Gli ampi sotterranei, della Basilica di S.
Sabina all’Aventino, offrono una testimonianza circa i
cambiamenti urbanistici avvenuti nella zona, dal periodo arcaico (VI secolo
a.C., circa) alla fine dell’età imperiale (ultima parte del IV secolo d.C.).
Il colle Aventinus, già luogo di antichissime tradizioni, è assegnato definitivamente alla Plebe nel 456 a.C. con la lex Icilia de Aventino pubblicando, legge emanata dai Comitia (organismi assembleari con funzioni legislative), divenendo in modo graduale una zona popolosa abitata dai ceti meno abbienti, da cui i più poveri si trasferiscono durante il I secolo a.C. nell’area oggi compresa tra il Testaccio e il Trastevere, in virtù delle molteplici attività correlate a quella dell’Emporium, il porto fluviale della città antica.
Il colle Aventinus, già luogo di antichissime tradizioni, è assegnato definitivamente alla Plebe nel 456 a.C. con la lex Icilia de Aventino pubblicando, legge emanata dai Comitia (organismi assembleari con funzioni legislative), divenendo in modo graduale una zona popolosa abitata dai ceti meno abbienti, da cui i più poveri si trasferiscono durante il I secolo a.C. nell’area oggi compresa tra il Testaccio e il Trastevere, in virtù delle molteplici attività correlate a quella dell’Emporium, il porto fluviale della città antica.
Devastato da due incendi nel 64 e nel 36 d.C., l’Aventino
muta aspetto trasformandosi, nel tempo, in zona caratterizzata da fastose
dimore patrizie.
La Basilica, situata nel lato nord-occidentale dell’Aventino, sorge tra il 422 e il 432 sugli ambienti di una domus ecclesiae, vale a dire su una casa utilizzata per il culto cristiano.
I vani ipogei del sito - oggetto di un mio studio, come tutto il complesso della Chiesa, incluso il bellissimo chiostro- interessati da scavi archeologici (l’ultimo dei quali datato 1936-1939) hanno riportato alla luce resti delle mura risalenti, all’incirca, al VI secolo a.C. Esse rappresentato un'oggettiva rarità del periodo arcaico romano; infatti, altre ridottissime parti si trovano soltanto sul Campidoglio, sul Quirinale nonché sul Viminale; invero, se ne notano i blocchi squadrati di tufo granulare friabile (detto “cappellaccio”) di colore grigiastro. La successiva fase di edificazione della difesa muraria è pure qui mostrata dalla massa proporzionata di tufo poroso giallastro, che appare sovrapposta alla precedente. Realizzata nella prima metà del IV secolo a.C. con tale tipologia di roccia sedimentaria, estratta dalle cave dette di “Grotta Oscura” ubicate nel territorio di Veio, oggi è visibile in diversi luoghi “storici” dell’antica Roma. La peculiarità quasi unica di questo ambiente si manifesta, perciò, nell’evidenziare i due distinti momenti di costruzione della cinta muraria romana, avvenuti rispettivamente durante l’epoca arcaica (Regia) e nel corso di quella della “repubblica” (Res publica).
Si osserva un insieme composito di ruderi, che attestano il susseguirsi di diversificate trasformazioni del luogo, accadute durante il periodo romano come, ad esempio, dimostra la presenza nell’area archeologica del piccolo tempio del III sec. a.C., in antis, i cui resti dell’antica facciata mostrano due colonne di peperino fra due ali murarie, per l’appunto “ante”, le quali prolungano le pareti laterali in avanti. Inoltre, s’individuano le strutture in opera incerta -opus incertum, blocchetti piramidali di tufo con differenti basi, apposti contro il nucleo di cemento in filari obliqui irregolari- di edifici situati a ridosso delle mura e in prossimità delle stesse si scorgono residui architettonici di dimore risalenti all’inizio del I secolo a.C. con pavimenti a mosaico. Altre costruzioni della fine del I sec. a.C. in reticolato –opus reticulatum, la “realizzazione edile” più conosciuta; blocchetti di tufo di forma tronco-piramidale a base quadrata, sistemati in linee diagonali che modellano una trama a rete- innalzate oltre la cinta muraria, nella quale quattro passaggi aperti in questa fase storica consentono il transito tra l’interno e l’esterno, documentando il superamento della sua funzione difensiva, essendo ormai Roma quella potenza dominatrice dei territori altrui. Oltre a ciò alcuni di questi vani, restaurati e utilizzati come tempio, contengono pitture e graffiti, attribuibili al II secolo d.C., inneggianti a Iside, divinità dell’antico Egitto che ha un enorme seguito a Roma (e non solo) ove giunge nel I sec. a.C., cui il culto presenta caratteri sincretistici comprendenti, quindi, elementi di divinità autoctone come, ad esempio, gli attributi divini di Cerere.
