Alessandro
Scarlatti nasce a Palermo nel 1660, trasferendosi a Roma, con tutta la
famiglia, in tenera età. Da allievo musicista frequenta l’Accademia degli
Incolti, fondata a Roma nel 1658 -tuttora in attività- la cui denominazione
scaturisce dal concetto socratico del “non sapere”, vale a dire quel percorso
sconfinato del pensiero che definisce il moto perpetuo della diversificata
azione intellettiva dell’uomo, verso quell’insieme di complesse evolventi
conoscenze, che si manifestano nella profondità del suo animo.
Nel
dinamico ambiente artistico romano trova la naturale collocazione il suo estro,
tanto da permettergli un’incessante e portentosa attività sino a essere
chiamato da Cristina di Svezia, promotrice di una notevole attività culturale,
dalla quale deriverà l’Accademia dell’Arcadia.
Trasferitosi
nel 1684 a Napoli e nel 1702 a Firenze, in questo medesimo anno ritorna a Roma,
assumendo l’incarico di vicemaestro di cappella della Basilica di S. Maria
Maggiore; successivamente (1706) è ammesso tra i membri della citata Arcadia. Dopo
essersi recato a Venezia, Urbino, Napoli (soggiornandovi dal 1708 al 1717)
ricompare nella Città Eterna prendendovi dimora fino al 1722, circa, ma la sua
irrequietezza artistica lo riconduce a Napoli, ove, però, rimane inattivo per
il sopraggiungere di nuove espressioni musicali; muore nella città partenopea
nel 1725.
Scarlatti
è tra i massimi esponenti del melodramma tra barocco e primo ‘700 e,
soprattutto, della cantata da camera (influenzando Bach e Handel), della musica
strumentale, nonché di quella sacra: messe, responsori –composizioni dal testo
in latino dove il canto del solista si alterna con quello del coro-, mottetti
-creazioni vocali e strumentali cui il tema religioso è esposto con raffinato
linguaggio musicale- e oratori.
Quanto
finora descritto introduce al clima musicale di Roma, al tempo di questo grande
musicista.
Dalla
corte pontificia alle dimore delle famiglie nobiliari e cardinalizie, l’offerta
musicale comprende ogni filone vocale strumentale. In tale cornice s’innesta la
prassi dell’oratorio, al quale la Curia romana affida il compito di contribuire
a riavvicinare i fedeli al credo religioso cattolico. Infatti, la Chiesa
dimostra un’evidente sensibilità circa il rinnovamento della musica sacra, come
per le altre espressioni artistiche, dal periodo della Controriforma in poi. In
questo complesso rapporto tra fede istituzionalizzata e creatività artistica,
si deve rammentare il ruolo significativo svolto dalla Congregazione
dell’oratorio di S. Filippo Neri (1575) –ispirata all’assemblea di laici e di
religiosi sostenuta da S. Gaetano Thiene (Roma, 1517)-, costituita dal cenacolo
romano di sacerdoti raccoltosi attorno al Santo e approvata da papa Paolo V
(1617). Questa iniziativa religiosa, particolarmente vitale, è compresa
nell’ambito delle molteplici attività favorite dalla Chiesa romana per riguadagnare
gli animi dei credenti molto affievoliti o lacerati dal dubbio o disorientati
da quanto affermato, con forza, dalla Riforma Protestante, che demolisce quasi
tutti i millenari e secolari dogmi cattolici. Dalle laudi spirituali intonate
negli edifici adibiti a oratori deriva il termine del “genere musicale”
oratorio (1630, circa), dall’andamento drammatico o epico-narrativo imperniato sul
soggetto sacro. Tale novità mostra l’attivismo sorto a Roma, che ha inizio dall’affermarsi
della Controriforma a tutto il XVII e alla prima parte de XVIII secolo, periodo
nel quale tutte le arti palesano una variegata magnificenza, un oggettivo
splendore. Già intorno alla metà del XVII secolo la committenza, la creazione e
