a tre concetti basilari: Docere, Delectare, Movere (insegnare,
dilettare, suscitare commozione). La loro arte riesce, in via generale, a interpretare
compiutamente questo indirizzo di fissare i relativi temi, con resa formale e
ideologica protesa a superare, quell’eleganza –che in altra forma comunque permane-
considerata artificiosa, mostrata dall’arte rinascimentale sino a quel momento.
Si vuole, dunque, favorire un’espressione chiara, comprensibile, pacata e
misurata. In sostanza, si desidera rinnovare il linguaggio artistico verso
forme più sobrie ed essenziali; la raffinatissima bellezza e le spettacolose
libertà formali proprie del Manierismo, affermatosi durante la prima metà del
‘500, sono quindi abbandonate in ambito religioso. Da questa nuova corrente di
pensiero discende la copiosa presenza di quadri di devozione privata, destinati
all’intimità della meditazione, il
cui stile “arcaicizzante” richiama le opere dell’area franco-fiamminga, raffigurando
un intenso patetismo con il proposito di coinvolgere emotivamente l’osservatore.
Nel clima di austerità che si vuole instaurare, s’inserisce il trattato del cardinale Gabriele Paleotti
(1522-1597), “Discorso Intorno alle
Imagini Sacre et Profane” (1582), nel quale pur difendendo l’importante funzione
“esplicativa” concretizzata dalle immagini sacre, indica una riforma della
prassi stilistica “de catholici”,
la
quale deve permettere una lettura più immediata e comprensibile, capace di
muovere a profonda devozione gli osservatori, poiché, secondo il suo pensiero
gli artisti fino in quel momento hanno “in
varii modi corrotto et difformato la dignità”. Inoltre, afferma “l’artista deve sforzarsi di rendere la sua
opera idonea a dare diletto, ad insegnare e movere l’affetto di chi la guarda”.
In
tale periodo l’azione della Chiesa Romana deve affrontare con vigore, in tutto
il suo vasto complesso, le divisioni generate dalla Riforma Protestante; essa
stessa è attraversata da profonde riconsiderazioni, dalle quali, ritrovato
successivamente parte del suo enorme potere ecclesiastico –ma non di centralità
politica- per mezzo di un nuovo sistema organizzativo ridefinisce il suo
particolare ruolo e da questo aspetto nasce un’espressione artistica intensa,
emozionale e teatrale, che soprattutto a Roma, in quanto sede del Papa, si rileva
nelle chiese, nelle cappelle, negli oratori e nei palazzi, ridisegnandone l’aspetto
per mezzo di quell’apice fastoso che si definisce nel Barocco.
Opere esposte
La Mostra comprende volumi, incisioni, monete, sculture,
dipinti, bozzetti e così via, che presentano al visitatore una felice composita
veduta d’insieme, delle molteplici forme artistiche, quali espressioni del
culto religioso.
Tra gli autori con opere in mostra, cito l’Algardi, il
Lanfranco, il Borgognone, l’Albani, il Guercino, il Caracciolo, il Pesarese, il
Volterrano, il Pozzo (modello per l’altare della Cappella di S. Luigi Gonzaga,
presso la Chiesa di S. Ignazio di Loyola), Carlo Rainaldi (tabernacolo per
l’altare maggiore di S. Lorenzo in Lucina).
Voglio soffermarmi su due realizzazioni
di pittori, generalmente poco frequentati, comprese nell’esposizione. La prima,
“S. Caterina da Siena bacia il costato di Cristo” (1580 circa, proveniente
dalla Chiesa di S. Lorenzo de’ Speziali in Miranda, luogo oggetto di un mio
studio) è un quadro già attribuito a Francesco Vanni (1563–1610) ma da alcuni
studiosi ascritto, attualmente, a Giovanni de’ Vecchi (1536-1615) di cui il
Vanni è stato allievo. Vi si ammirano i
ricchi colori, i contorni delle figure, che sembrano passare da una
composizione di luce all’altra. Il dipinto raffigura un episodio della vita
della Santa, accaduto durante una visione estatica in cui, ella, vedendosi
accanto al Cristo ne bacia il costato ferito. Il senso simbolico, del fatto mistico
raccolto, pone in evidenza il valore salvifico del sangue del Figlio di Dio,
uno dei temi principali della dottrina divulgata da Caterina da Siena. Il quadro
dispiega, pur con sobrietà compositiva, una scena intensamente drammatica e
profondamente spirituale, incentrata sulle due figure primarie, nella loro
simultanea azione: la bocca socchiusa della Santa che si avvicina a quel
costato con espressione estatica, mentre il viso del Cristo accoglie quel gesto
con atteggiamento amorevole, protettivo. Il quadro, recentemente restaurato, ha
rivelato una splendida qualità, anche per il pregevole ritratto del
committente, nella posizione nota dell’orante in contemplazione della sacra
scena, adottata da molti pittori altresì durante l’ottavo e il nono decennio
del Cinquecento.
La
seconda opera, “S. Carlo Borromeo che
adora la SS. Trinità” (1611-1612, proveniente dalla sacrestia della Chiesa
di S. Carlo alle Quattro Fontane, altro luogo oggetto di un mio studio), è il capolavoro
di Orazio Borgianni (1578-1616). L’immagine, fortemente evocativa, rivela che nell’adorazione
del Santo è insita la sua intercessione presso la Trinità a favore dei fedeli. Infatti,
egli è raffigurato con la mano sinistra sul petto e quella destra aperta in
segno d’implorazione. Il capitello e il rilievo di età romana sottintendono sia
l’erudizione di S. Carlo sia il definitivo trionfo del Cattolicesimo sul
paganesimo. La tela rappresenta una fase creativa che manifesta l’apice
raggiunto dallo stile del Borgianni, per l’evidente pathos, per il magnifico brio
di luce e di colore -in felice dialogo con i toni chiaroscuri-, per la
pura lirica soggettività, mossa dal suo sentire, che pervade tutto il dipinto.
Infine, per come il protagonista è ritratto in primo piano, avvicina l’artista a
una grandiosità pittorica, ove si distingue una mediata cifra caravaggesca. Le
immagini delle due tele sono tratte da “Google-Immagini”.
Nessun commento:
Posta un commento