La Basilica, situata nel lato nord-occidentale dell’Aventino, sorge tra il 422 e il 432 sugli ambienti di una domus ecclesiae, vale a dire su una casa utilizzata per il culto cristiano.
I vani ipogei del sito - oggetto di un mio studio, come tutto il complesso della Chiesa, incluso il bellissimo chiostro- interessati da scavi archeologici (l’ultimo dei quali datato 1936-1939) hanno riportato alla luce resti delle mura risalenti, all’incirca, al VI secolo a.C. Esse rappresentato un'oggettiva rarità del periodo arcaico romano; infatti, altre ridottissime parti si trovano soltanto sul Campidoglio, sul Quirinale nonché sul Viminale; invero, se ne notano i blocchi squadrati di tufo granulare friabile (detto “cappellaccio”) di colore grigiastro. La successiva fase di edificazione della difesa muraria è pure qui mostrata dalla massa proporzionata di tufo poroso giallastro, che appare sovrapposta alla precedente. Realizzata nella prima metà del IV secolo a.C. con tale tipologia di roccia sedimentaria, estratta dalle cave dette di “Grotta Oscura” ubicate nel territorio di Veio, oggi è visibile in diversi luoghi “storici” dell’antica Roma. La peculiarità quasi unica di questo ambiente si manifesta, perciò, nell’evidenziare i due distinti momenti di costruzione della cinta muraria romana, avvenuti rispettivamente durante l’epoca arcaica (Regia) e nel corso di quella della “repubblica” (Res publica).
Si osserva un insieme composito di ruderi, che attestano il susseguirsi di diversificate trasformazioni del luogo, accadute durante il periodo romano come, ad esempio, dimostra la presenza nell’area archeologica del piccolo tempio del III sec. a.C., in antis, i cui resti dell’antica facciata mostrano due colonne di peperino fra due ali murarie, per l’appunto “ante”, le quali prolungano le pareti laterali in avanti. Inoltre, s’individuano le strutture in opera incerta -opus incertum, blocchetti piramidali di tufo con differenti basi, apposti contro il nucleo di cemento in filari obliqui irregolari- di edifici situati a ridosso delle mura e in prossimità delle stesse si scorgono residui architettonici di dimore risalenti all’inizio del I secolo a.C. con pavimenti a mosaico. Altre costruzioni della fine del I sec. a.C. in reticolato –opus reticulatum, la “realizzazione edile” più conosciuta; blocchetti di tufo di forma tronco-piramidale a base quadrata, sistemati in linee diagonali che modellano una trama a rete- innalzate oltre la cinta muraria, nella quale quattro passaggi aperti in questa fase storica consentono il transito tra l’interno e l’esterno, documentando il superamento della sua funzione difensiva, essendo ormai Roma quella potenza dominatrice dei territori altrui. Oltre a ciò alcuni di questi vani, restaurati e utilizzati come tempio, contengono pitture e graffiti, attribuibili al II secolo d.C., inneggianti a Iside, divinità dell’antico Egitto che ha un enorme seguito a Roma (e non solo) ove giunge nel I sec. a.C., cui il culto presenta caratteri sincretistici comprendenti, quindi, elementi di divinità autoctone come, ad esempio, gli attributi divini di Cerere.
Ristrutturazioni del III secolo d.C. condotte
con materiale laterizio, cambiano ancora l’uso di una parte di questo ambiente,
che diviene un piccolo complesso termale. Probabilmente appartiene a una grande
e ricca abitazione (domus), di cui
restano in loco, all’esterno della
Basilica, una colonna di granito bigio incorporata nel muro della Chiesa stessa
(angolo destro del portico) e un’altra simile, all’interno, in prossimità della
Cappella di S. Giacinto. Pregiati pavimenti in opus tessalatum
–quadratini di marmo disposti irregolarmente in base a un disegno prestabilito-
rinnovati successivamente in opus sectile
–lastrine colorate marmoree di varie sagome formanti disegni floreali e
scene figurate- mostrano l’agiatezza dei proprietari della casa.
Quanto affermato in merito all’attribuzione termale alla domus, è suffragato dalle notizie storiche relative all’incremento dell’attività edilizia, “residenziale”, sviluppatasi soprattutto sotto i regni di Marco Aurelio (161-180) e di Settimio Severo (193-211), in cui si assiste all’abbandono di molti santuari in favore di suntuose dimore, che ne occupano l’area, definendo ulteriormente l’Aventino quale luogo aristocratico.
Quanto affermato in merito all’attribuzione termale alla domus, è suffragato dalle notizie storiche relative all’incremento dell’attività edilizia, “residenziale”, sviluppatasi soprattutto sotto i regni di Marco Aurelio (161-180) e di Settimio Severo (193-211), in cui si assiste all’abbandono di molti santuari in favore di suntuose dimore, che ne occupano l’area, definendo ulteriormente l’Aventino quale luogo aristocratico.
Le mura espongono le due fasi costruttive
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Il vano delle terme |
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