la fruizione della musica sacra aumentano considerevolmente, cui il motivo
riporta alla figura di S. Filippo, che in luogo di premere sulla paura delle
pene dell’Inferno, conduce i gusti del secolo, quasi apparentemente
assecondandoli, verso il fine religioso, riavvicinando in tal modo i credenti
alla Chiesa. Egli forgia una sorta di travestimento spirituale di quanto si
rappresenta nei ritrovi mondani, così frequenti presso la nobiltà (laica e
religiosa) ma graditissimi anche alle classi meno abbienti. Questa acuta
intuizione intende generare, attraverso la musica, un rafforzamento della vita
spirituale riuscendo, contemporaneamente, a divertire. S’impone la lauda,
quindi, componimento poetico-musicale in lingua volgare e di carattere
popolare, religiosa ma non liturgica, canzone spirituale fiorita nel XIII
secolo e in voga, con molte trasformazioni, anche durante i secoli successivi,
sino a generare, come già detto, l’oratorio nei primi decenni del XVII secolo,
che da Roma si propaga in tutta Italia e poi, soprattutto, in Austria (in
particolar modo a Vienna), in Francia, in Inghilterra, insinuandosi anche nel
territorio tedesco dominato dalla Riforma Luterana. Il clamore da esso
suscitato, risiede nella facilità con cui i testi, di carattere religioso, confluiscono
nell’espressione vocale musicata; oltre a ciò il canto (in latino e in volgare)
a una voce (monodico) con accompagnamento musicale elaborato, ne permette la
trasformazione in una vera intonazione drammaturgica. Mancante di qualsiasi
apparato scenico ed elementi a esso collegati (azione teatrale, costumi), si
contraddistingue quale forma innovativa di sermone musicale, efficace mezzo
volto alla preghiera e all’elevazione spirituale, eseguito da almeno due
solisti (monologhi e dialoghi), da un coro (commento), da un insieme di
strumenti, soprattutto, ad arco e, in molte composizioni, da una voce recitante
che narra il soggetto, sia in latino sia in volgare, tratto dalla Bibbia o da testi
devozionali. Vi confluiscono, progressivamente, lo stile arioso “operistico”,
gli effetti strumentali del concerto grosso, sino a comprendere, all’inizio del
‘700 che palesa il “nostro” Scarlatti tra i maggiori protagonisti, la
successione teatrale aria-recitativo, il da capo – la
parte in cui l’autore fa riprendere l’esecuzione iniziale della partitura-,
i recitativi strumentalmente accompagnati, “l’arrangiamento” orchestrale
descrittivo di natura scenica, la precisa stilizzazione della vocalità, che
presenta accenti appassionati e, talvolta, veramente erotici affidati a personaggi
femminili come, ad esempio, Maddalena, Giuditta, Susanna. Nel contempo sono
aboliti o fortemente ridimensionati alcuni tratti originari (voce narrante,
coro) e l’italiano prevale, quasi completamente, sul latino. L’oratorio,
quindi, da Roma si espande come tra i più significanti eventi artistici,
quindi, non solo del Barocco romano nonché italiano ma dell’intera genesi
musicale europea.
L’oratorio
“ Il martirio di S.Cecilia” e osservazioni sulla figura della Santa in ambito del
culto romano
Questa
composizione, eseguita per la prima volta il 6 marzo 1708 (giorno della seconda
settimana di Quaresima), presso l’Oratorio dei Padri Filippini, mirabile
edificio del Borromini, solo dopo quattro giorni dal suo completamento,
dimostrando la grande abilità dei cantanti e degli strumentisti di porla in
atto in così brevissimo tempo, prassi all’epoca assai frequente.
Anche
durante il pontificato di Clemente XI (1700-1721) le rappresentazioni di opere
non religiose sono spesso vietate, ne discende che il “melodramma sacro” assume
per i compositori, perciò anche per Scarlatti, una fondamentale importanza.
La
storia di S. Cecilia, fanciulla romana martire, tra il 222 e il 230, è narrata nella
“passio” del VI secolo, mentre il
culto è attestato soltanto dal V secolo. Secondo la tradizione è una fanciulla
nobile divenuta cristiana che, segretamente votata alla verginità, la sera
delle nozze esplicita allo sposo, Valeriano, questa ferrea volontà inducendolo
alla conversione. La sua storia confluisce così nella “passio” dei martiri Massimo, Tiburzio e Valeriano (suo sposo), che
la precedono nel martirio, ordinato da Turcio Almachio prefetto di Roma durante
il regno di Alessandro Severo. A causa dell’inesistenza di citazioni, di documenti
datati III e IV secolo relativi alla Santa, si è ipotizzato il carattere leggendario
del personaggio, la cui storia devozionale è scaturita forse dalla presenza della
sepoltura, presso le Catacombe di S. Callisto, di una componente della nobile
famiglia romana dei Cecilii. La spoglia mortale della Santa, o di colei che
così si è inteso identificare, è traslata da tale cimitero nel IX secolo -per
volere di papa Pasquale I- e posta nella basilica ad ella dedicata (Basilica di
S. Cecilia in Trastevere). La ricognizione del suo corpo del 1599 la mostra
pressoché intatta e la notizia, in poco tempo percorre la città, destando una
forte emozione. All’avvenimento si lega un’impressione quasi miracolistica,
suggellata dalla Chiesa alla vigilia dell’Anno Santo del 1600. Lo scultore
Stefano Maderno, probabilmente, ha occasione di vedere quel corpo, che dipoi rappresenta
con notevole finezza, secondo lo stato del particolare accertamento: sdraiata,
le braccia stese, le ginocchia sollevate, il capo voltato dalla parte opposta
rispetto all’osservatore, con il taglio della scure ben inciso sul collo.
Il
Medioevo non conosce il rapporto tra S. Cecilia e la musica. Invero, il
protettore di quest’arte, come del canto, è S. Giovanni Battista, poiché alla
sua nascita il padre Zaccaria, riavuta la parola, prorompe in un cantico benedicendo
Dio (Vangelo di S. Luca, cap. 1, vers. 64). L’assimilazione della Santa con la
musica risale all’inizio del XV secolo, apparendo come un errore di
interpretazione. Nella sua “passio”,
infatti, si legge che il giorno delle nozze “mentre gli organi suonavano, Cecilia, nel suo cuore cantava al Signore”.
Questo sorta di travisamento determina un forte impulso devozionale popolare,
il quale la elegge patrona della musica; s’inizia a raffigurarla con un organo
come suo attributo iconografico e spesso, accanto, compare un angelo mentre
stringe in mano uno strumento (organo, liuto e così via).
Queste
considerazioni ci riaccompagnano verso l’oratorio creato dal “nostro”
Scarlatti.
Il
libretto de “Il martirio di S. Cecilia” manifesta un’osmosi compositiva tra la
tragedia sacra e le caratteristiche proprie “dell’opera”. Come non notare la
figura del prefetto Almachio, perdutamente innamorato di Cecilia, anche a costo
di essere considerato un traditore da Alessandro Severo, il sovrano. La
vergine, pregna di desiderio mistico, anela di ricongiungersi al suo sposo
Valeriano in paradiso, dinanzi alla gloria divina. Il suo “non è martirio/ciò, che a rendermi felice/ si fa oggetto del pensier”.
Cecilia, quindi, rappresenta l’esempio di un comportamento che nel XVII secolo
indica la virtù cristiana della eroica costanza, la quale libera, purifica
l’anima; la creazione artistica formula una visione nella quale gli spettatori
possono (ri)trovare il coraggio di affrontare le vicissitudini più gravi
dell’esistenza.
Infine,
Scarlatti adatta a larga parte dei testi originalissimi recitativi e
arie di rilevante effetto.
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S. Cecilia; particolare dell'organo "Tronci", appartenente al Rev. Franco Amatori; Basilica S. Maria in Via Lata |
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S. Cecilia; Stefano Maderno; Basilica S. Cecilia in Trastevere (immagine tratta da "Google Immagini") |